IL MALE DEL NOSTRO TEMPO: NON SI PARLA

Qualcuno mi ha detto che nell’articolo sulla religione fra mille contraddizioni salva un concetto: che il doping nello sport professionistico e più in generale l’abuso di farmaci nello stesso è un problema più subito che orchestrato dagli atleti e se fosse semplicemente per loro verrebbe cancellato dall’oggi al domani.

Ciò mi porta a fare delle considerazioni che anche se si discostano un po’ dal discorso etico religioso comunque non se ne smarcano poi tanto. Se il doping non è una cosa orchestrata dagli atleti allora è davvero un problema di chi gestisce lo sport professionistico a livello organizzativo, è un problema di sponsor che hanno bisogno di una certa immagine candida ed immacolata, è un problema di giornalisti che sono foraggiati per mantenere questa immagine, è un problema dell’istituto dell’antidoping che è un  istituto che andrebbe profondamente riformato ormai da cinquant’anni nei suoi principi base più che nei suoi metodi che sono sempre stati fallimentari dalla notte dei tempi.

Alla fine più che un problema di doping, che viene ritenuto fondamentale per tutelare la salute degli atleti in preparazioni che sono semplicemente folli per quantità di carico, è un problema di informazione. Siamo al paradosso che l’atleta che rischia di più è l’atleta che non si dopa in quanto rischia perché non si aiuta con i farmaci in preparazione sportive che a lungo andare hanno bisogno dei farmaci per non creare problemi di salute. Rischia perché, non usando farmaci, non è abituato a farsi controllare costantemente dai medici e pertanto può pure risultare positivo all’antidoping per chissà quale scemata che può aver assunto anche inconsapevolmente e soprattutto rischia se parla dicendo come funzionano le cose nell’alto livello dello sport perché sposta il coperchio su un pentolone che non deve assolutamente essere scoperchiato.

C’è un accordo tacito fra tutti gli atleti professionisti che comunque se non vuoi avere noie con la giustizia sportiva che sostiene questo modello di sport devi stare zitto ed accettare le regole del gioco. Se non vuoi fare il professionista puoi fare a meno di farlo, comunque non puoi tentare di smontare il teatro nel quale reciti altrimenti rischiano di andare tutti a casa non solo tu che hai portato in campo questioni non risolvibili se non con una cultura dello sport diversa da questa.

Allora non è solo un problema di omertà ma è proprio un problema di cultura dello sport.

Siamo in un tempo dove si parla poco ma non solo di cose delle quali non si può parlare ma anche di cose che sarebbe sacrosanto discutere. Siamo nel tempo dove un’applicazione distribuita da un telefonino ti fa da allenatore, è lei che ti parla e ti dice cosa devi fare ed io che non ho mai lanciato un giavellotto a più di 18 metri (cosa quasi patologica questa per un soggetto ritenuto in salute) penso che sarei capace di scagliare uno di quei telefonini ad oltre quaranta metri di distanza se mi dicessero di fare istintivamente cosa voglio fare con quei distributori di cultura. Riuscirei a dimostrare in un attimo quanto conta la motivazione nelle gesta sportive perché uno che normalmente non trova la coordinazione per buttare un giavellotto più in là dei 18 metri ma poi la trova per spedire in orbita un telefonino vuol dire che ha affrontato i due compiti sportivi con un impegno ed un concentrazione decisamente diversi.

Non si parla in tutti gli ambiti, non solo in ambito sportivo e questo forse è anche un problema etico religioso.

Lo sport dovrebbe avere il merito di promuovere un dibattito franco e schietto almeno all’interno delle sue questioni. Al di là dei fatti riguardanti l’assistenza medica che sono essenzialmente fatti dello sport professionistico (perché a livello dilettantistico l’unico problema è riuscire ad offrire assistenza sanitaria nel modo più economico e più diffuso possibile, sgravando i medici sportivi da assurde responsabilità che non devono avere e snellendo i controlli per chi già fa visite ogni anno ed è già abbastanza sotto controllo) le questioni nelle quali non si discute più sono le questione di ordine tecnico dove ormai parlano solo pochi santoni e tutti gli altri stanno ad ascoltare in modo religioso (qui sì c’è un alto senso religioso…). Un tempo (non ai tempi della pietra, parlo solo di trenta-quarant’anni fa) ogni atleta era un tecnico ed ognuno aveva la sua verità. Probabilmente tutti sbagliavano e mi tocca dire “sbagliavamo” includendo il sottoscritto che era uno di quelli, ma almeno c’era dibattito, si parlava. Oggi è tutto appiattito su informazioni provenienti da televisioni, Internet, applicazioni di telefonini.

Così come siamo controllati noi tramite mille dispositivi tecnologici c’è l’informazione controllata che non va la di la delle quattro acche che fanno comodo al mercato.

Poi io mi lamento se la maggior parte delle domande che mi arrivano riguardano l’utilizzazione dei pesi nella preparazione e di macchine da palestra nonché… le diete delle quali io, da insegnante di educazione fisica, proprio non tratto.

E’ un problema di comunicazione, non parliamo più, finiamo per parlare solo che delle scemate che fanno comodo al mercato, altro che principi etici e religiosi.