I TEORICI DELLA GRAPPA DI POMI

Non tutta la storia è scritta. Dei teorici  della grappa di pomi non è stato scritto pressoché nulla. Qualcuno non sa nemmeno che siano esistiti. Anzi, solo qualcuno sa che siano esistiti.

All’ISEF di Verona, a fine anni ’80, c’era un gruppo di ragazzi trentini di indubbie capacità e molto portati per lo studio delle scienze motorie. Erano per lo più ragazzi arrivati all’ISEF dopo esperienze già consistenti in sport praticati con molta dedizione, sci, tennis, calcio, atletica ed altri sport che avevano plasmato questi ragazzi e li avevano resi degli autentici curiosi del movimento.

Questi ragazzi avevano contagiato con il loro entusiasmo altri ragazzi dei loro corsi e così si era creato un vero e proprio movimento culturale denominato dei “teorici della grappa di pomi”. Non si è mai saputo se la grappa di pomi circolasse davvero nei loro appartamenti o non fosse, per esempio, un’ invenzione dei colleghi friulani (anch’essi presenti in buon numero all’ISEF di Verona in quegli anni) degustatori sofisticati di grappa e ipercritici nei confronti di qualsiasi grappa che non fosse della loro terra.

Ciò che non è leggenda ma è certamente autentico è il tipo di approccio allo studio che avevano questi ragazzi che poi aveva contagiato molti altri studenti. Non studiavano certamente per il voto, non  studiavano per passare l’esame, studiavano con passione e con vero piglio scientifico animati da un sano interesse verso l’evoluzione della teoria e metodologia dell’allenamento sportivo.

Ricordo che a lezione si respirava questo clima e si percepiva anche una certa frattura fra questi “rivoluzionari” del modo di affrontare i corsi di studio e gli studenti un po’ rilassati ed apatici che borbottavano ogni qualvolta la lezione veniva interrotta da domande strane e complesse. Pareva che questi ultimi fossero più interessati a trascrivere sugli appunti il maggior numero possibile di informazioni  necessarie a superare l’esame più che attenti ad ascoltare le osservazioni acute ed originali di questi ragazzi. Insomma tutto quanto andava al di là del programma del corso di studio non era visto di buon occhio dai “collezionisti di appunti” che vedevano in quelle osservazioni una pericolosa minaccia all’estensione degli argomenti materia di dibattito fuori da quanto previsto dal libro di testo. Da un lato la vera curiosità scientifica capace di osservare e “creare” dall’altra il rispetto dell’ortodossia sempre in dubbio fra rigore metodologico e pigrizia intellettuale.

Insomma in quegli anni (e sono passati quasi trent’anni) si discuteva già di allenamento situazionale nel calcio, anche se sui libri di testo ce n’era scritto gran poco, di psicologia fisiologica che cominciava ad apparire sui testi ma non era certamente diffusa e sulle applicazioni della teoria dell’esasperazione della devianza in biomeccanica, cosa che ancora oggi per molti allenatori è assolutamente sconosciuta. In una parola eravamo all’avanguardia.

Non era necessario sapere queste cose per superare gli esami, il partito degli scriba aveva una grande capacità di passare gli esami con il massimo dei voti. Erano quelli specializzati in “tecnica del superamento dell’esame” ed erano loro che si arrabbiavano quando a lezione si andava a discutere di argomenti che non erano riportati sul testo.

Ho una grande nostalgia di quegli anni, ricordo benissimo quando dopo qualche mia domanda “complessa” qualcuno commentava con sarcasmo: “Ecco, è anche lui un appartenente al gruppo dei teorici della grappa di pomi…” e con nostalgia ricordo un eroico esame di farmacologia nel quale mi sono sentito in tutto e per tutto un sostenitore di quel gruppo.

Definisco eroico quell’esame perché ho rischiato di doverlo ripetere dopo che lo avevo praticamente già superato con successo. Verso fine esame siamo andati sull’argomento doping, uno degli argomenti più dibattuti e sviscerati dal gruppo perché già allora era molto importante e decisivo nello sport di vertice. Decisi in un istante di immolarmi alla causa dei “teorici della grappa di pomi” e con una coerenza che forse può essere solo di quell’età pensai: “Adesso a costo di farmi bocciare dico tutto. La coerenza scientifica è più importante del superamento dell’esame.”  Nel corso di farmacologia l’argomento doping era stato affrontato in modo superficiale e sapevamo benissimo che alla professoressa bastava che recitassimo una breve filastrocca a memoria nella quale dichiaravamo di essere del tutto contrari al doping perché comportava più rischi che benefici e che ciò sarebbe stato più che sufficiente a soddisfare l’insegnante. Decisi di affrontare seriamente l’argomento senza false semplificazioni. L’argomento è terribilmente attuale anche quasi trent’anni dopo. Posso citarne solo brevi passaggi perché quella fine esame fu abbastanza lunga e tormentata. Tentai di spiegare perché l’autoemotrasfusione, ancorché dichiarata fuori legge da qualche anno, era ancora molto diffusa in Italia ed in molti altri paesi. In tempi non sospetti, quando era lecita, era stata inventata dai finlandesi che l’avevano applicata con grande successo sui loro atleti. Poi era stata ripresa e rivista dagli italiani che l’avevano perfezionata al punto tale che i sovietici, interessati a quella pratica per il miglioramento dei risultati dei loro atleti, avevano chiesto consigli direttamente agli italiani scavalcando i finlandesi che l’avevano inventata. Non c’era certezza scientifica sull’entità del miglioramento delle prestazioni conseguente a questa pratica dopante che per un bel po’ di anni non  è stata vietata ma le pubblicazioni scarseggiavano e le informazioni erano gelosamente custodite dai medici delle varie scuole. Tuttavia, negli ambienti attenti a queste cose, si vociferava che i miglioramenti fossero consistenti e potessero arrivare ad essere sull’ordine di 40″ sui 10.000 metri per un atleta di alto livello. Quanto ai rischi conseguenti a questo tipo di pratiche non vi erano studi pubblicati ma il fatto che centinaia di atleti si fossero sottoposti a tali trattamenti con una certa continuità e per un certo numero di anni poteva fare immaginare che il rischio fosse almeno monitorato in qualche modo.”  Man mano che raccontavo queste cose la professoressa cambiava colore più volte e per riportarla ad un colorito più normale dovevo spesso interrompermi dicendo che io ero comunque “assolutamente” contrario a questo tipo di pratiche e pertanto mi dissociavo da questa filosofia abbracciata dai medici di molte federazioni sportive. In realtà io non ero certamente a favore di questo tipo di pratiche ma il fatto che fossero state improvvisamente vietate e gli atleti continuassero comunque a praticarle mi incuriosiva. In conclusione riuscii a passare l’esame solo in virtù di quanto esposto brillantemente nella parte precedente dell’esame ma non certamente per quanto esposto con garbo e prudenza ma in modo quasi irriverente a fine esame.

I teorici della grappa di pomi a mio parere sono fin troppo attuali e ancora oggi quando sento affrontare in modo superficiale alcuni argomenti mi domando se non sia che tutto il mondo è diviso fra chi scrive solo appunti per ripetere la poesia a memoria e chi ascolta e tenta di capire per fare domande che danno fastidio ma sono essenziali per progredire.

C’era allora e c’è ancora adesso nello sport una dicotomia fra quella che è la realtà oggettiva e ciò che si può raccontare al pubblico. E’ essenzialmente un problema di giornalismo dello sport che non è mai stato risolto ed invece ha prodotto delle aberrazioni. Ne parlavo proprio oggi con quello che era il direttore dell’ISEF di allora che, un po’ nostalgicamente, affermava come certe cose riuscissimo a vederle un po’ meglio allora. Non so se sia finita la grappa di pomi o siano mutate alcune altre situazioni, forse per tentare di capirci qualcosa bisognerebbe riconvocare il gruppo dei teorici…