Ho sempre criticato la televisione come strumento di diffusione di bassa cultura in tema di attività motoria. In effetti la televisione non fa altro che veicolare le mode e pertanto la colpa di questa bassa cultura più che altro è da attribuire alle mode, si tratta di capire se è nato prima l’uovo o la gallina. Una televisione senza mode forse potrebbe trasferire contenuti un po’ più interessanti ma probabilmente una televisione senza mode non potrebbe neppure esistere. Il vero motore è il mercato che si serve delle mode e le veicola tramite la televisione, se non esistesse la televisione riuscirebbe comunque a veicolarle con altri strumenti, lo sta facendo pure con Internet in modo devastante, tanto è vero che i peggiori contenuti sull’attività motoria probabilmente passano proprio attraverso Internet, questo sito ne è un fulgido esempio…
Ovviamente il mercato non ha finalità di ampliamento della cultura dell’attività motoria ed è solo interessato agli aspetti commerciali dell’attività fisica. Data in pasto agli esperti di marketing l’attività fisica diventa solo un grosso fatto commerciale un po’ come il business delle diete e degli integratori.
La manipolazione dell’informazione è determinante perché se viene fuori che è sufficiente mangiare in modo equilibrato e muoversi all’aria aperta per stare bene chi si mette più a dieta, chi compra gli integratori e chi si rintana più nelle cattedrali del fitness a pedalare come un ossesso stando sempre fermo sullo stesso posto?
L’immagine offerta dal mercato del soggetto che fa attività fisica è un’immagine semplicemente mostruosa. E’ l’immagine di un soggetto terribilmente triste ed egocentrico che si occupa solo del suo aspetto fisico, praticamente disinteressato alla sua salute ed a quella della comunità, senza ambizioni di rendimento sportivo. Chiuso fra quattro mura pedala alla ricerca di un aspetto esteriore che è determinato solo dalla moda e non da esigenze fisiologiche di adattamento per migliorare qualche capacità, mentre lui pedala immerso nei suoi problemi esistenziali altri pedalatori meno inquadrati tentano di sopravvivere all’esterno di quelle quattro mura in una lotta che avrebbe bisogno proprio di tutti i pedalatori per essere portata avanti con successo, non solo dei temerari che ancora si fidano a pedalare su un mezzo che avanza davvero e non è ancorato al pavimento.
Il mercato vuole questo. Ed il mercato vince perché non abbiamo amministratori lungimiranti che sappiano condizionarlo per migliorare la salute dei cittadini. Se è documentato che una certa bevanda fa male alla salute e nonostante ciò è diffusissima e provoca danni fra i giovani che dopo costano cifre esorbitanti al sistema sanitario nazionale, pagato da tutta la comunità, allora è giusto tassare in modo adeguato quella bevanda così come si fa per le sigarette e come si fa con il gasolio che è vero che potrebbe costare molto meno ma se costasse poco la gente si metterebbe pure a berlo oltre che acquistarlo per mezzi di trasporto ancora troppo inquinanti che dovrebbero essere assolutamente riconvertiti ad altri sistemi di alimentazione più ecologici.
Il mercato sta imperando nel settore del fitness dove c’è esigenza assoluta di liberarsi dalle macchine per riqualificare il lavoro degli istruttori che troppo spesso sono sottopagati e semplici “addetti alla sala macchine”. Un buon istruttore ti da informazioni che sono cento volte più utili di tutto il lavoro che puoi fare in una sala macchine splendidamente attrezzata, solo che alla fine il buon istruttore prende lo stipendio e le macchine no. Anche lì comanda il mercato, come insegnanti di educazione fisica potremo riacquistare dignità solo se sapremo liberarci della schiavitù delle macchine. Meno cyclette ipertecnologiche e più competenza, questo è il motto. In realtà la vera lotta contro le macchine si svolge fuori dalle mura della palestra laddove i pedalatori che rischiano la vita sono reclutati da chi gestisce in malo modo l’attività fisica nelle palestre (in genere sono grandi imprenditori e non tecnici, questo è il problema…) e convinti ad andare a pedalare dentro alla palestra dove c’è l’aria più pulita (non è vero) e dove fa più figo perché se fai attività all’aperto vuol dire che sei proprio un pezzente che non può nemmeno pagarsi la palestra.
La green economy passa anche da queste cose. Sono scelte difficili perché pesano tanto in termini economici sulla società e senza un forte, coraggioso e deciso intervento degli amministratori locali non possono essere portate avanti. Purtroppo, anche se giochiamo a fare i fighi, siamo solo una massa di pezzenti perché non abbiamo ancora i mezzi finanziari per liberarci di un tipo di mercato che a livello di salute fa solo che danni. Gli oltre 100 miliardi di bilancio del sistema sanitario potrebbero essere tranquillamente ridotti di un buon 10-20% (e non sono bruscolini) se solo sapessimo vincere un paio di battaglie di moda e costume. La bicicletta potrebbe essere la protagonista di queste battaglie.
La bicicletta classica che ci libera dalle cyclette e costringe gli istruttori di palestra a mettersi a lavorare in modo più competente ed efficace invece di mettere l’allievo sulla cyclette e la bici elettrica che libera le strade delle città italiane e lascia lo spazio per chi vuole pedalare in strada invece che in palestra. Chi vuole pedalare facendo fatica come in palestra pedala su una bici senza motore elettrico, chi invece usa la bici come mezzo di trasporto perché dell’auto non ne può più e dello scooter che inquina quasi quanto un’ auto idem, può usare la bici elettrica che ti consente di arrivare al lavoro senza essere sudato nonostante che ti abbia già fatto fare una certa quota di attività fisica interessante per la salute.
Sono due business potenzialmente molto interessanti, soprattutto quello delle bici elettriche, ancora molto poco diffuse sul territorio, ma anche quello delle bici normali perché è legato alla problematica della costruzione delle piste ciclabili che muove pure un business di green economy. Purtroppo sono due business che muovono un enorme “antibusiness” ed è questa la tristezza della nostra povertà, della nostra incapacità di portare la moda su binari ecologicamente sostenibili. L’auto anche se fintamente moderna (l’elettrico è ancora al palo, l’idrogeno l’hanno già sepolto prima ancora di lanciarlo…) è ancora terribilmente di moda ed anche se il design delle moderne vetture è semplicemente patetico continua a funzionare come status symbol. Se diventa di moda muoversi all’aperto, riappropriarsi delle nostre città, andare in bicicletta anziché in auto, crolla un certo tipo economia che muove cifre ancora più importanti di quelle già macroscopiche gestite dal nostro sistema sanitario.
Da un punto di vista economico non siamo ancora pronti per una green economy che possa salvare la nostra salute. Siamo dei pezzenti. Dei pezzenti che spendono decine di migliaia di euro per vetture che inquinano quasi come le vetture di trent’anni fa.
E mancano gli imprenditori con le spalle coperte. Perché di ricchi ce ne sono tanti ma di veramente autonomi non ce ne sono. Non ce n’è nessuno che si può permettere il lusso di lanciare sul mercato la bicicletta italiana da mille euro (o anche meno) che conquista il mercato e fa scoprire agli italiani la gioia di liberarsi della schiavitù dell’auto. Perché siamo tutti ancora inesorabilmente dei pezzenti, anche chi spende decine di migliaia di euro per il mezzo che sembra all’ultima moda ma funziona con la tecnologia ed il carburante di trent’anni fa.
La green economy è il futuro. Il futuro non arriva in un attimo. Al momento, se andate in una palestra, preparatevi ad essere spediti a pedalare su una cyclette ipertecnologica. L’istruttore competente, in molte palestre, è ancora un optional, in quelle grandi e piene di lustrini a volte è addirittura fastidioso.