La saga del doping si arricchisce di un nuovo dettaglio da giornalisti: i ventisei dell’atletica, che probabilmente hanno preso un po’ troppo su serio la cosa, si avvarranno nientepopodimenoche della collaborazione, fra gli altri, anche dell’avvocato Giulia Bongiorno per seguire gli sviluppi del loro caso relativo ai presunti controlli saltati.
I ventisei a mio parere sono tutti assolutamente innocenti, ma, difficile a capirsi, lo sarebbero anche se fossero “colpevoli” nel senso che la questione del doping legata agli atleti professionisti o “pseudo professionisti” (in realtà quelli dell’atletica, almeno sulla carta, sono dilettanti ed in effetti i loro rimborsi spese sono effettivamente da atleti dilettanti, anche se con quei rimborsi ci devono campare…) è una questione essenzialmente giornalistica.
Quello che è il mio parere, del tutto personale, è che con la strutturazione attuale dello sport di alto livello, qualsiasi atleta è comunque innocente, anche quello che prende chissà quali farmaci per migliorare il suo rendimento. Semmai, una sorta di colpevolezza si potrebbe ravvisare in quel medico che appoggia o addirittura propone trattamenti a rischio nel momento in cui ha la consapevolezza della non sicurezza di tali trattamenti. Nessun medico deve assolutamente sognarsi di fare alcun esperimento su un atleta e, se questa cosa avvenisse, quel medico sarebbe effettivamente da perseguire legalmente. Ma ciò accade solo nel film di “Frankenstein” e non nella realtà dove i vari trattamenti non sono assolutamente empirici e tanto meno frutto della fantasia di qualche pioniere scriteriato.
Non voglio continuare a disquisire di cose complesse legate alla farmacologia che troverebbero comunque la resistenza dei “puristi”, di coloro che tollerano il vigile urbano che prende il broncodilatatore per svolgere il suo quotidiano servizio all’incrocio ma distinguono fra l’atleta “certificato” che può tranquillamente assumere lo stesso broncodilatatore e quello “non certificato” che se lo assume è per istinto “satanico”.
Preferisco atterrare su cose elementari e mi viene in mente il famoso “Elementare, Watson!” del noto investigatore Sherlock Holmes.
Per inquadrare il problema è opportuno far luce su cose molto semplici ma che probabilmente sfuggono ai più. Ed è doveroso trattarle nel modo più semplice possibile per non cascare in equivoci.
L’attività motoria produce tutta un certo tipo di adattamenti, anche quella a basso impatto, e questa è una cosa importantissima da capire che va ben al di là della questione doping perché riguarda la salute di tutti i cittadini. E’ fondamentale smontare il falso mito che se l’attività motoria è troppo blanda “non fa niente”. Questa è una balla colossale, inventata da chi non ha voglia di fare niente per cercarsi un alibi per continuare a non fare niente. L’attività motoria, anche a bassi dosaggi e ad intensità ridotta produce comunque adattamenti anche se, ovviamente, questi adattamenti sono meno significativi di quelli innescati da un’attività più intensa.
Quando abbiamo capito questo concetto, per estrapolazione, abbiamo capito tutto il funzionamento dell’attività motoria e non abbiamo più bisogno di leggere tutte le panzane sul doping che ci sono scritte sui giornali e forse, a quel punto, non avremmo più bisogno di scomodare l’avvocato Giulia Bongiorno per questioni che sono legate più a tabù culturali che a fatti concreti.
Ovviamente questi adattamenti sono interessanti ed utili, da un punto di vista salutistico, fino ad un certo punto, dopodiché alcune problematiche vanno addirittura a scavalcare i benefici ottenuti con tali adattamenti. Qui la questione si complica un po’ ma non troppo.
Fondamentale, intanto, aver chiarito che anche l’attività a bassa intensità produce adattamenti e pertanto è utile per la salute, questo ci serve per smontare le argomentazioni di chi afferma: “L’attività fisica è utile solo se svolta con certe intensità”. Tale frase insidiosissima sostenuta dai pigri incalliti può essere accettata solo perfezionandola così: “Le intensità poco utili per la salute, nell’attività fisica sono solo quelle troppo elevate perché quelle più basse sono sempre comunque utili alla salute e pertanto non esiste nessunissima ragione valida per non iniziare a praticare con prudenza un qualsiasi accidenti di attività fisica”. E con questa importante quanto semplice precisazione viene introdotto anche il discorso relativo alle elevate intensità che è inevitabilmente un po’ più complesso.
Diciamo subito che le intensità pericolose, o comunque portatrici di adattamenti da valutare con attenzione sono, con riferimento ai soggetti sani, intensità molto elevate. Se un soggetto non è sano anche intensità non molto elevate possono comportare un certo tipo di adattamenti e questa è la premessa per tutto l’impianto della medicina dello sport volto ad accertare chi può praticare attività sportiva senza problemi e chi invece deve stare particolarmente attento a contenere in un certo modo i carichi per suoi problemi personali.
Lasciamo perdere i soggetti poco sani e concentriamoci su quelli sani, anzi quelli molto sani, i campioni. Questi se vogliono competere a livello mondiale devono allenarsi due volte al giorno. E dunque non sono mai veri dilettanti perché se fanno anche un altro mestiere per sopravvivere bisogna proprio ammettere che fanno il doppio lavoro. Allenarsi due volte al giorno è comunque un lavoro anche se a volte i rimborsi spese per tale “lavoro” sono risibili. Quasi tutti gli atleti che si allenano abbastanza intensamente due volte al giorno vanno incontro nel medio periodo (neanche nel lungo periodo…) a sovraccarichi di varia natura che rendono praticamente necessario il ricorso a trattamenti medici per poter essere risolti. Ci può essere l’atleta che rifiuta ogni trattamento medico e sospende la preparazione fino a risoluzione del sovraccarico. Non è questa la norma ed è facile comprendere il perché. Un atleta di alto livello che attende che tutti i problemi da sovraccarico si risolvano da soli senza prendere farmaci può sperare di diventare competitivo ad alto livello ben che vada a trent’anni. Nel frattempo sarà anche indebitato in modo spropositato perché non avrà trovato certamente nessuno sponsor pronto ad attendere la sua lenta maturazione agonistica. Un atleta che da il massimo di sé a trent’anni senza prima aver ottenuto risultati già abbastanza significativi praticamente esiste solo nel mondo delle favole. La farmacologia applicata allo sport esiste perché con gli attuali carichi di allenamento adottati dagli atleti di alto livello è praticamente impossibile non turbare alcuni equilibri fisiologici. In breve, allenarsi intensamente due volte al giorno non è del tutto fisiologico, è forse più stressante che fare il vigile urbano in mezzo ad un incrocio inquinato dai gas di scarico. Il vigile urbano ha bisogno del broncodilatatore, l’atleta ha bisogno di una serie di supporti che lo aiutano a non andare in sovraccarico e a sopportare una preparazione intensa e molto consistente in volume. Non c’è niente di scandaloso. Io in realtà mi scandalizzo quando la stampa fa la lista dei buoni e dei cattivi, dove i buoni sono quelli che sono stati seguiti da medici esperti coscienziosi ed accorti ed i cattivi sono quelli che non sono stati seguiti da nessun medico oppure non sono stati monitorati a dovere da qualche medico che non ha avuto abbastanza tempo per seguire l’atleta.
Sui cavilli burocratici non voglio soffermarmi e sarà compito della Bongiorno andarseli a studiare. Mi spiace che per lo sport sia necessario andare a scomodare un avvocato che potrebbe occuparsi anche di cose più importanti e comunque se c’è una cosa importante da ribadire in questa esposizione è che l’attività motoria è certamente utile anche a basse intensità, anche se non ci fa andare sul giornale e pure assistiti dalla Bongiorno. Elementare, Watson.