Quando trattiamo di lunghe distanze, dove la crisi da fatica può essere una vera e propria crisi da esaurimento energetico, più che una crisi psicologica, possiamo considerare un tipo di approccio a questa crisi che è diverso all’unico possibile nelle distanze del mezzofondo. Il mezzofondista che va in crisi di fatica ha una sola possibilità: finire la gara o l’allenamento nel modo più decoroso possibile, rallentando il meno possibile e limitando i danni cronometrici “impiegando” una grande quantità di fatica per arrivare al traguardo con un assetto di corsa variato in modo non drammatico rispetto a quello del pre-crisi.
Il corridore di lunghe distanze che va in crisi brutale, talvolta anche ben prima della parte finale della gara, può considerare, almeno in allenamento ma in certe situazioni anche in gara, anche un’altra possibilità di gestione della crisi da fatica: si tratta della crisi “artificiale” o “parzialmente programmata” per tenere un buon assetto di corsa. Tale soluzione potrebbe non essere molto conveniente da un punto di vista cronometrico soprattutto se sostitutiva di una crisi piuttosto contenuta con uno scadimento piuttosto ridotto della velocità rispetto a quella mantenuta fino a quel momento, ma è certamente conveniente da un punto di vista dell’assetto di corsa.
Nella crisi “artificiale” si varia forzatamente in modo molto consistente il ritmo di corsa per tornare in “presa” pochi istanti dopo la creazione di quella crisi. Praticamente la fase di decelerazione è molto accentuata ma contenuta nel tempo, quasi subito, infatti parte la fase di “lenta ripresa” che va a promuovere un’assetto di corsa in spinta. Chiaramente la grande entità dell’improvviso rallentamento e la diluita gradualità della riaccelerazione possono essere letali per la speranza di ottenere un discreto ragguaglio cronometrico. Non dimentichiamo però che a volte crisi iniziate in sordina, possono degenerare in crisi molto lunghe e con uno scadimento del ritmo via via più grave.
Tutto ciò è collegato al fatto che la corsa in progressione, anche partendo da ritmi bassi, consente di correre meglio che nella corsa in “regressione” anche se quest’ultima parte da ritmi più sostenuti. In una crisi “artificiale” con stacco netto dell’andatura, la corsa in progressione sovrasta in tempo quella in regressione. Così facendo, infatti, c’è una breve e violenta regressione accompagnata da una lunga fase di lenta progressione. La convenienza del meccanismo è spiegata dall’ipotesi di correre su due terreni ondulati conformati diversamente anche se con lo stesso dislivello. Un terreno poco “conveniente” da un punto di vista del rendimento è quello che prevede una breve e ripida discesa seguita da una lunga e lenta salita, al contrario un terreno con una breve ma ripida salita iniziale seguito da una lunga e dolce discesa finale dove non è necessario frenare è molto conveniente in termini di rendimento in corsa perché consente di beneficiare di un lungo momento di corsa valida preceduto solo da pochi istanti di corsa difficile.
Ovviamente non è molto spontaneo affrontare la crisi artificiale che ci porta in pochi metri e mangiare manciate di secondi che non si vorrebbero “spendere” per tale causa. Si spera sempre che la crisi in agguato sia una crisi lieve, contenibile semplicemente aumentando un po’ la concentrazione e la capacità di sopportare la fatica. Poi, quando ci sia accorge che la crisi non aveva semplicemente questi innocui connotati ma si autoingigantisce in un meccanismo perverso inarrestabile, è troppo tardi per effettuare “rallentamenti preventivi”. E’ per questo che tali crisi artificiali vanno sperimentate in allenamento dove l’ipotesi di perdere qualche secondo in più sul risultato finale non è per nulla drammatica. Poi, però, quando uno riesce ad usare questo espediente in allenamento è portato ad utilizzarlo anche in gara, sulle lunghe distanze quando c’è il timore che la crisi possa essere di quelle importanti e valga la pena porci rimedio subito prima che degeneri. Praticamente il rallentamento vistoso e programmato è come una sorta di vaccinazione preventiva per scongiurare un rallentamento che potrebbe essere ben più lungo e catastrofico di quello “artificiale”.
Ovviamente tali atteggiamenti sono “ammortizzabili” su distanze piuttosto lunghe tipo 20 chilometri per atleti non molto evoluti e 30 chilometri o anche oltre per atleti evoluti. L’opportunità di adottare un atteggiamento simile è suggerita anche dalla necessità di non correre male per troppo tempo andando a complicare anche il processo di recupero dell’allenamento o della gara in questione. In ogni caso, come sempre, vi saranno reazioni individuali soggettive a si andrà dall’atleta che una volta provato il sistema della crisi “artificiale” non lo abbandona più manco morto all’atleta che, nonostante si trovi bene con questo metodo, non lo userà mai perché spera sempre di farla franca con finte microcrisi che si risolvono in pochi istanti senza essere ingigantite.