IL NODO INESTRICABILE DELLE EMOZIONI NELLO SPORT

Rileggendo i non troppi articoli nei quali ho accennato alle emozioni nello sport mi rendo conto di una cosa: ho centrato il problema della grande importanza di queste ma non sono riuscito a far luce sul perché di questa cosa e nemmeno a fare ipotesi su questo per facilitare una discussione e stimolare riflessioni su questo importante argomento.
In sintesi l’argomento è determinante per capirci qualcosa di sport ma non riesco a trarne un ragno dal buco. E’ come se mi mettessi a sventolare bandiera bianca ammettendo: “Siccome le emozioni sono fondamentali nello sport e di emozioni non ci capisco nulla tanto vale che la smetta di scrivere di sport”.

Invece ubbidendo a quelle cartine di cioccolatino che ti facevano mangiare un po’ troppi cioccolatini dove a volte vincevi pure qualcosa e comunque sulla cartina c’era scritto “Non hai vinto, ritenta…” ed io ritentavo parecchie volte non perché volessi a tutti i costi vincere ma semplicemente perché ero drogato di cioccolata, anche qui, pur rendendomi conto di non aver vinto, ci ritento e la motivazione probabilmente ancora una volta non è perché voglio vincere ma sono semplicemente abituato in modo maniacale (quasi drogato come con la cioccolata appunto) a cercare tutto quanto fa muovere e condiziona in modo determinante lo sport.

Senza emozioni lo sport è una cosa morta. Su questo siamo d’accordo in tanti, quasi tutti. Anche nel mondo dei professionisti dove la motivazione economica è fortissima, senza emozioni si fa fatica ad andare avanti e proprio due giorni fa in un meeting di atletica abbastanza importante ma non importantissimo in Polonia abbiamo assistito alla realizzazione di due record del mondo che da un punto di vista squisitamente economico era meglio se venivano rimandati ad altra data da parte di chi li ha fatti. L’astista Duplantis ha saltato la misura di 6 metri e 26, misura ampiamente alla sua portata ma se vuole ripercorrere la strada tracciata dal più grande di tutti i tempi nella disciplina, il mitico Sergey Bubka, non può esagerare in breve tempo con questi record per non bruciarsi. Pochi giorni prima aveva stabilito già il mondiale con la misura di 6 metri e 25 alle Olimpiadi, occasione proprio propizia e valida anche da un punto di vista economico perché anche se alle Olimpiadi non monetizzi come si deve in quell’occasione gli sponsor si muovono alla grande e fanno la differenza su tutti gli eventuali premi racimolabili in altre occasioni. Qualche giorno dopo si ripete e lì certamente gli organizzatori del meeting avranno scucito qualcosa ma gli sponsor non è che rivedano contratti e premi ad ogni piè sospinto pertanto più che chiederci quanto ha guadagnato Duplantis con quel record a 6 metri e 26 centimetri dobbiamo chiederci quanto ha perso a non farlo in un altro momento. Stessa cosa per il grande mezzofondista Ingebrigtsen la promessa dei 1500, l’uomo predestinato a maciullare il record dei 1500 non solo non ha ancora fatto il record del mondo sulla distanza che ormai ha oltre 20 anni e se non lo fa lui si è visto benissimo che ci sono altri in grado di farlo, ma ci perde pure le Olimpiadi. Incazzatissimo vince i 5000 metri ma non è ancora contento e per sbollire lo spirito è costretto ad un mega record sui 3000 metri nello stesso meeting dove Duplantis ha saltato 6 metri e 26. Lui corre i 3000 metri in 7’17” sbriciolando letteralmente il record di 7’20” che era un signor record ed aveva nientepopodimenoche 28 anni. Mossa decisamente antieconomica per Ingebrigtsen che con tale gesto avrà pure convinto i suoi sponsor che è ancora un grande personaggio ma ha praticamente messo una pietra sopra al record in questa disciplina pur abbastanza utilizzata in meeting molto interessanti in tutto il mondo. Insomma pare che l’istinto conti più dei soldi, che le emozioni contino più del freddo calcolo e, particolarmente il record dei 3000, mi ha lasciato semplicemente di stucco anche se devo ammettere che solo un attimo dopo ho pensato: “Questo a Parigi davvero si è mangiato l’oro nei 1500 che poteva certamente vincere e per questo adesso è incazzatissimo, sapeva quanto valeva ed ha la necessità di farlo vedere a tutto il mondo per non andare in depressione.”

Nella stessa gara vedo il nostro funambolico Tamberi, alle Olimpiadi ha cannato la gara perché pochi giorni prima era in ospedale per una colica renale. Lì va su a 2.31, vince la gara poi per dare spettacolo mette l’asticella a 2.38. Al secondo tentativo ci va vicino allora mette 2.40 ma non per sbagliarlo, solo perché ha bisogno di emozioni, di emozioni forti come un’ Olimpiade, siccome vede che 2.38 è vicino e ciò che manca è una carica davvero forte, mette 2.40 perché solo così pensa di poter fare qualcosa che gli possa mitigare la delusione patita alle Olimpiadi. Lo sbaglia e passa un po’ per un pirla perché a 2.38 forse c’era ma anche lui nel suo atteggiamento stravagante fa capire quanto siano importanti le emozioni e nell’intervista pochi istanti dopo lo fa capire dichiarandosi quasi in preda ad emozioni contrastanti.

Ho citato di emozioni di grandi campioni, di soggetti che con lo sport di soldini ne hanno già messi da parte abbastanza ed hanno bisogno proprio di emozioni, più che di soldi per poter riuscire ad andare avanti nella loro pratica con entusiasmo. Però le emozioni sono fondamentali anche nello sport dei comuni mortali e pure lì sono determinanti e fanno la differenza fra chi ci sta a proseguire la pratica sportiva a prezzo di grandi sacrifici anche se non piglia il becco di un quattrino come rimborso spese e chi invece demotivato e disilluso sul fatto di poter provare forti emozioni molla tutto anche se sa che la pratica sportiva fa bene alla salute anche se in certi momenti può pure essere avara di emozioni.

Come al solito non riesco a sviscerare la problematica, identifico la centralità delle emozioni ma non riesco a spiegarne il perché. Perché siano ancora più importanti nello sport degli umili forse non è difficile capirlo. Il professionista anche nell’ipotesi che sia apatico e demotivato va avanti lo stesso perché ha lo sponsor a sostenerlo, però ha comunque bisogno di forti emozioni per trovare la molla per grandi risultati ed allora il record del mondo sconveniente, quello che massacra la storia di una distanza, il tentativo nell’alto ad una misura folle perché esalta di più. Il dilettante se non riesce a provare forti emozioni può mollare tutto perché la pratica sportiva per il dilettante per certi versi è ancora più dura, ci perde soldi invece di guadagnarli, fa fatica a farcela stare nella sua giornata stressante e talvolta non trova condizioni ambientali per nulla favorevoli perché non è che possa spostare i suoi allenamenti nei posti climaticamente più accettabili di volta in volta come possono fare i professionisti.

Insomma noi studiamo i dettagli della pratica sportiva e li studiamo con una precisione maniacale, però non riusciamo a studiare le emozioni e lì siamo di una imprecisione incredibile. Mi viene in mente la barzelletta dei Cowboys e degli indiani. Uno dei Cowboys scorge gli indiani, distante nella vallata e lo dice agli altri. Gli dice: “Sono tanti, tantissimi…” e gli altri “Ma quanti tanti, tantissimi?” – “Saranno cinquantamila e tre…” – “Ma come cinquantamila e tre? Li hai contati?” – “No ma davanti sono tre e dietro sono tantissimi, saranno altri 50.000…” Ecco nello sport davanti ce ne sono tre che potrebbero essere le doti di forza, di resistenza e di elasticità e dietro ce ne sono tantissimi, saranno 50.000, sono le emozioni e se non vediamo un po’ meglio quelle è inutile che ci concentriamo sui tre davanti…”