Ero tentato di formulare un giochino per dare un indice di carico (un po’ fantomatico…) alla preparazione dei mezzofondisti che sono soliti contare il numero dei chilometri percorsi nella preparazione in una settimana o in un mese.
Ebbene, siccome è un’idea semplice voglio anche accennare a questa idea bislacca che però per non prendere in giro nessuno dovrò elaborare su un foglietto di carta solo ad uso e consumo delle mie perverse rielaborazioni statistiche ma invece voglio essere più dettagliato sul perché non ha nessuna utilità divulgare queste curiosità senza senso come se avessero un peso reale per poter valutare con coscienza la preparazione di chi corre le distanze medio lunghe.
Allora il modello era abbastanza semplice ed ingenuo e non è da escludere che qualche appassionato di corsa lunga (o anche di mezzofondo) se lo sia inventato prima di me. Si tratta di partire dal fatto che non tutti i chilometri sono uguali (e questa cosa è certamente vera ed è forse l’unico concetto che voglio riprendere poi per valutare davvero la preparazione) e dunque fare la semplice somma dei chilometri corsi in un certo periodo non ha senso.
Il primo passo semplice per fare una distinzione è dire che un chilometro di corsa corso ai 15 chilometri all’ora non può avere lo stesso peso e lo stesso effetto di un chilometro corso ai 20 chilometri all’ora. Pertanto con un fantomatico indice moltiplicatore si poteva dare corpo a questa differenza andando a mettere sul piatto della bilancia cose che pesano diversamente. Alla fine ottengo un numero che non è più semplicemente il numero dei chilometri ma questo rielaborato secondo le andature di corsa di quei chilometri. Esempio banale, se fatto pari ad 1.00 l’indice di carico di un chilometro corso ai 15 chilometri all’ora (4 minuti tondi tondi per chilometro) una corsa di 10 chilometri svolta tutta a quel ritmo mi dà un indice di carico pari a 10 se invece in quell’allenamento ho corso 5 chilometri ai 15 chilometri all’ora, poi 4 chilometri ai 18 chilometri all’ora ed infine un chilometro ai 25 chilometri all’ora (basta fare cinque proeve sui 200 metri in 30″) avrò certamente un indice di carico totale superiore a quello dell’allenamento precedente.
Cosa mi dice questa rielaborazione? Praticamente niente se non che nel secondo caso probabilmente ho fatto più fatica perché ho corso dei tratti più veloci di quei 15 chilometri all’ora, base del ritmo della corsa continua del primo allenamento. Già questa banalità può essere contestabile perché in linea teorica un corridore che ha seri limiti di resistenza può anche fare più fatica a correre 10 chilometri continui ai 15 chilometri all’ora che non 10 chilometri frazionati a ritmi anche sensibilmente superiori.
Dunque non è per nulla sufficiente distinguere solo fra varie velocità di corsa ma occorrerebbe come minimo andare a valutare il frazionamento dei vari tratti della seduta di allenamento e così, per esempio, riprendendo quell’ipotetico chilometro corso ai 25 chilometri all’ora della seconda seduta di allenamento è molto diverso se viene corso così con cinque tratti da 30″ sui 200 metri o se con solo due tratti da 1’14” sui 500 metri.
Ma tutta questa digressione a base di numeri tradisce in pieno il concetto che voglio far passare io per non prendere in giro nessuno. Anche che avessimo elaborato un sistema matematico quasi perfetto per valutare tutte queste cose ci troveremmo alla fine, fuori dalla matematica e fuori dal computer (fuori dai numeri in sintesi…) a valutare cose che con la matematica non si possono valutare. Ed è quel polpettone pseudo romantico incomprensibile che tento di sviscerare in modo patetico in molti miei articoli che sembrano pigliati più dal canovaccio di una soap opera più che da un sito che tratta l’attività motoria.
Ho scritto più volte, e lo ripeto come un mantra, che le emozioni contano più dei numeri e spiegano molto meglio e con più completezza il vissuto sportivo e pure l’evoluzione delle capacità prestative di un certo soggetto. Andare a misurare queste cose in laboratorio con un’attenta valutazione dei parametri bioumorali sarebbe ancora più folle che tentare di elucubrare modelli matematici per stabilire fantomatici indici di carico della preparazione. Quello che ci resta sono solo le parole possibili (e non quelle impossibili, perché esistono anche quelle) che informano la comunicazione fra allenatore ed atleta.
Sembro dissacrante a questo punto se atterro tutto con battute che mi fanno apparite ridicolo ed allora davvero quando qualche mio allievo corre in un certo modo, piacevolmente inatteso, in una certa seduta di allenamento io posso anche chiedere invece che informazioni sulle scarpe o sulle ultime sedute di allenamento: “Ma chi c’è sul campo oggi?” e non è prendere in giro nessuno, perché siamo fatti di carne ed ossa, non siamo dei robot e dunque reagiamo all’ambiente anche in modo del tutto imprevedibile.
Tanto per stare sull’umanamente comprensibile e senza sbilanciarsi troppo in questioni più riservate da raccontare, mi piace spiegare il contesto emotivo (o almeno una parte di questo…) della gara più importante che sia riuscito a vincere in carriera. Non è un’Olimpiade o un Campionato del Mondo ma nel contesto della mia carriera è paragonabile a quelli anche se si tratta semplicemente di un campionato regionale. Era il 1986 ed ero alla Libertas Udine. Quell’anno per motivi diversi non ero molto in forma ed avevo già preso delle sonore bastonate da rivali che normalmente avrei dovuto battere. Nella gara dei 1500 di quei campionati regionali, che non erano la mia specialità perché io ero specialista degli 800 metri, mancava il favorito numero uno di quella gara e mancava per un motivo ben preciso che dopo 40 anni non è ancora stato sviscerato ma se ce ne sarà l’occasione proviamo a sviscerarlo. Io avevo fatto dei favori sportivi a quell’atleta nel senso che mi ero messo a fare la “lepre” (l’andatura nelle gare di mezzofondo) in gare che per lui erano importanti. Alla luce dei risultati ottenuti in quelle gare, dove io mi ero prodigato a fare la lepre anche con una certa precisione, quell’atleta non era più nemmeno interessato a vincere il titolo regionale sui 1500 perché aveva già ben altri obiettivi. Diciamo che come minimo era in una posizione tale per la quale poteva anche fregarsene del titolo regionale sui 1500. Al contrario a me un titolo regionale avrebbe fatto molto comodo. E fin qui i dati oggettivi, poi c’è la leggenda che non è una questione oggettiva ma sulla quale si può sempre indagare ed io sono convinto che qualcosa possa ancora venire fuori. Lui, non so per quale motivo, aveva intuito che avevo buoni numeri si 1500 e che in sua assenza avrei potuto combinare buone cose. Fin qui niente di strano, mi conosceva, poteva avere questa intuizione. Il passo successivo è la leggenda, ma è questo che mi ha fatto vincere il titolo, io mi ero messo in testa che lui si era inventato una scusa (non stava male, perché il giorno dopo si presenta al via degli 800 e li vince come da pronostico perché era decisamente il più in forma di tutti) per darmi delle possibilità di vincere un titolo regionale. In sintesi lui aveva valutato per me che avevo più possibilità sui 1500 che sugli 800 e con il senno di poi devo dire che aveva perfettamente ragione. Ora il personaggio è tale che nell’immediato non avrebbe mai ammesso una cosa simile nemmeno sotto tortura e avrebbe semplicemente detto: “No, no, il giorno dei 1500 avevo semplicemente il cagotto e non ho potuto gareggiare ed il giorno dopo mi è passato ed ho potuto prendere parte agli 800…”
Questi discorsi c’entrano ben poco con l’indice di carico matematico ricordo come se fosse oggi le tensioni di quel 1500 ed ho la sfacciataggine di dire che l’avrei vinto anche se il cagotto l’avessi avuto io perché la condizione emozionale era troppo ottimale. Mi sono sentito investito di una certa responsabilità anche nel momento in cui, in assenza del favorito, il giornale locale ha citato una sfilza di possibili vincitori senza il sottoscritto. Ecco, la domanda da fargli dopo 40 anni sarebbe questa: “Ma tu, a differenza di chi ha scritto su quel quotidiano, sapevi che quel titolo l’avrei vinto io oppure lo ipotizzavi e basta? Perché se lo sapevi allora vuol dire che del sottoscritto sapevi quasi più cose di quante ne sapessi io.” Io, tutto sommato, in quei minuti non mi rendevo nemmeno conto della voglia che avevo di vincere, notavo solo che non facevo fatica ed avevo una lucidità ed una concentrazione notevolissime. Adesso, tutto sommato, ho una buona memoria perché mi pare ieri, anzi… oggi.