L’emotività nel movimento è quasi tutto. La motivazione è fondamentale e l’emotività andando ad accompagnare tutto quanto è stato innescato dalla motivazione diventa ugualmente determinante. Alla fine l’emotività diventa parte della motivazione ed è dunque direttamente correlata con il movimento. E’ opportuno fare un distinguo fra motivazione ed emotività nel senso che mentre senza una motivazione vera e propria non ci si muove nemmeno senza un vissuto emotivo si può anche riuscire a muoversi ma questa è una schematizzazione un po’ astratta che rende poco giustizia al concetto di emozione nel movimento. Insomma se è vero che ci si può muovere anche apaticamente solo perché si è costretti a farlo per una precisa motivazione è impossibile attribuire un valore pari a zero al vissuto emotivo che accompagnerà quel movimento.
Un campione può essere talmente abile che vince una gara anche senza metterci impegno. Non solo, non la vive e non ne prova nemmeno soddisfazione. Assurdo ma tecnicamente possibile. Per quel campione quella vittoria è una mezza disgrazia. A livello pratico può pure essere notevole fonte di reddito ma a livello emotivo è un vero e proprio disastro che può andare ad inficiare le prestazioni seguenti. Un atleta decisamente scarso può ottenere una scarsissima prestazione sportiva che però per lui ha un certo significato perché secondo una sua serie di parametri testimonia un certo miglioramento o comunque un motivo di soddisfazione per chissà quale altro ragionamento. Nel momento in cui quello scarso risultato, nonostante sia di scarsa rilevanza, da soddisfazione e scatena delle emozioni è comunque un “signor” risultato e produce degli ottimi presupposti per favorire un approccio ancora migliore all’attività motoria. Il vissuto emotivo va a condizionare in modo determinante il presente ed il futuro dell’attività motoria di quel soggetto.
Già è piuttosto difficile lavorare sulla motivazione di un soggetto all’attività motoria, figuriamoci quanto può essere difficile tentare di lavorare sull’emotività legata ad un certo tipo di attività fisica. Addirittura ci si domanda se sia lecito farlo. Sacrosanto motivare al movimento folle di sedentari che hanno bisogno di trovare una motivazione al movimento per guadagnarci in salute, ma quanto è lecito arrivare a condizionare il vissuto emotivo di una persona che pratica una qualsivoglia attività motoria?
Faccio un esempio limite per spiegarmi. Poniamo che un allenatore trasmetta un entusiasmo esagerato verso un particolare sport ad un atleta che per situazione sociale non può permettersi il lusso di dedicare troppo tempo a quello sport. Quell’allenatore ha creato un problema a quel ragazzo. Ben vengano di quei problemi mi direte voi, ma in ogni caso andare ad agire sulla sfera emotiva è comunque una manovra altamente invasiva che va ben al di là di quello che può essere un semplice intervento tecnico di un comune istruttore.
Dunque il tecnico oltre che un “motivatore” è anche un potenziale condizionatore di vissuto emotivo. Lo è nel bene e nel male e per questo deve essere preparato anche da un punto di vista emotivo. Un tecnico capace di trasferire solo competenze tecniche non è un buon tecnico. E’ comunque privo di una dote che deve essere di un tecnico. Impensabile che un atleta si faccia seguire da un tecnico che è una sorta di robot per poi relazionarsi sul vissuto emotivo della sua attività sportiva con un’altra persona.
Nello sport di alto livello moderno è molto in voga l’abitudine di servirsi dello psicologo per regolare le condizioni emozionali del campione. Io penso che il tecnico che ha bisogno dell’intervento di uno psicologo per integrare la preparazione emotiva del campione perda una grande occasione per evolversi. Talvolta lo psicologo che si offre per questo tipo di assistenza non è nemmeno uno psicologo che ha una grande competenza sul tipo attività condotta dall’atleta e dunque rischia di condurre un intervento settoriale, avulso dal contesto della preparazione.
Purtroppo un atteggiamento simile non è nuovo ed è sovrapponibile a quello del tecnico che carica esageratamente di allenamento un certo atleta. Quando questo atleta va in sovraccarico perché i carichi di allenamento sono improponibili allora viene spedito dal medico sportivo che provvede ad intervenire in tutti i modi leciti per fare in modo che quell’atleta recuperi meglio i carichi di allenamento. Alla fine lo staff tecnico può essere composto da allenatore, medico e psicologo. L’atleta funziona, ottiene risultati e ciò è semplicemente un miracolo o meglio una disgrazia perché altri tecnici cominciano a farsi affiancare da medico e psicologo ammettendo che ormai è arrivato il momento di assistere il campione con altre figure professionali. In effetti il tentativo di costruzione del campione è un vero e proprio investimento e le società sportive non esitano ad investire nell’impiego di nuove figure professionali pur di aumentare le possibilità di affinamento del talento sportivo dei soggetti più performanti della squadra.
Come sempre nessuno ha la verità in tasca ed il modo di procedere più sensato ed efficace non può certamente essere illustrato dal sottoscritto.
Come ben immaginerete io ritengo che il tecnico deva essere in grado di servirsi meno possibile della collaborazione del medico e deva in prima persona risolvere problemi legati all’assorbimento dei carichi di allenamento arrivando a limitarli quando questi sembrano poco tollerati dall’atleta.
Ugualmente deve avere la capacità di risolvere problemi di natura psicologica che sono direttamente correlati con l’attività sportiva e deve arrivare a creare una sintonia con l’atleta che possa permettere di stabilire una comunicazione efficace, qualitativamente superiore a quella che potrebbe dare uno psicologo, professionista di certe dinamiche ma estraneo di un vissuto emotivo che va vissuto giorno per giorno.
La solita autocritica alla mia categoria stavolta perviene perché sono anche convinto che il vissuto emotivo nei confronti dell’attività motoria di milioni di sedentari sia di basso profilo non per colpa dei sedentari stessi né per colpa di qualche migliaio di psicologi ma per lacune professionali ed organizzative di migliaia di miei colleghi che non riescono ad arrivare dove dovrebbero arrivare.
Mi spiego: questi colleghi magari sarebbero pure capaci di stabilire una comunicazione emotivamente valida con masse di sedentari ma accettano di far parte di un sistema che delega a tale compito gli psicologi. Se l’organizzazione non è efficiente la colpa è di chi la conduce ma anche delle pedine che accettano di far parte di un sistema inefficiente. Se gli insegnanti di educazione fisica non sono impiegati per motivare ed entusiasmare i sedentari al movimento la colpa è anche degli insegnanti di educazione fisica.
Gli psicologi probabilmente servono per capire perché gli insegnanti di educazione fisica non riescono a fare il loro mestiere.