“Non credi che il mancato sviluppo di un’offerta organica di attività motoria per tutta la popolazione, per una vera prevenzione sanitaria secondo un modello di “welfare state” possa essere ostacolato anche dagli interessi dell’infinità di operatori privati che coprono, di fatto, un buco colossale lasciato dallo stato in materia?…”
Non credo e rispondo anche attaccando precisando l’ambito dove invece credo che questa conflittualità esista, sia pesante, determinante per sostenere certe politiche e, alla fine condizioni anche il mondo dell’attività motoria ed è per quello che ne scrivo spesso. L’ambito dove temo che questa influenza sia devastante e inaccettabile a fronte delle emergenze epocali dell’ambiente è quello della mobilità urbana. Non c’è, per conto mio, un conflitto fra attività fisica “privata”, che comunque è un bel business, e attività fisica “pubblica” perché le due sono parenti e si sostengono l’una con l’altra. Sono convinto, invece, che esista un conflitto colossale fra mobilità urbana privata e mobilità urbana pubblica. Le due per conto mio non si integrano, si autoescludono. Se potenzi la mobilità pubblica fai la guerra a quella privata e se incentivi quella privata ostacoli in modo letale l’evoluzione della mobilità pubblica. Non solo, per conto mio esiste anche un ulteriore conflitto all’interno della mobilità privata ed è forse quello più grave ed è quello che ritengo che stia bloccando la rinascita dei centri storici delle nostre città: è l’inevitabile conflitto fra bicicletta ed automobile che sono due mezzi decisamente diversi fra loro, che faccio fatica a capire come possano integrarsi e che fondamentalmente non credo nemmeno che possano integrarsi. Per conto mio lì esiste una conflittualità netta perché chi impara ad usare la bicicletta finisce certamente per usare molto meno l’auto, la usa solo quando non ci sono alternative e pertanto cambia di meno l’auto se non rinuncia addirittura ad averla perché chi usa molto la bicicletta poi impara ad usare molto il mezzo pubblico per altri spostamenti. L’alleanza è fra bicicletta e mezzo pubblico non fra bicicletta ed auto.
Queste cose è bene ammetterle anche se c’è chi sostiene che si può integrare addirittura l’uso auto-bicicletta (non a caso producono biciclette che stanno comodamente nel bagagliaio dell’auto, ma quelle stanno anche sul mezzo pubblico) perché solo se abbiamo chiaro questo possiamo poi comprendere gli ostacoli politici che si trovano nella realizzazione di grandi piani per una nuova mobilità urbana.
La conflittualità è molto forte per il semplice motivo che l’industria automobilistica è potentissima ed è inutile che ci nascondiamo dietro ad un dito ma per tutelare sé stessa è pronta anche a rallentare i progetti di sviluppo verso la nuova mobilità urbana. Il vecchio ha interessi economici fortissimi, agganci politici altrettanto forti ed ostacola l’avanzata del nuovo. Secondo alcuni questa cosa è del tutto fisiologica, addirittura auspicabile è certo che la mobilità urbana si evolve molto lentamente e molti non hanno ancora capito che la bicicletta è il mezzo del futuro perché sulle nostre strade non siamo assolutamente ancora in grado di capirlo e di rendercene conto.
Questo aspetto ritengo che c’entri molto con l’attività fisica dei cittadini e rifiuto categoricamente di pensare che ci possano essere interessi di sorta nel mantenimento della vecchia situazione da parte di chi gestisce l’attività fisica in forma privata.
Mi spiego: per quanto potente la lobby dei privati in tema di attività motoria non è certamente paragonabile a quella decisamente più forte dei costruttori di auto, un’eventuale comunione d’intenti fra le due non è nemmeno lontanamente ipotizzabile perché chi gestisce l’attività motoria privata ha tutto da perderci da questa situazione.
Al contrario è stata proprio la strutturazione delle nostre città a creare seri problemi anche all’organizzazione dell’attività motoria dei centri privati che per forza di cose si sono visti dover affrontare un’ emergenza sedentarietà andando un po’ a snaturare la tipologia della loro offerta.
Le cyclette ed i tapis roulant a perdita d’occhio che accolgono i potenziali sedentari delle città caos come polli in batteria sono un’ aberrazione dell’attività motoria, sono il punto al quale i professionisti del movimento non vorrebbero mai essere arrivati e che ha provocato anche uno svilimento della loro professionalità. Quando la popolazione è educata al movimento e può vivere in una città sana a misura di cittadino e non di automobile si rivolge all’esperto di movimento per questioni autentiche ed importanti non per noleggiare uno spazio palestra nel quale dominano le macchine da palestre ed il tecnico è una specie di guardiano di questo spazio alienante.
La professionalità dell’esperto del movimento ha solo da guadagnarci se la popolazione viene educata al movimento perché allora il modo di affrontare l’attività motoria cambia di qualità e fa porre nuovi quesiti. Sono convinto che gli “istruttori-guardiani” siano ben annoiati di fare assistenza a gente che fondamentalmente chiede di pedalare o di camminare e non si pone altri problemi se non quello di cercare in palestra quella quota minima di movimento che ha inesorabilmente perso nella vita quotidiana.
L’esperto di attività motoria, sia esso collaboratore di una struttura privata o integrato in una struttura pubblica, vuole fare il suo mestiere e questo può essere gratificante solo se ha a che fare con gente che effettivamente si muove ed ha sviluppato una cultura del movimento di un certo tipo.
E’ triste dirlo perché io sono il primo a sostenere il concetto di sport per tutti e l’importanza di una gran pazienza nel supportare anche gli ultimi, ma fra allenare un ragazzino che salta in alto un metro e dieci ed allenarne uno che salta un metro e ottanta c’è un abisso. Tutti sappiamo che dobbiamo avere profondo rispetto, attenzione e pazienza per quello che salta un metro e dieci che conta come e più di quell’altro ma, francamente, siamo tutti a sperare di averne tanti da un metro e ottanta perché sono quelli che ci creano domande sempre nuove e danno occasione di crescita al nostro lavoro.
Nell’ambito dell’ offerta privata di attività motoria nessuno si diverte ad avere a che fare con una popolazione che è in odore di sedentarietà ed in tal senso non c’è proprio nessuna conflittualità con chi gestisce l’attività motoria a livello pubblico perché anche questi spera ardentemente di avere a che fare con una popolazione evoluta a livello motorio. L’obiettivo è comune: sia per chi lavora nel pubblico che per chi lavora nel privato fare in modo che la quantità di attività motoria richiesta e soprattutto che la qualità di questa aumenti per poter sperare che il nostro lavoro possa aumentare di qualità e non restare confinato, in alcuni casi, al ruolo di controllori di polli in batteria.
Poi è evidente che chi avrà più disponibilità sarà più propenso a servirsi anche dell’assistenza privata mentre chi è al verde sarà costretto a servirsi solo delle opportunità garantite dal servizio pubblico ma se la quantità e la qualità dell’attività motoria diffusa su tutto il territorio non migliora grazie ad un nuovo approccio culturale abbiamo tutti da rimetterci. Se il gusto per la cucina aumenta vanno bene i ristoranti come le mense. Devono solo lavorare con attenzione perché il cliente tonto tende ad estinguersi ma il cliente tonto non è nell’ambizione di nessuno così come l’allievo incapace.
Dunque sono convinto che non esista una conflittualità fra pubblico e privato in materia di attività fisica ma che entrambi siano ostacolati da un altro conflitto che per conto mio è molto tosto e che condiziona le nostre vite oltre che la nostra attività motoria. La questione è politica e non può certamente essere affrontata solo dagli esperti del movimento.