Mi si chiede se con l’articolo “Fallacia del metodo scientifico” ho inteso davvero criticare il metodo scientifico o non ho inteso piuttosto portare una critica personale ad un modello culturale che tutto sommato c’entra poco con i fasti e nefasti della comunità scientifica.
Ebbene si, “Fallacia del metodo scientifico” è proprio il classico titolo che ci sta come i cavoli a merenda con riferimento allo spirito di quell’articolo. Diciamo pure che è come se avessi mirato a destra per colpire a manca.
Però, se proprio voglio sforzarmi di trovare un collegamento, ammetto che ho provato a criticare la scienza per colpire la scuola che è uno degli ambienti che ha bisogno di una rivoluzione non per “adeguarsi” ai tempi bensì per fare in modo che i tempi possano giungere in modo un po’ più gradevole.
Io imputo alla scuola di essere un po’ troppo “figlia” dei tempi quando invece dovrebbe “governarli”. A scuola si impara ad inserirsi in società quando invece, a mio parere, a scuola si dovrebbe imparare a “costruire” la società. Nella scuola attuale i genitori sono troppo presenti. Se i genitori hanno ancora voglia di andare a scuola che frequentino dei corsi serali ma che non stiano ad inquinare la scuola dei figli.
Ci sono genitori che controllano i compiti dei figli, altri che li fanno letteralmente, cosa impensabile ai miei tempi. Manca solo che i genitori dicano ai figli cosa è opportuno contestare al mondo degli adulti e poi siamo a posto. Se i genitori si intromettono nelle cose dei figli la capacità critica rischia di andare a zero. Non dico che il ’68 sia stata una bella cosa soprattutto se pensiamo che è stato fatto naufragare nella droga e più tardi ancora nel riflusso ma i presupposti del ’68 non erano per nulla deplorevoli. Una società che ascolta le istanze dei giovani e li rende protagonisti non solo è democratica ed evoluta ma addirittura è auspicabile se si vuole sperare in un rinnovamento culturale.
Siamo in una società dove la capacità critica dei ragazzi è talmente bassa che a dodici anni sono già lì a pensare a che facoltà universitaria vorranno iscriversi. Ma ti rendi conto che a dodici anni devi divertirti ancora da far paura e sei già lì a pensare a cosa vorrai fare da grande? La chiami maturità questa?
Ci sono dodicenni che praticano lo sport come passatempo. Manca solo che lo facciano per buttare giù la pancia. Ma hai dodici anni o ne hai quaranta? Ai miei tempi lo sport da ragazzino lo mollavi proprio quando venivano a pigliarti per un orecchio, altro che passatempo.
Il ragazzino che sogna è una figura mitologica dei tempi andati. Adesso il ragazzino non sogna, ragiona. E ragiona come un adulto, dove nella scala dei valori il danaro ha scalato le posizioni in modo vertiginoso. E così si pensa alla scuola come a quella istituzione che può darti la patente per portarti a fare un lavoro che sarà molto redditizio. Che poi sia un bel lavoro o meno non conta, l’importante è che sia un lavoro redditizio. Le materie umanistiche non contano più nulla perché non hanno a che fare con il mondo del lavoro. Ma ‘sto mondo del lavoro vogliamo cambiarlo o vogliamo solo subirlo? Il mondo del lavoro informa la scuola e la modifica secondo le sue esigenze. E se una volta tanto fosse proprio la scuola a trasformare il mondo del lavoro? Occorrono centomila cannoni, bisogna che le scuole “sfornino” tanti tecnici per costruire tutti questi cannoni. Ma se fosse proprio la scuola a dirci che questi cannoni non servono più a niente e bisogna produrre qualcos’altro?
Ai ragazzini si insegna che il terrorismo è diffuso e va combattuto. Giustamente. Poi i ragazzini vanno per strada e vedono la guerra quotidiana che si svolge sulle strade. Magari hanno pure qualche amico che ci è caduto o che è restato ferito. Perché non insegniamo loro che va combattuta anche questa guerra? E sono loro che dovranno vincerla perché noi è da mezzo secolo che la stiamo perdendo con un numero vittime che il terrorismo in confronto è cosa di poco conto.
Abbiamo la tecnologia per produrre veicoli che consumano la metà del carburante di quelli venduti attualmente. E continuiamo a vendere veicoli che vanno sempre più veloce e non ci aiutano assolutamente a vincere la guerra della strada. E’ possibile che i nostri figli non ci contestino questo? Che patto di non belligeranza abbiamo costituito? Io ti faccio i compiti e tu non mi rompi le scatole con la società nuova? Chiedimi quello che vuoi ma lasciami l’auto che fa i 200 chilometri all’ora?
E’ una società al contrario dove i bambini fanno gli adulti e gli adulti fanno i bambini perché non vogliono arrendersi ad una società che deve cambiare.
C’è davvero da sperare nelle nuove generazioni, c’è da sperare che si ribellino e ci dicano “Ok, faccio l’adulto, ma lo faccio come voglio io e non come vuoi tu.”
Lo scontro generazionale è fisiologico e produttivo se la cultura è libera e non manipolata da chi muove l’economia. Il nostro modello culturale ha certamente bisogno di una revisione e tutto sommato il fatto che nessun bambino si sogni più di essere il primo italiano a correre i 100 metri in meno di dieci secondi netti non è assolutamente il problema più importante. Ma è la punta dell’iceberg.