Penso che sia più facile fare un discorso di etica riferita allo sport trattando di sport dilettantistico. Non so se possa esistere un’ etica dello sport professionistico nel senso che questo, fondamentalmente, è governato dalle multinazionali. Se esiste un’etica delle multinazionali forse esiste anche un’etica dello sport professionistico ma in ogni caso temo che il discorso sia molto complesso e non è mia intenzione affrontarlo su un sito dove tutto sommato ho la presunzione di affrontare le piccoli grandi cose dello sport degli umili.
Le dinamiche dello sport professionistico sono troppo complesse per poter essere affrontate senza coinvolgere l’economia, la politica e dei sistemi che si autoproteggono e non permettono interferenze nelle modalità di gestione di certi eventi. Innestare un discorso etico su tali sistemi diventa quasi fantascienza.
Non molto più semplice ma, a mio parere, almeno possibile e non folle associare un concetto di etica dello sport allo sport che muove flussi finanziari più ristretti, quello degli atleti “non famosi”. L’atleta “non famoso” in quanto tale è un personaggio che si muove essenzialmente perché ama lo sport, non per trarne benefici finanziari. La sua scelta di fare sport o meno, la sua capacità di vincere o meno non turba alcun equilibrio economico, non lede gli interessi di nessun club, non danneggia o esalta lo staff tecnico di nessuna federazione. Si potrebbe quasi dire che è sport fine a sé stesso, autentico gioco per ragazzini, adulti e pure per vecchi come è dimostrato dallo spazio sempre crescente occupato dalle manifestazioni per “veterani”. E’ in quel “quasi” che ci giochiamo un qualcosa che forse va al di là dello sport, al di là del gioco. Lo sport, ancorché dilettantistico, se praticato con assiduità ed attenzione (contraddittorio questo termine in un qualcosa che viene inteso come gioco…) può essere molto più di una divagazione per combattere lo stress. Eppure il termine sport starebbe a significare proprio “distrazione” cioè qualcosa che non fa pensare, che libera dallo stress e dagli affanni della routine quotidiana.
Se possiamo accettare che sia poco “distraente” uno sport professionistico che muove flussi finanziari considerevoli perché dobbiamo andare a complicare le cose anche per uno sport che può essere autenticamente gioco in quanto non muove grandi capitali? Perché forse il vero sport che permette di scoprire qualcosa, di rapportarsi in modo diverso con il mondo è proprio quest’ultimo. Nello sport professionistico non ci sono molte opzioni possibili: si può vincere, si può perdere, almeno un po’ si deve vincere altrimenti si viene letteralmente defenestrati da quell’ambiente ma in ogni caso le modalità di comportamento all’interno del carrozzone sono rigidamente orchestrate da un sistema che ha delle sue regole ben precise e che i singoli attori dello spettacolo non sono certamente in grado di alterare da soli.
Lo sport vero consente grandi libertà ed in questo senso può avere un contenuto etico anche piuttosto significativo. Non è snaturare lo sport viverlo con un intensità che va la di là del semplice gioco. Se lo sport è vera divagazione allora è vera divagazione anche permettersi il lusso di affrontare con alta intensità emotiva una competizione che la struttura organizzativa di vertice ha deciso che non vale nulla. Chi è che stabilisce che da un punto di vista etico un record mondiale ha un significato superiore ad un qualsiasi record personale di un qualsiasi pirla abitante di un qualsiasi paese della terra? Con tutto il rispetto che ho per lo sport professionistico da un mio punto di vista etico il record del mondo di una qualsiasi disciplina sportiva che è praticamente sempre ottenuto da un atleta che gode di ottima salute fisica e, nella maggior parte dei casi, anche delle attenzioni di un ambiente che tenta di spingerlo in tutti i modi verso quell’ambito traguardo, non ha contenuto etico superiore a quello del normalissimo risultato di un ragazzino che fino a qualche giorno prima di intraprendere la carriera sportiva andava in giro a scippare le vecchiette perché non sapeva cosa fare. E’ la situazione a conferire il contenuto etico, non la qualità del risultato tecnico. C’è un grande contenuto etico nello sport degli umili, nello sport delle masse, nello sport di chi non ha i soldi per andare allo stadio a vedere i grandi campioni ma grazie all’impegno di chi organizza lo sport per gli umili riesce a prendere parte allo stesso sport che viene organizzato anche per i grandi campioni da vedere allo stadio.
Non è lo sport dei campioni che può cambiare la società perché quello ha degli schemi fissi e le regole le prende dalla società con il preciso compito di non cambiarle. Lo sport degli umili invece è incontrollabile, ha un forte contenuto etico ed è potenzialmente rivoluzionario nel momento in cui si arroga la dignità di poter essere importante come quello dei numeri uno. E’ proprio questo il potenziale “eversivo” dello sport vero. Mentre lo sport spettacolo ti insegna a tenere accesa la televisione il più possibile e ti dice che il vero campione è solo quello che passa per televisione e gli altri sono tutti pirla, lo sport degli umili ti insegna esattamente il contrario, ti aiuta a spegnere la televisione e ti insegna che il vero campione è proprio quello che riesce a fare sport seriamente senza nessuna sovrastruttura tesa a lanciarlo come nuovo eroe.
Non è difficile trovare un forte contenuto etico nello sport degli umili, forse è un po’ più difficile trovarlo in quello degli eroi che sono eroi solo per la qualità delle gesta sportive che riescono a compiere ma faticano a portare questo eroismo fuori dal palcoscenico. C’è uno sport nel quale siamo tutti uguali e questo per conto mio è il vero sport ed è quello che ha un grande contenuto etico, poi ce n’è uno dove non siamo tutti uguali e che ha bisogno di una sua ambientazione per essere narrato. Mentre la narrazione in sé per sé delle gesta sportive è una bella cosa non lo è altrettanto la “non narrazione” dell’altro sport, di quello autentico che ha comunque delle sue modalità di svolgimento che sono simili a quello dei numeri uno. Forse il vero problema sono gli spettatori. Lo sport vero ha bisogno di una cosa: che gli spettatori dello sport di vertice si mettano a fare sport. A quel punto se gli spettatori saranno di meno e gli sportivi di più, lo sport ne avrà certamente tratto vantaggio ed anche la società nel suo complesso. Società che può essere addirittura modificata da un atteggiamento simile. Questo è il concetto che conferisce grande contenuto etico allo sport di base: se questo migliora, migliora la società nel suo complesso, se invece migliora solo lo sport di vertice c’è il rischio che aumenti il numero di telespettatori senza che aumenti contemporaneamente il numero di sportivi praticanti e ciò non ha un grande valore etico.