I MITOCONDRI OPPURE… TOLSTOJ

Questa non è la fotocopia di un articolo molto strano che scrissi un paio di anni fa intitolato “I mitocondri oppure un buon libro” però riprende alcuni spunti di quell’articolo ed è quasi più azzardato ancora nel senso che non mi limito a dire un buon libro bensì nientepopodimenoche un’ opera di Tolstoy: Guerra e pace.

Sono diventato vecchio prima di leggere “Guerra e pace” e adesso che l’ho letto ne ho rammarico. C’è che a scuola mi obbligavano a leggere certi libri (uno a caso “I promessi sposi” che se fosse per me non avrei mai letto…) e così solo all’idea di leggere un colosso della letteratura che poteva anche essere di interesse scolastico già partivo con il piede sbagliato. In breve finivo per leggere cose delle quali  ero più o meno sicuro che non avrei mai dovuto rendere conto a scuola.

Allora per quanto riguarda la pappardella sui mitocondri vi rimando all’articolo precedente intitolato appunto “I mitocondri oppure un buon libro”. Qui mi limito a riprendere solo il fatto che per conto mio un intervento volto ad aumentare il numero di mitocondri nel sangue di un atleta è più un intervento da medico che da tecnico ed il tecnico lavora molto più sugli aspetti coordinativi ed emozionali che sui parametri bioumorali come può finire per fare il medico.

Voglio invece soffermarmi sulla scelta di “Guerra e pace” di Tolstoj. Perché il buon libro può essere questo. L’atleta a mio parere è un soggetto che pensa molto. E’ proprio perché è un atleta che pensa molto. E’ chiamato a gesti di grande qualità se vuole essere un buon atleta e per produrre tali gesta deve indubbiamente pensare molto, sapersi concentrare ed è più volte portato a rivedere la motivazione che lo spinge a tali risultati sportivi. Dire che un atleta sia come un soldato in guerra è proprio una gran fesseria. Per certi versi è proprio una cosa antitetica perché il soldato è lì a soffrire e l’atleta è lì a divertirsi.

Poi però accade che l’atleta per divertirsi davvero deve vincere una battaglia ed allora anche se in un campo dove non si fanno né morti né feriti e dove il risultato delle scontro non sono atrocità inenarrabili bensì uno spettacolo sportivo, comunque entrano in ballo delle logiche di massimo impegno, massima concentrazione e studio delle migliori strategie per vincere, non a tutti i costi ma nei limiti delle regole sportive.

Tolstoj in “Guerra e pace” scrive di vita e ne scrive con una maestria sopraffina. Scrive di vita bella e di vita difficile perché la vita mai come in guerra è difficile. Lo sport ha nella sua componente addestrativa il lato duro della vita. Si passano dei momenti difficili per vivere dei momenti entusiasmanti frutto di queste fatiche. E’ guerra e pace. Ed è guerra quando ti applichi nelle sedute di allenamento ed è sempre guerra perché anche nelle sedute di recupero, generalmente non impegnative, sei comunque lì a studiare le migliori strategie possibili per un buon recupero perché sai che da quello dipende la possibilità di svolgere altre sedute di alta qualità appena finito il recupero. Ed è pace quando c’è la competizione perché si vinca o si perda la competizione è sempre una festa ed è vita perché ti trovi con gli altri sportivi nel momento più esaltante dell’attività sportiva.

Alcuni atleti vivono un po’ al contrario questo “Guerra e pace” nello sport e sono quelli che in allenamento sono un po’ menefreghisti e si allenano con poco impegno e poi in gara esplodono in un agonismo senza confini che in talune situazioni li porta ed essere anche poco sportivi. La logica dello sport insegna il contrario: a migliorare se stessi per poi poter avere un grande controllo in gara e poter vincere senza bluffare, senza scorrettezze.

Vista in un modo o vista nell’altro la vita facile e quella difficile sono comunque presenti nello sport.

Di Tolstoj mi piace l’analisi del pensiero umano e quella sua estrema cautela nel giudizio a sentenziare su chi sia nel giusto e su chi sia in errore, l’attenzione al singolo fatto umano più che alla questione di stato ed un grande rispetto per gli umili che deve essere la prima lezione di qualsiasi fatto sportivo oltre che di carriera militare.

Ma in ogni caso non è con lo spirito con il quale mi è stato proposto il Manzoni quello con il quale voglio proporre Tolstoj a chi non l’ha già letto. Quello che  mi preme sottolineare ulteriormente invece è come qualsiasi intervento che vada ad informare le mappe cerebrali sia un intervento praticamente indelebile nella memoria dell’atleta e dunque un intervento con effetti di lunga durata. Non altrettanto si può dire di un intervento volto ad alterare la composizione sanguigna che può esaurire i suoi effetti nel giro di pochi mesi se non è reiterato con altre pratiche volte allo stesso obiettivo. Insomma l’atleta è un soggetto con un fisico del tutto particolare e con una testa che deve essere in grado di far funzionare questo fisico del tutto particolare. Insisto nel dire che la lettura di un buon libro può avere effetti anche decisivi per la maturazione sportiva di un atleta, sono perfettamente consapevole del fatto che solo questo gesto non sia in grado di mettere l’atleta nella condizione di entrare in forma. Ma la messa a punto della forma sportiva è una battaglia mentre la costruzione della motivazione è la vera guerra dell’atleta che se non trova un vero scopo alle sue fatiche finisce presto di reiterarle.