IL LUSSO DI POTER ANDARE PIANO

Quando dico che per risolvere il problema della mancanza di movimento degli italiani bisogna aver il coraggio di mettere il limite di velocità per le auto ai 30 chilometri all’ora in tutte le città, a cominciare da Roma che deve dare il buon esempio, vengo insultato come radical chic che ha la testa su un altro pianeta e che non si rende conto che è già in atto una crisi economica colossale e questo brusco “rallentamento” del modo di vivere sarebbe la mazzata finale che mette in ginocchio l’economia del tutto. Indubbiamente metterebbe in ginocchio un certo tipo di economia ma spronerebbe anche la nascita di un nuovo tipo di economia che potrebbe anche essere meno peggio di questa visto che questa sta collassando del tutto in preda ad un delirio da stress incontrollabile che ci costa una fortuna in termini di salute.

Andare piano è certamente un lusso. Ma quando serve a salvare vite umane ci si chiede se non sia un lusso da ricercare. Infarti, tumori, incidenti sono strettamente correlati con lo stress e con la bruttissima esigenza di andare più veloce per produrre di più, per guadagnare di più. Io sostengo sempre che un po’ più poveri ma un po’ più sani staremmo meglio e così rincaro la dose dei miei detrattori che aggiungono: “radical chic e pure tonto all’inverosimile in modo quasi sospetto…”.

La cosa splendida è che andare piano è un lusso pure nello sport. Lo sport che è un divertimento nella sua “normalità” ti suggerisce di “andare forte”.

E allora mi vengono in mente i campioni veri, quelli che si sono permessi il lusso di vincere anche andando piano e prima di spiegare perché da quel punto di vista l’astista sovietico Sergej Bubka forse è stato il più infinito di tutti, mi piace ricordare una bella edizione della “Montefortiana”, corsa che si corre a poche decine di chilometri da casa mia tutti gli anni in gennaio.

Era l’anno dell’alluvione di Monteforte e Soave, nel’inverno 2010-2011, e quell’edizione della corsa agonistica rischiava di essere sottotono perchè l’alluvione aveva colpito a tutti i livelli. Gli atleti keniani, i favoriti della gara, decisero di partecipare ugualmente anche senza percepire rimborsi spese (questi sono professionisti a tutti gli effetti che si guadagnano da vivere con la corsa) per fare un po’ di beneficenza e dare un po’ di lustro alla corsa che senza la loro presenza rischiava di naufragare (proprio da alluvione…) in una corsa di basso livello.

Ebbene, guardando la corsa ebbi la percezione dello strapotere africano in quel tipo di competizioni per quello che avvenne in seguito a questa decisione. Praticamente questi decisero di dare spettacolo senza dannarsi l’anima più di tanto, perché probabilmente dovevano andare a monetizzare il mancato guadagno di quel pomeriggio in qualche altra gara pochi giorni dopo.

Così decisero di correre ma senza ammazzarsi di fatica. Facevano un po’ finta di fare fatica ma non ne facevano assolutamente. I loro volti erano da attori ma le loro gambe recitavano un’altra commedia. Staccavano inesorabilmente tutti gli italiani impegnati per stare più vicini possibile al loro gruppo almeno in quel giorno di finta gara, ma per gli italiani non ci fu scampo, pur a regime ridotto il distacco era incolmabile e poi, dulcis in fundo, nel rettilineo nascosto al pubblico a poche centinaia di metri dal traguardo si giocarono la vittoria a pari o dispari, inscenando pure un  finto sprint finale sul quale tutto il pubblico ha abboccato perché per quanto finto e concordato si è disputato sul filo dei 30 chilometri all’ora che per chi  mastica qualcosa di corsa sa che è una velocità alla quale la gran parte dei ragazzini italiani, ahimè, non riescono a correre nemmeno per 100 metri.

Ecco, questi diedero spettacolo andando piano, si poterono permettere il lusso di andare piano e reggere la scena ugualmente offrendo una prestazione di grande livello e proprio quel giorno io vidi uno spettacolo ancora più entusiasmante del solito.

Sergey Bubka ancorché non africano e specialista del salto con l’asta fa questa scena per una decina di anni sul palcoscenico dell’atletica mondiale e non prende assolutamente in giro nessuno così come i keniani non hanno preso in giro nessuno a Monteforte, anzi hanno offerto gratis uno spettacolo sublime. Sergej Bubka, senza giocarla a pari e dispari, per una decina d’anni centellina i suoi record del mondo del salto con l’asta e si può pure dire che l’ultimo, quello destinato a restare nella storia, sia qualitativamente il meno valido, forse l’unico autentico perché ottenuto da un fisico che ormai su quelle prestazioni era al limite. Prima ha “giocato” ma sarebbe meglio dire “lavorato” perché l’ha fatto con grande professionalità, a fare il record del mondo un centimetro alla volta per un numero di volte che anche noi del settore abbiamo perso il conto. Questo è stato probabilmente l’unico atleta della storia dell’atletica leggera che sia riuscito a fare i record del mondo “frenando”. Altri hanno vinto grandi gare frenando, tantissimi sono diventati dei maestri del turno eliminatorio al risparmio al limite del rischio eliminazione ma questo, controllandosi, ha fatto i record del mondo. Quanto valesse il miglior Sergej Bubka al top della forma non l’ha mai saputo nessuno, l’unica cosa che si sa è che quando ormai era nel declino ha fatto ancora il record del mondo, probabilmente le ultime volte sì, sparando tutte le cartucce, per fare un record in più.

Ora se è vero che il campione che fa i record stratosferici è ancora più campione, è anche vero che il campione che fa questi record e risparmia pure energie per avere una carriera abbastanza lunga è ancora più forte degli altri. Il vero campione è quello che si può permettere il lusso di vincere andando piano. Se la salute non lo tradisce questo ha tutte le premesse per durare sulla scena per un bel po’ perché anche se vincere logora psicologicamente (ma a volte perdere sempre logora ancora di più…) riuscire a vincere senza dare tutto ti aiuta a resistere nel tempo più di chi per vincere è costretto a fare miracoli.

Dunque, trattando di campioni la possibilità di andare piano è un’opzione per pochi eletti, pochi campionissimi riescono a vincere anche andando piano e quando sono in questa condizione sublime il loro compito, visto che sono attori dello sport spettacolo, è quasi più quello di far finta di essersi impegnati al massimo che non quello di sparare tutte le cartucce, appunto.

Mi viene in mente uno Steve Ovett in grado di correre i 1500 metri sotto ai tre minuti e mezzo già nei primi anni ’80 ma che non ci provava mai per non crearsi problemi futuri. Praticamente faceva il record del mondo solo se qualcuno lo costringeva a farlo come quella volta nel 1980 a Colonia che fece il record del mondo per sbaglio per scappare ai  tedeschi Harald Hudak e Thomas Wessinghage che lo rincorrevano a breve distanza. Recentemente ho visto delle maratone di livello mondiale dove il vincitore non ha forzato il ritmo per non rischiare di perdere il record del mondo oltre alla gara. E quelle sono scelte razionali che da un punto di vista sportivo possono sembrare fin troppo ponderate ma sono quelle che ti danno l’esatta misura del campione che è anche in grado di ragionare su quale sia l’opzione per lui più conveniente più che sparare a tutta senza pensarci su.

Quello che è difficile vedere in giro invece, ma qui sono improvvisamente passato ai campi di periferia più che ai riflettori dei grandi stadi è l’esercizio dell’opzione di “andare piano” da parte di quella marea di atleti che potrebbero permettersi il lusso di andare piano senza perdere il becco di un quattrino. Insomma mentre il campione che disciplina le sue energie è un grande professionista ed è proprio grande in quanto in grado di esercitare un preciso e perfetto autocontrollo, l’atleta meno performante è un emerito pirla condannato a sparare sempre al cento per cento del suo potenziale prestativo.

Ecco, io in modo un po’ eccentrico, dico che questo tipo di atleta farebbe invece molto bene ad emulare il campione perché visto che non ha problemi di natura economica nello svolgimento della sua pratica sportiva (salvo quelli di doversi pagare le spese per fare sport…) dovrebbe tenere presente che una pratica sportiva dove l’ardore agonistico viene modulato e centellinato a dovere è tendenzialmente più salutare di una pratica agonistica dove in modo istintivo, senza pensare a nulla, si tira sempre a tutta. Il commento più frequente a questo atteggiamento è “Penso già troppo nell’esercizio della mia professione, quando vado sul campo sportivo voglio scaricare gli istinti punto e basta” e questa può essere una motivazione più che sufficiente per agire come la maggior parte degli atleti agonisti molto impegnati che sono spesso protesi a cercare il massimo rendimento possibile per avvicinarsi almeno parzialmente al rendimento esasperato dei grandi campioni. Però io dico che quando certe velleità sono obiettivamente poco razionali, sarebbe invece proprio bello emulare i grandi campioni, pensarci un po’ su e disciplinare in modo un po’ meno istintivo la propria capacità prestativa.

Insomma da un punto di vista psicologico forse la carta vincente è proprio abbandonarsi agli istinti ed improvvisare quel che viene di giorno in giorno, da un punto di vista della salute e, tutto sommato, anche del rendimento sportivo che fa sempre piacere a 20 anni come a 70, è più opportuno pensare a ciò che si fa anche se forse porta via un po’ di tempo e a volte può pure essere anche un po’ noioso. A ben guardare il lusso di poter andare piano non è concesso solo ai campionissimi, con un po’ di buona volontà può essere concesso a tutti i mortali che hanno voglia di fare un po’ di sport sano. E’ sano anche se è controllato nel suo svolgimento, anzi lo è ancor di più.