EDUCARE VUOL DIRE “ESTRARRE”

Abbiamo perso il vero significato della parola che deriva dal latino (e non c’è bisogno di aver studiato latino per saperlo, è una cosa troppo importante per ignorarla come fanno molti). Educare deriva da educere e dunque non vuol dire buttare dentro a più non posso ma semplicemente, estrarre, tirare fuori.

Nessun complicato “buttare dentro” (che poi buttare dentro cosa? Perché ammesso che si tratti di buttare dentro bisogna mettersi d’accordo su cosa è opportuno buttare dentro) bensì un più semplice “estrarre”.

C’è che se ci abituiamo ad “estrarre”, invece che ad ingolfare le menti di nozioni sterili, dopo la scuola cambia, cambia sé stessa e cambia la società che alla fine è la cosa che chi dirige la scuola non vuole che accada. La scuola è lì per non cambiare, per perpetuare sé stessa nel corso dei secoli. Da quel punto di vista è molto più sicuro, tollerabile e raccomandabile buttare dentro che tirare fuori perché se butti dentro sai cosa butti dentro e quasi sempre sono contenuti innocui che non procurano nessun trauma e nessun cambiamento epocale, se invece estrai allora si salvi chi può, il rischio di mutamento repentino è sempre dietro l’angolo e la liberazione delle menti è la più incontrollabile delle rivoluzioni che nessuno vuole innescare. L’altro giorno trattavo dei mercati come di veri mandanti della politica attuale. I mercati come finanziatori e gestori della politica moderna che praticamente non esiste più perché diretta emanazione delle regole del mercato. Ecco, il mercato non vuole la liberazione della cultura perché ha un potere dirompente che è ancora più devastante di ogni politica innovativa.

Siamo schiavi della cultura del libro. Le risposte sono tutte sul libro, con fantastici test a crocetta possiamo far capire se abbiamo letto (studiato…) il libro o no. Vietato metterci del proprio, non gliene frega niente a nessuno, anzi da fastidio, crea dei problemi e nei test a crocetta non ci sta perché non è standardizzabile. E’ ammesso solo ciò che è standardizzabile, questo è il grande messaggio da recepire ed al quale obbedire ciecamente.

Purtroppo questo non è educare ma ingolfare le menti e le prime vittime sono proprio gli insegnanti “educati” a non metterci mai del proprio ma a seguire rigidamente i programmi ministeriali con tanto di obiettivi ministeriali e griglie ministeriali suggeriti dai controllori ministeriali della scuola ministeriale che fatta com’è potrebbe anche chiudere i battenti almeno per far aprire gli occhi sul fatto che esiste un problema culturale grave che è ancor più grave nel senso che coinvolge i nostri giovani, il nostro futuro.

Come possa lo sport darci lumi su questo stato di cose è difficile immaginarlo ma io proporrei che se la scuola non è in grado di educare, di tirare fuori un bel niente allora ci si dovrebbe provare fuori da scuola, sui campi sportivi, nella speranza di avere un po’ di tempo a disposizione per educare almeno lì.

In effetti educare con lo sport non è facile ma ci si può provare. Almeno lì il ragazzo deve essere in grado di tirare fuori sé stesso, la sua complessità, le sue pulsioni, la sua creatività, il suo modo di essere che non può essere standardizzato anche lì altrimenti ricadiamo negli stessi errori che fa la scuola.

E’ per questo che mi infurio e mi scandalizzo quando anche sui campi sportivi vedo proporre dei modelli educativi da imitare, non solo ma dei veri propri e schemi di movimento ideali che vengono propinati come “universalmente validi”. E così c’è il talento molto performante che corre in un certo modo e tutti devono correre come lui perché se lui corre così e offre grande prestazioni tutti, correndo come lui, possono fornire grandi prestazioni e l’individualità va a farsi benedire perché magari c’è chi corre in modo molto diverso ed è molto talentuoso e non deve modificare proprio un bel niente della sua corsa ma solo dimostrare che si corre anche così (non esiste un solo modello di corsa ma tanti quanti sono gli abitanti della terra, trattando di umani perché poi ci sono altri modelli riferiti ai “non umani”…) e si mette a correre in un modo che non è il suo perché… l’informazione che passa è questa.

L’omologazione fa comodo ad un certo tipo di società ma non fa comodo a tutti e non aiuta la società ad evolversi. L’omologazione rallenta i cambiamenti ma non ha rispetto per le individualità. Questo imperativo di rallentare i mutamenti per favorire la stabilità dei mercati è un po’ troppo soffocante per una società che ha bisogno di evolversi ed è arrivata alla vigilia di cambiamenti epocali che non possono più essere procrastinati.

Al contrario è arrivato proprio il momento di favorire tali mutamenti per evitare che tutto si concretizzi in una esplosione di voglia di mutamento che potrebbe davvero essere drammatica.

Ci hanno buttato dentro il telefonino, il Covid e la guerra. Ciò che uscirà non saranno telefonini, covid e guerra perché l’ uomo ha la capacità di trasformare le cose con le quali viene a contatto. La nostra capacità creativa è indiscussa e c’è da aspettarsi qualcosa di meglio di telefonini, covid e guerre, anche se le nuove invenzioni forse non faranno comodo al mercato come ciò che ci è stato buttato dentro. Reimpariamo a buttare fuori le cose senza nessuna vergogna oltre che a continuare ad ingolfarci di ciò che ci viene proposto ad ogni momento per soddisfare esigenze di omologazione.