FRA SCIENZA, RELIGIONE E… ARTE

Ho visto l’arrivo vittorioso di una ragazzina (categoria prima e seconda media, non diciamo una bambina ma… insomma) in una corsa campestre a carattere provinciale. Ha vinto dopo una gara corsa gran forte, è in forma smagliante ed è decisamente anche fra le più forti della regione, indubbiamente una ragazzina molto dotata anche se da un punto di vista della maturazione fisica non appare per nulla più matura della sua età come succede nella gran parte di questi campioncini che vincono nelle categorie giovanili (che vincono appunto perché a dodici anni hanno già il fisico strutturato come se ne avessero quattordici).

Ne scrivo non per il risultato tecnico in sé per sé, sul quale c’è comunque da precisare una cosa, ma per il gesto “plateale ma non plateale” che ha fatto all’arrivo. In realtà non l’ha fatto all’arrivo proprio in mezzo al pubblico ma un po’ prima ancora un po’ nascosta, prima di avere gli occhi di quel piccolo gruppo di spettatori su di lei, quasi a voler tenere il gesto intimo per sé e volerlo nascondere al pubblico. In breve ha fatto il segno della croce ed ha indicato il cielo. Io l’ho vista bene perché ero proprio lì, ero lì non sull’arrivo per gustare meglio le fasi di una volata finale che tutto sommato non c’è nemmeno stata perché la gara si è decisa ancora prima, un centinaio di metri prima.

Da dissacratore quale sono ho pensato subito a due gesti analoghi ma non confrontabili. Quello televisivo di più di un atleta di alto livello, tutti professionisti che con certe vittorie ci mantengono la famiglia fino all’ottavo grado di parentela e, giustamente si fanno anche il segno della croce perché per loro è ben più di una vittoria sportiva e poi un gesto decisamente plateale simpatico e storico  di Andrea Longo che è stato uno degli ottocentisti più forti della storia dell’atletica, oltre ad essere l’attuale primatista italiano. Longo già nelle categorie giovanili era una furia e vinceva certe gare con una facilità impressionante. Ricordo questa gara della categoria Juniores disputata nel Veneto, a pochi chilometri da casa sua dove, aspettando il finale per piazzare lo spunto decisivo, si è accorto che dopo pochi appoggi messi giù come si deve aveva già vinto. Accelerando a 150 metri dalla fine ha iniziato il rettilineo finale che aveva già vinto clamorosamente e lì all’inizio del rettilineo finale e con gli avversari già staccati (e dunque senza nessunissimo ostruzionismo)… ha aperto le braccia in segno di vittoria. Non sul traguardo, a 100 metri dalla fine. Io ed un mio amico che guardava con me (anche lui convinto del fatto che Longo sia stato alla fine anche meno di quello che poteva essere…) ci siamo guardati e ci siamo fatti una sonora risata e, almeno per noi quel gesto è passato alla storia.

Non c’entra nulla quel gesto con quello della ragazzina di domenica. La ragazzina di domenica ha esultato prima quasi per nascondere il gesto, Longo aveva esultato prima in un clamoroso sfoggio di sicurezza che anche se molto plateale non ha certamente fatto del male a nessuno e invece, in un contesto dove la fantasia è sempre ben accetta, ha fatto sorridere.

Sulla ragazzina c’è il segno della croce e dunque una cosa importante. Non plateale e goliardica come Longo ma seria, oserei dire quasi terribilmente seria proprio perché quasi nascosta. Quell’intimità che toglie spettatori al gesto lo rende ancora più importante. Sul gesto di Longo si può ridere ed io che lo conosco un pochino sono pure convinto che abbia anche voluto far ridere, il gesto della ragazzina ha una sacralità, non so nulla della sua formazione religiosa ma sono convinto che pur se dodicenne lei si renda conto dell’importanza di quel gesto.

Ho intitolato “scienza, religione ed arte” perché sono convinto che un gesto del genere deva coinvolgere tutto. Poi ci si può anche sorridere perché è pure giusto poter sorridere del gesto di una ragazzina che vince una corsa campestre, però mi sia consentita in poche righe una disamina che non può essere solo superficiale.

Da un punto di vista scientifico la ragazzina deve andarci cauta, non c’è dubbio. E’ provato scientificamente che chi da giovane ci mette l’anima poi rischia di avere una carriera agonistica molto breve e, a fronte di risultati eccezionali nelle categorie giovanili, poi patisce un rallentamento dei miglioramenti che non blocca chi è cresciuto più lentamente.

Ma qui c’è anche un piano religioso. Qui l’atletica è veramente importante, non un capriccio, una cosa da segno della croce. E a sorridere e basta di questa cosa saremmo superficiali noi. Perché l’atletica a questa età può anche essere molto importante anche se con una vittoria non si mantiene proprio nessuno. Non è la quantità di danaro che circola attorno all’evento a stabilirne la sacralità, tutt’altro, è proprio il vissuto emotivo, e quello, come ci insegna la ragazzina, può essere molto elevato anche se non c’è in palio il becco di un quattrino.

Allora, non più da un punto di vista scientifico ma da un punto di vista etico, come genitori, dovremmo interrogarci se ha senso che una competizione possa diventare così importante. Il dibattito è aperto, ognuno ha la sua risposta, la mia è che piuttosto che ci sia apatia è meglio che ci sia coinvolgimento totale. Poi sarà compito del prete far capire che ci sono anche cose più importanti ma per conto mio nello sport, a tutte le età, il peccato più grave non è l’entusiasmo ma l’apatia. Se c’è un eccesso di entusiasmo si può anche imparare a contenerlo, se c’è apatia è molto difficile inventarsi le strategie per combatterla.

Il terzo piano è quello artistico ed è a quello che mi appello alla fine per giustificare quel gesto di domenica che per me e per pochi intimi passa decisamente alla storia anche se era una gara provinciale e non un campionato del mondo.

A mio parere una ragazzina che prima della fine della gara, per non farsi notare troppo, esulta facendosi il segno della croce ed indicando il cielo come fanno gli adulti alle Olimpiadi non è uno scimmiottamento ma ha un valore artistico enorme. Non è lei che ha imitato gli altri, sono quelli delle Olimpiadi che imitano lei, solo che non se ne rendono conto perché non l’hanno vista.