Una ragazza che fa molto sport mi illustra tutte le sue attività e poi mi chiede se fare tutto quello sport non possa essere anche pericoloso. Precisa, in modo molto importante, che mangia molto e dunque, udite udite, non è “a dieta”.
Le rispondo subito che il fatto che non sia a dieta è un grande successo e mi da molta fiducia sull’utilità della sua “molta attività fisica”. Fare tanta attività fisica è certamente pericoloso quando contemporaneamente ci si sottopone ad un regime alimentare restrittivo che rischia di creare uno squilibrio fra entrate ed uscite a favore di queste ultime con rischio di modificazione del metabolismo ed instaurazione di possibili disordini alimentari. Se pensiamo che in molte diete uno degli obiettivi è proprio modificare il proprio metabolismo abbiamo già capito quanto sia pericoloso mettersi a dieta (“mania” molto diffusa fra giovani e anche meno giovani) più che “svolgere molta attività fisica”.
Il fatto che si ponga il quesito se sta esagerando o meno è un altro buon segnale. Chi ci pensa, a queste cose, ha meno possibilità di fare danni. Le rispondo che è molto più pericoloso e subdolo il rischio di chi indugia in una sedentarietà tendente al cronico di lunga data che non si rende nemmeno conto dei danni che va a provocare e la perpetua senza farsi tante domande.
Chi “esagera” con l’attività sportiva ha molti segnali per potersene rendere conto ben prima di fare danni. Il rischio concreto è relegato per lo più a quelle situazioni di sport agonistico ai confini con il professionismo dove l’esigenza di fare il risultato a tutti i costi per poter “sopravvivere” in un certo ambiente che tende ad escluderti se non fai certi risultati è sentita in modo molto forte, quasi patologico. In quei casi si supera lo stress psicologico perché lo stress di venire “eliminati” dal giro è superiore, si superano gli inconvenienti di ordine muscolo-scheletrico perché si studiano tutti i sistemi possibili ed immaginabili per contenerli e si può arrivare al pericoloso sovraccarico organico generalizzato che però ai giorni nostri sta diventando una leggenda perché con la medicalizzazione dello sport di alto livello i medici sono intervenuti a prevenire pure quello.
Lì, anche se sono un accanito sostenitore dello sport e pure di quello di vertice, io il rischio lo vedo ancora concreto, grave e forse peggio di un tempo quando i medici seguivano meno lo sport. Non è che per il fatto di avere a disposizione tutti gli strumenti per evitare il sovraccarico organico certi carichi di preparazione siano diventati del tutto innocui. Al contrario un tempo era proprio l’organismo a bloccarci nella proposizione di carichi stratosferici dando evidenti segnali di disagio. Adesso, con l’evoluzione della farmacologia applicata allo sport, ci si è spinti molto più in la. Nulla è doping perché il doping è solo quello che fanno i cretini che non si fanno assistere da nessun medico (rendendo ancora giustificabile l’istituto dell’antidoping che è una bufala pazzesca che non ha nessun senso tenere ancora in piedi…) e tutto ciò che è lecito viene impiegato in modo spropositato per incrementare sempre più i carichi di allenamento. In quel caso io vado controcorrente e dico di lasciar perdere l’assistenza medica e di allenarsi di meno fino a non averne bisogno. A mio parere il campione vero è uno che dal medico non ci va quasi mai non uno che ci va tutti i giorni. E’ chiaro che il mio è un modello di sport arcaico, forse non più riscopribile, e nel quale reggere la scena con i campioni superassistiti odierni è forse impossibile.
Sintetizzando, io sono fiducioso sulla salute di chi fa tanto sport adeguando l’alimentazione (senza ridurla!) a quel tanto sport. Sono meno fiducioso sulla salute di atleti agonisti pseudo professionisti che non vanno mai in sovraccarico per il semplice motivo che sono sempre monitorati ad ogni piè sospinto da uno staff medico che ne controlla i parametri bioumorali, intervenendo con i farmaci invece che suggerendo una diminuzione dei carichi, quando questi variano in modo un po’ strano.
Per tutti il rischio è di dover fare meno sport o perché un certo ambiente ti esclude dallo sport di alto livello o perchè il nostro impianto sociale non è progettato molto sulle esigenze di chi ha tanta voglia di muoversi. Ma quello è un problema di società ed io mi auguro proprio che la normalità diventi quella di chi vuole tanto tempo per fare sport e non quella di chi vuole tanto tempo per guardare la televisione.