La mia nuova corbelleria è questa. Praticare lo sport per essere più lenti, il contrario di quanto impresso nell’immaginario collettivo dove lo sport è simbolo di efficienza fisica e pertanto velocità, produttività, iperattività.
Che lo sport faccia bene alla salute, se praticato con lo spirito giusto, non vi sono dubbi ma che ci faccia bene “velocizzandoci” è da discutere.
Diciamo subito che viviamo in una società molto veloce, dove chi non è sufficientemente veloce e produttivo tende ad essere emarginato.
Allora l’etimologia della parola sport ci porta ad un concetto di distrazione, Se uno si distrae davvero tende ad essere meno concentrato su certi obiettivi, per certi versi più giocherellone e dunque meno professionista nel senso di persona precisa, perfetta e decisamente efficiente. Diciamo che almeno nel momento in cui pratica lo sport, lo sportivo vero deve essere in grado di “distrarsi” per non tradire lo spirito dello sport, e almeno in quel momento non sarà molto concentrato sulla sua professione. Chiaro che un professionista che deve essere in studio dalle ore 9 non può ammazzarsi di fatica per due ore dalle 6 alle 8 di mattina pensando di arrivare in studio bello riposato. Ma altrettanto chiaro che un professionista che ha “staccato” dal lavoro ad una certa ora se continua a rispondere al telefono per motivi di lavoro anche dopo l’orario previsto, quando ormai ha vestito i panni dello sportivo, non può dire di praticare sport perché non sta giocando per niente, sta continuando a lavorare e fa finta di distrarsi.
Allora si dipana un po’ meglio il concetto di fare sport per rallentare. Per scappare dai ritmi dell’iperproduzione, per staccare davvero, giocare e distrarsi come previsto dallo sport vero.
Se non c’è gioco non c’è sport. Per questo mi annoiano terribilmente gli sportivi imbattibili, quelli che non perdono mai e quelli che fanno della loro professionalità nello sport l’arma per offrire una continuità di rendimento mostruosa che fa la gioia degli sponsor ma ammazza la competizione e rende noioso lo spettacolo se il vincitore è fin troppo prevedibile.
Lo sportivo romantico, imprevedibile, capace di grandi gesta ma anche di clamorose cadute, interpreta al meglio il vero spirito sportivo che non è quello della macchina da guerra schiacciasassi potente quanto precisa e perfetta.
Nel grande calcio mi viene da citare due campioni stravaganti, uno che ha lasciato il segno nella provincia per le sue follie clamorose ed un’ altro che, pur non potendo essere considerato fra i primissimi nella storia del calcio mondiale, l’ha comunque segnato in modo indelebile. Il primo è Gianfranco Zigoni, incapace di adattarsi alle regole di un grande club ma capace di coinvolgere la tifoseria come mai nessuno ha fatto nella provincia, l’altro è George Best, talento imprevedibile conosciuto in tutto il mondo ma privo di quella costanza di rendimento che ha caratterizzato la carriera di altri campioni.
Quanto calcio di alto livello abbiano prodotto questi due a me che non sono uno sponsor francamente non interessa nulla, ma da tifoso o almeno osservatore esterno, non coinvolto nelle logiche economiche connesse alla carriera dei due dico che entrambi hanno inventato momenti irripetibili che nemmeno campioni più blasonati sono riusciti a far vivere.
Lo sport non è solo velocità, è soprattutto gioco ed il gioco per essere tale deve essere anche lento, non è reiterazione isterica di gesta di alta qualità, tutt’altro.
C’è più movimento e fantasia nel campione che sa anche calare di rendimento che in quello che non sbaglia mai. La lentezza è ingrediente essenziale nello sport perché se tutto è veloce non ci si rende conto di nulla.
Il lento cronico, anche se meno appassionante del campione è pure importante perché anche se meno entusiasmante è quello che regge il palco al campione. Quando il lento cronico abbandona la sua lentezza per diventare rapido per pochi istanti si raggiunge l’apoteosi nello sport perché nulla è così divertente come la vittoria dello scarso. Chiaramente in uno sport sempre più “professionale” tale evenienza è sempre più rara anche perché il divario di rendimento fra il professionista ed il vero giocatore è sempre più marcato. Ma se vogliamo che lo sport resti anche una favola dobbiamo poter sperare che talvolta a vincere non sia quello che era “programmato” per vincere.