FALLACIA DEL METODO SCIENTIFICO

“Ma ti occupi di pubblicizzare il movimento per tutti o ti diverti a demolire con metodo assolutamente empirico le poche conoscenze acquisite dalla comunità scientifica in tema di attività motoria?”

Diciamo che se voglio pubblicizzare l’attività motoria per tutti mi trovo costretto a tentare di sconfessare alcune acquisizioni ritenute attendibili dalla comunità scientifica.

Esempio: il bambino di dieci anni, pacioccone, già malato di Play Station e merendine che ha un sussulto di vita e domanda: “Qual’è il record italiano dei 100 metri?” risposta “10 secondi e un centesimo di Pietro Mennea, ottenuto quando mancavano ancora 26 anni alla tua nascita…” replica: “Bene, voglio farlo, anzi voglio essere il primo italiano a scendere sotto i 10″ netti sui 100 metri…”. Qui le risposte sono due, quella della comunità scientifica e quella dell’appassionato di sport, malato di sport che non conosce la razionalità. La prima sentenzia traslando pari pari dal metodo deduttivo: “Impossibile, non si è mai visto un bambino pacioccone e malato di Play Station che diventa primatista italiano dei 100 metri” (ed è proprio vero perché da quando esiste la Play Station non solo i bambini paciocconi ma anche tutti gli altri non sono più riusciti a diventare atleti in grado di battere il record dei 100 metri…), il tecnico di sport malato, noncurante di rischiare di gettare il ragazzino in un gioco ancora più coinvolgente della Play Station e soprattutto che, nel sistema scolastico italiano, potrà creare più problemi a scuola al ragazzino in questione di quanti non sia in grado di crearne la famigerata Play Station, esprimerà un parere diametralmente opposto: “Guarda, è molto difficile che tu riesca a fare il record italiano dei 100 metri ma se vuoi metterti a praticare atletica leggera ben venga anche questa tua presunzione un po’ azzardata pur di avvicinarti a quel mondo, sappi comunque che se davvero vorrai ottenere risultati molto buoni dovrai allenarti veramente tanto…”.

Il metodo scientifico è fallace sia quando sfrutta l’induzione che quando sulla base di ciò che ha indotto va a dedurre cose ancora più sbagliate. Per induzione siamo costretti a formulare la legge che tutti i bambini obesi già rovinati dalla Play Station a dieci anni sono destinati a non ottenere risultati sportivi di buon livello in alcuna disciplina sportiva, da questa induzione formuleremo poi la terribile deduzione che anche il nostro amico animato da sani propositi non potrà mai superare il record di Pietro Mennea. Passi per la formulazione della legge che deve comunque tenere conto di un discorso probabilistico (e pertanto il dettato corretto sarà che è “altamente improbabile che un bambino in simili condizioni possa approdare ad un risultato di alto livello”…) ma quando si passa con piglio scientifico al passo successivo e cioè alla formulazione per deduzione della sentenza che “Pinco Pallino  non potrà mai ottenere il tal risultato in quanto inequivocabilmente appartenente al gruppo degli assassinati dalla Play Station” si commette un errore imperdonabile che chi frequenta i campi sportivi deve avere il coraggio di contestare con decisione.

Sembra più un aforisma che una semplice affermazione scientifica ma si può tranquillamente dire che “Ogni postulato può stare in piedi fin tanto che qualche fatto imprevedibile che può verificarsi in Natura (la Natura è imprevedibile per definizione) non va a smentire clamorosamente quel postulato.” Non c’è dubbio che ogni mattina sorge il sole, è altamente probabile che sorga, poi quel giorno che non sorge più non avremo il tempo di domandarci perché non è sorto ma insomma sarà smentito un postulato che viene  ritenuto abbastanza attendibile da tutti.

Tutto questo ragionamento per dire che con fantasia da dilettanti più che che con obiettività scientifica dobbiamo inventarcele tutte per trasmettere entusiasmo ai bambini e accendere quella fiammella di speranza che è necessaria per intraprendere qualsiasi attività sportiva. Non è normale e non lo vogliamo nemmeno incentivare un bambino che si mette a fare sport tanto per stare meglio. Tale atteggiamento più che adulto è semplicemente “deviato” da una cultura che forma i ragionieri di dieci anni e che pretende razionalità assurda da bambini che hanno necessità assoluta di sognare. Bisogna restituire la capacità di sognare ai bambini. A dieci anni non si studia per diventare avvocati o ingegneri ma ci si prepara per fare il record del mondo in qualche disciplina sportiva. Molto più tardi (e non due o tre anni più tardi…) quando ci si sarà resi conto che verso la strada del record del mondo in effetti si è sbagliato qualcosa ci si renderà anche conto che inseguire un qualsiasi record del mondo è la cosa più sana che possa fare un  bambino e può essere motivo per stare in salute anche a 15-16 anni o più, non solo fin tanto che il sogno è appena nato.

L’alternativa è la Play Station che è un mondo fantastico ma terribilmente finto che a dieci anni ti insegna che esistono le cose fantastiche finte e poco importanti e poi bisogna immergersi nella Realtà noiosa di tutti i giorni. Nello sport la Realtà è fantastica e ti costringe comunque a fare i conti con una Realtà un po’ meno divertente che viene conglobata nella realtà fantastica. Il bambino deve anche studiare perché se vuole portare avanti il suo progetto di futuro primatista dei 100 metri deve fare i conti anche con quella realtà, ma sono due realtà, non una cosa finta ed una realtà pesante.

E’ chiaro che se come istruttori ed insegnanti siamo i primi a pensare che quel bambino  non potrà mai ottenere grandi risultati non possiamo essere convincenti e il nostro messaggio apparirà artificiale e falso. Dobbiamo essere in primo luogo noi come istruttori capaci di riappropriarci della capacità di sognare e di ribellarci ad una società di ragionieri che stronca i sogni dei ragazzini. Lo studio innanzitutto. No, lo studio innanzitutto un cavolo. Prima c’è la salute e poi c’è lo studio e la salute dei fanciulli è direttamente correlata con la capacità di saper giocare. Abbandoniamo il metodo scientifico per determinare chi sta investendo bene il suo tempo perché dedica venti ore alla settimana all’attività fisica e chi sta perdendo il suo tempo perché, visto che probabilmente non diventerà mai un campione, non è giusto che sottragga importante tempo allo studio.

A dieci anni sono tutti potenziali campioni, non lo dice la comunità scientifica, lo dice il buon senso. Se i bambini smettono di essere bambini siamo noi che dobbiamo metterci a ragionare da bambini per restituire un entusiasmo al quale non si può rinunciare a quell’età.

In una società sana l’adulto frena il ragazzino e gli dice “Guarda che non è mica detto che tu diventi proprio un campione, mettiti a studiare perché magari dovrai fare l’idraulico o il medico o chissà cosa…” In una società malata l’adulto deve tornare bambino e deve studiarle tutte per salvare il fanciullo arrivando anche ad affermazioni grottesche del tipo “Guarda che anche se vuoi diventare avvocato non è certo che come avvocato troverai da lavorare facilmente e adesso è proprio opportuno che ti impegni nello sport perché se dentro di te c’è un campione lo scopriamo adesso e non potremo più scoprirlo quando sarai avvocato e ti starai affannando per cercare un posto di lavoro…”.