Una delle tante dispute amletiche nella teoria e metodologia dell’allenamento sportivo sta nell’adozione o meno del sistema dei blocchi di lavoro per promuovere nuovi adattamenti e nuovi livelli prestativi nell’atleta. In sintesi si tratta di capire se vale la pena insistere con certe metodiche di allenamento in modo massiccio a costo di squilibrare almeno temporaneamente la preparazione o se invece comportarsi sempre in modo molto prudente in modo da non turbare delicati equilibri e promuovere un armonioso e graduale innesco di tutti gli adattamenti.
Tentiamo di fare un esempio pratico per non perderci in un sacco di parole che possono prestare il fianco ad interpretazioni diverse e di vedere eventuali ipotetici pro e contro di una scelta o dell’altra.
Allora esempio banale: il corridore di distanze medie che ha certamente bisogno sia di velocità che di resistenza e decide di tentare di migliorare soprattutto l’aspetto della velocità perché lo ritiene più carente. Per sommi capi e con un po’ di schematismo si può dire che può provare con la teoria del lavoro a blocchi oppure solo incrementando il lavoro di velocità in modo graduale ma senza rompere la continuità con la preparazione precedente.
Analizziamo subito l’inconveniente numero uno del metodo a blocchi: la possibilità che si crei un sovraccarico funzionale e che pertanto possa verificarsi un infortunio. Tale ipotesi non è del tutto di improbabile accadimento perché per definizione il lavoro a blocchi è un po’ traumatico e per certi versi pesante. Il “blocco” di lavoro può essere difficile da digerire, perchè crea una discontinuità con la preparazione precedente ed è una innovazione un po’ netta rispetto a quella.
L’inconveniente numero uno da origine anche al potenziale vantaggio numero uno: il blocco di lavoro è facilmente riconoscibile sia a livello nervoso che a livello fisico e dunque è piuttosto semplice nella sua modalità di innesco dell’adattamento. E’ uno stimolo decisamente leggibile e promuove adattamenti di tipo organico e di tipo nervoso. Ha nella sua semplicità di stimolazione anche un certo vantaggio, non fa caos.
Passiamo al difetto numero due correlato con questo vantaggio: forse è perfino “troppo” semplice e non è detto che deva assolutamente andare ad inserirsi armoniosamente nel processo di perfezionamento sportivo. La semplicità di riconoscimento può essere un’arma a doppio taglio: così come l’organismo riconosce facilmente lo stimolo allenante decide anche semplicemente che tale stimolo non deve andare ad alterare uno schema motorio complesso messo a punto in tempi molto lunghi e che non è il caso di alterare per una sollecitazione anche piuttosto forte ma temporanea. Esempio pratico astratto ma non troppo: grazie al blocco di lavoro sulla velocità il mezzofondista migliora effettivamente la sua capacità di correre veloce sui 100 metri passando per esempio dal tempo di 12″ netti a quello di 11″6 sui 100 ma non migliora altrettanto concretamente anche la sua capacità di tradurre nelle distanze superiori tale miglioramento al punto che migliora solo di pochi decimi il tempo sui 400 (per esempio da da 50″5 a 50″0) e proprio per niente il tempo sugli 800, andando invece a peggiorare sensibilmente il tempo sui 1500 che risente di questo sbilanciamento della preparazione in modo piuttosto netto.
Il secondo vantaggio si trova nella possibilità di mettersi con calma, sempre con il metodo del lavoro a blocchi, ad inserire questi nuovi adattamenti nel nostro schema motorio di riferimento che è quello precisamente riferito alla specialità del mezzofondista e così, sempre stando a quell’esempio, tale atleta se in un primo tempo ha semplicemente peggiorato il proprio risultato sui 1500 portandolo da 3’50” a 3’57” in un secondo tempo potrà gradualmente mettere a frutto il miglioramento di velocità ottenuto con il lavoro a blocchi approdando a 49″ netti sui 400, poi portando il personale sugli 800 da 1’51” a 1’48” e dulcis in fundo creando anche le premesse per poter correre i 1500 in tempi successivi sotto i 3’40”. Ovviamente questa sembra teoria da mondo delle favole ed infatti, terzo ed ultimo inconveniente sul quale voglio soffermarmi in questa breve analisi del lavoro a blocchi, con tale scelta bisogna anche avere una certa fortuna perché alla fine è anche un procedimento piuttosto lungo per giungere al risultato, ci si può perdere per strada e gli inconvenienti si possono manifestare in una qualsiasi delle tappe di trasformazione del lavoro a blocchi. Il terzo vantaggio sta nella trasparenza dei miglioramenti che si innescano se l’atleta non si infortuna che sono abbastanza netti, clamorosi ed inequivocabili.
Tentiamo di capire quali possono essere vantaggi e svantaggi del metodo opposto: il classico miscuglio operato con precisione certosina, avendo cura di non creare mai particolari squilibri nella preparazione.
Allora: primo vantaggio di tale modo di procedere è il fatto di esporsi di meno al rischio di infortuni. Non c’è mai una grande discontinuità nel sistema di preparazione e pertanto l’organismo è abbastanza preparato a ricevere i nuovi stimoli allenanti, molto graduali e quasi camuffati nel contesto.
Il primo svantaggio correlato a questa cosa è il “non riconoscimento” di una situazione nuova. L’atleta rischia di assopirsi in una routine che non evidenzia novità particolari di carico anche se il carico, pur se gradualmente, varia. Insomma la fatica c’è ma non crea nuove situazioni.
Il secondo vantaggio è la possibilità di non creare squilibri nella preparazione e poter migliorare su tutti i fronti contemporaneamente anche se un aspetto della preparazione è più considerato di altri. Seguendo il nostro ormai famoso esempio l’atleta passa da 12″0 sui 100 a 11′”8 ma quei due decimi li mette subito a segno anche in un buon miglioramento sui 400 dove approda subito a 49″6 e pure sugli 800 dove in poco tempo passa a 1’49″5. Anche nei 1500 migliora pur se di poco, portandosi a 3’48”. Il secondo svantaggio è fratello del vantaggio: in realtà non ha migliorato in modo sostanziale su nessun fronte, piccoli interessanti miglioramenti ma non decisivi per farlo ragionare in modo un po’ spregiudicato per altri obiettivi.
Terzo vantaggio: non avendo creato grossi squilibri l’atleta è pronto per ripartire con nuovi obiettivi e non ha la sensazione di aver fatto cose epocali pertanto è cresciuto in modo armonico e graduale, quasi senza accorgersene. Terzo ed ultimo svantaggio: o l’atleta è armato di grande pazienza oppure potrebbe essere portato a pensare che grandi miglioramenti non li farà proprio mai e la sua speranza è che non infortunandosi mai e con tanta pazienza possa approdare a risultati che un giorno saranno davvero significativi.
Spero di essere stato abbastanza imparziale in tale descrizione e non aver parteggiato per un metodo o per l’altro. In effetti nella mia carriera di atleta ho visto atleti ottenere risultati sia con un metodo che con l’altro.
In ogni caso un’opinione me la sono fatta ed è essenzialmente sulla tipologia di atleta che può prestarsi ad un metodo o all’altro. L’atleta d’assalto, con grandi progetti e che non ha paura di farsi del male perché sa comunque reagire bene agli infortuni a mio parere fa bene a rischiare con il metodo a blocchi. Al contrario l’atleta paziente che è una specie di mulo che non si sfianca mai ma non può permettersi il lusso di farsi del male perché se si ferma va in depressione e non ne viene più fuori, quello ha bisogno di lavorare con prudenza e con calma per scongiurare assolutamente gli infortuni. E’ destinato a maturare atleticamente in modo più lento dell’atleta d’assalto ma se non è un temerario non ha altra possibilità di scelta. Inutile che vi dica che ho visto più frequentemente questi tipi caratteriali fra i corridori di lunghe distanze che non fra i velocisti. Anche per doti caratteriali il velocista è tipicamente un impulsivo, meno paziente. Poi ci sono le eccezioni ed ovviamente ogni generalizzazione è assolutamente inopportuna. Facilissimo trovare l’atleta che annoiato da un certo metodo decide di cambiare completamente, chi adotta il lavoro a blocchi per provare finalmente qualcosa di nuovo e chi da questo si trasferisce al metodo “miscuglio” per la voglia di fare un qualcosa di meno stressante possibile che possa garantire comunque almeno piccoli miglioramenti rischiando meno di infortunarsi.