Qualcuno dice che la terapia elettiva del dolore articolare è il movimento, l’unica terapia e che le altre sono tutte balle travestite da lieta novella.
Questa affermazione probabilmente da un po’ troppi meriti al movimento e lo sovraccarica di responsibilità che non può avere. Però una base scientifica a tale affermazione c’è e risiede nel fatto che quando andiamo ad affrontare una sintomatologia dolorosa dei problemi articolari lo facciamo curando l’articolazione e non inibendo semplicemente il dolore.
Quando blocchiamo il dolore di una presunta artrosi con gli analgesici dobbiamo chiederci cosa abbiamo effettivamente fatto perché probabilmente non abbiamo fatto proprio nulla ma solo spostato i tempi di manifestazione del dolore che, in caso di reale esistenza del problema articolare, si ripresenterà puntualmente appena quella articolazione si infiamma nuovamente.
Quando riusciamo ad inibire il dolore grazie al movimento e, anche se non accade sempre, per fortuna questa evenienza non è rara, dobbiamo comunque chiederci cosa è successo perché anche se il problema è risolto (si spera non solo temporaneamente) e non assilla più i nostri pensieri comprendere la validità delle scelte operate con il movimento è fondamentale per poterle rigiocare in modo corretto nel momento in cui la sintomatologia dolorosa dovesse ripresentarsi, su quella articolazione o anche su un’ altra perché i meccanismi di funzionamento dell’attività fisica quale coadiuvante nella terapia dell’artrosi tecnicamente sono simili, sia che si tratti di u ginocchio, che si tratti di una spalla o di un gomito. Le applicazioni specifiche sono sempre diverse e devono fare i conti con il tipo di problema e soprattutto con il soggetto che è interessato da questo ma alcuni principi basilari permeano tutte le scelte da operare quando andiamo a trattare i problemi articolari con il movimento.
Non potendomi calare nello specifico in un articoletto senza pretese quale questo mi limito ad elencare un paio di osservazioni sulle quali in genere non si medita molto ma che sono invece importanti per la prassi.
Prima osservazione: il tecnico del movimento, anche se non è un medico, deve sempre fare i conti con gli analgesici che ha preso il paziente (purtroppo in questi casi deve essere chiamato paziente più che “allievo”) perché gli analgesici quando vengono impiegati durante lo svolgimento dell’attività fisica possono fare anche dei veri e propri disastri se non vengono considerate alcune cose. E’ buona norma avere una grande diffidenza sulla somministrazione di attività fisica durante le ore di effetto della dose di analgesia. Il perché è facilmente intuibile: l’analgesia non cura proprio nulla, toglie solo il dolore e la soppressione di quello ci rende possibili dei movimenti che in quel particolare momento non andrebbero proprio fatti.
Pertanto bisogna un po’ schiarirsi le idee e decidere se dare la precedenza ai farmaci o al movimento per la risoluzione del problema e se si usano i farmaci bisogna assolutamente condizionare il tipo di movimento in base ai criteri adottati nella somministrazione del farmaco. Da sconsigliare vivamente l’atteggiamento di chi pur assumendo farmaci non modifica le abitudini motorie di una virgola. Decisamente sconsiderato se non folle l’atteggiamento di chi usa proprio il farmaco per continuare una certa attività fisica. Dal punto di vista del movimento tale strategia è del tutto sbagliata e qualsiasi tecnico la denuncia come inopportuna.
Nell’insistere sulla difficoltà di considerare una genericità di casi invece che il singolo caso specifico sulla base dell’osservazione precedente, io mi lancio anche su un’affermazione contestabilissima ma che mi viene da fare per osservazione empirica su molti casi. Può risultare utile dare la precedenza al movimento in tutte quelle sintomatologie dolorose di recente esordio che apparentemente non sono gravi e danno una sintomatologia che può essere sopportata anche senza analgesici. In tali situazioni, a mio parere, scegliere di affrontare il problema con il movimento è una scelta vincente e porta a risolvere il problema più che a contenerlo o a posticiparlo nella sua manifestazione dolorosa. In tali casi e sottolineo solo in tali casi deve essere data la precedenza al movimento ed una volta operata tale scelta non si potranno inquinare le scelte relative a questo protocollo con le interferenze negative che potrebbero essere prodotte dagli analgesici. Al contrario il paziente (quasi “allievo” perché si cura con il movimento) dovrà essere molto vigile e attento nel valutare bene tutte le variazioni di sintomatologia dolorosa, anche di modesta entità per capire gli effetti del movimento. Insomma il dolore, che è quella bestia che nei casi più gravi vogliamo assolutamente reprimere anche con i farmaci, rischiando di dilatare i tempi di guarigione, diventa nostro alleato in quelle patologie meno gravi dove grazie ad una struttura in grado di reagire bene agli stimoli dati dall’attività fisica si può guarire senza prendere nessuna pastiglietta.
Ovviamente occorre sempre una grande prudenza, sia con le pastigliette che con il movimento ed è per quello che una maggior collaborazione fra la categoria dei medici e quella degli esperti del movimento è decisamente auspicabile.