Premetto che mi considero un empirista convinto, l’accusa di essere un empirico non mi sfiora nemmeno ed anzi mi inorgoglisce. Sono talmente empirista che considero empiristi tutti i tecnici del movimento, anche quelli che si professano dogmatici e fanno sfoggio di gran convinzione scientifica citando luminari della scienza del movimento e studi statistici a go go.
C’è un problemino nel trattare in modo scientifico la preparazione dei campioni dello sport. I campioni dello sport sono pochi per definizione, se sono tanti non sono campioni. Gli atleti che hanno corso gli 800 metri in 1’42” o 1’43” sono pochi. Sono tanti quelli che hanno corso attorno a 1’50” come il sottoscritto ma quelli, ahimè, non sono campioni ma comuni mortali. La scienza ha bisogno di statistica e di grandi numeri per costruire questa. I campioni non possono fornire grandi numeri perchè sono pochi, i grandi numeri li possono offrire i non campioni come il sottoscritto ma allora non parliamo più di allenamento sportivo per il conseguimento di grossi risultati bensì per il conseguimento di risultati normali. Allora si, se parliamo di sport per la salute, possiamo trattare i grandi numeri e su questo ci sono studi molto attendibili che ci hanno già detto una gran cosa: che l’attività fisica condotta con moderazione e razionalità fa certamente bene alla salute per un’infinità di motivi.
La scienza del movimento è scienza nel momento in cui studia i benefici dell’allenamento rivolto all’intera popolazione non lo è più quando tratta la preparazione dei campioni. E’ proprio la scienza del movimento a dirci che a livello di grandi direttive c’è un modello probabilistico che ci dice con grande attendibilità che effetti sulla salute potrà avere un certo tipo di preparazione fisica ed è sempre la scienza del movimento a dirci che il sistema per giungere al risultato di vertice è quasi certamente un sistema empirico. Il sistema probabilistico va in tilt quando trattiamo di campioni e se c’è una certezza è proprio che il campione può venire fuori da metodologie di allenamento diametralmente opposte.
Dunque gli allenatori degli atleti di vertice sono dei veri e propri artisti e potranno anche essere travestiti da scienziati ma restano degli artisti, e tutto sommato non se ne dovrebbero vergognare.
Il metodo scientifico purtroppo (o per fortuna a seconda dei punti di vista) viene applicato dai medici che oggigiorno possono disporre di una casistica molto ampia di atleti che fanno ricorso comunemente a farmaci di tutti i tipi. Fra farmaci autorizzati per varie patologie e farmaci non autorizzati ma adottati in quanto non riscontrabili dall’antidoping c’è una casistica molto ampia che consente di trattare l’atleta in modo certamente non empirico.
Questa è una fortuna, per certi versi, nel momento in cui si spera che sia in estinzione l’atleta che butta giù la porcheria di nascosto perché c’è una leggenda che dice che fa andar più forte, però è anche una sfortuna perché con l’eccesso di medicalizzazione dello sport di alto livello ormai gli atleti che non prendono farmaci per compensare o prevenire un qualche squilibrio sono diventati una ristretta elite.
Al di là della necessità di intervenire farmacologicamente o meno nel supportare preparazioni sempre più consistenti in volume spiace vedere il mutamento di atteggiamento dei tecnici che si sentono sempre meno artisti e sempre più scienziati armati di un dogmatismo che nello sport non dovrebbe esistere.
Ogni atleta ha sue particolari reazioni di adattamento al processo di allenamento e non si può codificare la preparazione come se fosse una medicina. La medicina è testata su migliaia e migliaia di pazienti, la preparazione è provata su poche decine di atleti e, in egual misura praticamente su nessun altro atleta oltre a quello che si va a seguire in quel momento. Per certi versi il compito del tecnico è molto più complesso e difficile di quello del medico. Vero è che il medico non può sbagliare, ne va di mezzo la salute dell’atleta, ma il risultato sportivo finale dipende più dalle scelte del tecnico che da quelle del medico. Non esiste un’atleta che fa grandi risultati solo in virtù delle scelte dello staff medico. Qualcuno sarà ad obiettarmi che non esiste nemmeno l’atleta che fa grandi risultati senza quell’apporto ma io sostengo (e sono assolutamente parte in causa e poco obiettivo in queste affermazioni) che certamente l’impronta del tecnico è più decisiva di quella del medico nel processo di costruzione del risultato sportivo.
Tutta questa disputa potrebbe essere tranquillamente definita una disputa da bar se non fosse che il riconoscimento di una grande empiricità nella elaborazione della preparazione del campione implica una presa di coscienza.
Se il sistema empirico è ancora quello che detta tutte le scelte in fatto di preparazione non ha alcun senso fermarsi all’emulazione della preparazione di chi ha ottenuto i risultati migliori. Chi ha ottenuto i risultati migliori probabilmente li ha ottenuti in virtù di una preparazione studiata senza rispetto per alcun dogma e probabilmente questo è l’unico dogma che ha senso considerare. Bisogna sempre sforzarsi di individualizzare la preparazione, tentare di capire che tipo di preparazione può andare bene per quel particolare atleta. La preparazione è un abito su misura per un certo atleta ed il sarto deve avere la capacità di tagliare secondo quel modello, non può permettersi il lusso di scegliere fra tagli preformati. Dunque occorre anche una certa fantasia ed una capacità di inventare e di innovare.
Allora il tecnico è quella figura che accompagna l’allievo nell’esperienza dell’attività sportiva dove non si sa assolutamente cosa si va scoprire e si sa solo che le varie mosse dovranno essere studiate passo dopo passo nell’impossibilità assoluta di prevedere gli eventi a lunga scadenza.
Mi viene in mente la splendida figura di frate Guglielmo da Baskerville interpretato dal grande Sean Connery nel film “Il nome della rosa” che conduce con grande talento l’allievo Adso. In questa conduzione non è assolutamente ben certo il traguardo finale e ogni momento del suo divenire presenta mille sorprese. Il dogmatismo scientifico è ben distante e allora, non per buttarla in ridere ma per citare i miei amici più che i grandi scienziati mi piace ricordare una splendida uscita di un mio collega di corso all’ISEF, tale Nazareno Gasparato (su queste cose sono pronto anche a violare la privacy…), che affermava: “Parlano tutti di scienza del movimento, io più che uno scienziato del movimento mi sento un poeta del movimento”.