DETERMINAZIONE DELL’OBIETTIVO AGONISTICO NEGLI ATLETI DELLE CATEGORIE AMATORIALI

Il problema della determinazione dell’obiettivo agonistico in realtà è un problema che riguarda solo le categorie amatoriali. Istintivamente si potrebbe pensare proprio al contrario. L’agonismo è elevato negli atleti professionisti e pertanto è opportuno determinare degli obiettivi razionali è quasi inesistente nelle categorie amatoriali e dunque non ha nessun senso pensare a quale può essere un obiettivo ragionevole.

Purtroppo con riferimento agli atleti professionisti l’agonismo non è semplicemente elevato ma è del tutto esasperato e anche a livelli non proprio di vertice quando la differenza fra correre  gli 800 metri in un certo tempo o correrli in solo due secondi di meno sono circa 20.000 euro all’anno di introiti o di mancati guadagni a seconda dei casi, tutti i ragionamenti razionali sull’obiettivo giustamente fisiologico vanno a farsi benedire, non ne parliamo a livello un po’ più su quando questi due secondi di differenza possono contare anche qualche centinaio di migliaia di dollari o euro.

Pertanto il discorso sugli obiettivi razionali di un atleta di alto livello si esaurisce nella raccomandazione: “Non commettere follie, pensa alla tua salute che quello di atleta, anche se molto bello, non è l’unico mestiere della terra e vedi di stare con la testa sulle spalle qualsiasi sia il livello prestativo che il tuo fisico ti permette di raggiungere”.

Con riferimento alla categorie amatoriali invece il discorso è molto più complesso e se qualcuno crede che non vi sia una problematica degli obiettivi agonistici in tali categorie vuol dire che non ha mai visto nemmeno un incontro di calcio fra scapoli ed ammogliati. La problematica è talmente autentica che in Italia abbiamo addirittura una legislazione particolarmente severa che vieta l’attività agonistica anche per patologie relativamente gravi per le quali all’estero la pratica agonistica non è assolutamente vietata ed una sana ed oculata pratica sportiva è invece raccomandata, ivi compreso l’aspetto agonistico che in questi casi deve sempre essere vissuto con tanto buon senso.

Ha senso determinare gli obiettivi agonistici nell’attività sportiva amatoriale in primo luogo perché una certa componente agonistica è bella e divertente a tutte le età ed in secondo luogo perché è proprio in queste categorie che possiamo permetterci il lusso di razionalizzare e gareggiare pure con il freno a mano tirato perché non esiste nessun “mancato guadagno”, non c’è alcun danno patito dall’ottenimento di un risultato inferiore a quello che sarebbe possibile andando “a tutta”.

Se torniamo alla problematica degli atleti in non  perfette condizioni fisiche è poi assolutamente consigliato saper incanalare la pulsione agonistica entro certi ambiti proprio per far sì che tale attività sia davvero utile e non invece stressante.

Tornando ai sani e comunque a tutti gli amatori è utile pensare all’obiettivo agonistico anche da un punto di vista emotivo oltre che da un punto di vista fisico. Molto spesso gli amatori hanno l’abitudine di gareggiare solo quando sono al top della forma. Premesso che l’atleta amatore può anche non aver voglia di gareggiare molto è comunque curioso che abbia la presunzione di gareggiare solo quando è al 100% delle sue capacità prestative. E’ curioso perché anche se fallisce una o più gare offrendo un rendimento sensibilmente inferiore a quello che è il suo abituale non perde alcuna credenziale con riferimento a rimborsi spese che non percepisce. L’amatore non ha ingaggi e pertanto non deve tenere alta nessuna etichetta. Il massimo che può accadere è che non arrivi in zona premio e pertanto in quella competizione non prenderà alcun premio ma con un risultato scadente non compromette nessuna partecipazione a gare successive. I campioni invece devono fare attenzione a non sbagliare troppe gare perché l’entità dell’ingaggio percepito nelle gare successive può diminuire nel momento in cui gli organizzatori si rendono conto che il tale campione non ha un rendimento sempre spettacolare ed all’altezza della situazione. Lo spettacolo che nelle gare dei professionisti è legato alla qualità dei risultati ottenuti (ma io dico anche all’imprevedibilità degli stessi a prescindere dalla qualità del risultato tecnico) negli amatori, per quel po’ che può esistere (più che uno spettacolo è una sana sfida fra elite di atleti di livello non eccelso) è legato soprattutto all’imprevedibilità dei risultati. Se vince sempre lo stesso rischia di diventare monotona “anche” l’attività amatoriale dove con quell’anche sottintendo una cosa che dovrebbe essere una caratteristica peculiare del mondo amatoriale. Molte volte nello sport professionistico c’è un campione superfavorito, lo spettacolo in tal caso diventa l’entità del risultato che garantirà la vittoria di quel campione altamente favorito sugli altri. Se tale cosa succede anche nel mondo amatoriale con un atleta che si presenta al via solo quando è pronto per vincere la gara per conto mio la competizione ne soffre in modo decisivo: più che l’entità del risultato nel mondo amatoriale quel po’ di spettacolo può esistere solo con riferimento alla difficoltà di prevedere il vincitore, se questo è altamente prevedibile che vinca con un grande risultato o con un risultato poco cambia. Da questo punto di vista ritengo che pur non  gareggiando molto l’atleta delle categorie amatoriali farebbe bene a gareggiare anche quando non è in grado di fornire un grande rendimento ed è molto probabile che possa perdere anche da atleti che solitamente batte. Quella grande alternanza di risultato che nel mondo sportivo professionistico è impedita dalla necessità di tenere ben lustra l’immagine del campione dovrebbe essere la marcia in più delle competizioni amatoriali che in onore ad uno spirito sportivo autenticamente giocoso e non animato da dinamiche economiche dovrebbe vedere gli atleti in lizza anche quando possono macchiare la loro immagine di vincenti.

Secondo questa logica io ritengo opportuno che un atleta delle categorie amatoriali possa prevedere nelle sue competizioni più standard di rendimento arrivando anche alla splendida consapevolezza di poter prevedere quando ha più possibilità di vincere. E’ anche in un’ottica di contenimento della foga agonistica che l’atleta amatore deve saper sparare le sue poche cartuccie non a vanvera ma solo in determinate occasioni.

Per fare un esempio pratico se il Bolt dei professionisti abbiamo avuto l’onore di vederlo perdere una volta sola ed ha cominciato ad essere simpatico ai suoi pochi “non sostenitori” solo in quel momento, un attimo prima di ritirarsi dalle competizioni, il Bolt degli amatori deve essere uno che vince e perde in una grande alterrnanza di risultati. Lo spettacolo del Bolt professionista è stato tenuto in piedi dalla sequela dei record’s del mondo che ha fatto e che molte volte sia stato il protagonista indiscusso delle competizioni alle quali ha partecipato senza lasciare spazio alcuno ai suoi rivali comparse conta relativamente. Un atleta così non avrebbe potuto continuare la sua carriera da perdente, almeno non per quelli che hanno imparato ad apprezzarlo come superatleta. Al contrario nel mondo amatoriale un atleta che vince sempre e nel momento in cui non vince più sparisce è un controsenso ed è un inno all’antisportività: calchi la scena quando sei protagonista e gli altri ti reggono questa scena che per te è fantastica, continui a partecipare anche quando questa scena diventa fantastica per altri e per te l’onore è nel far vedere che adesso sei in grado di reggere il palco anche se non vinci più. Per certi versi lo sport amatoriale ha una marcia in più di quello professionistico, se tutti lo comprendono la partecipazione a questo tipo di sport aumenta e diventa veramente entusiasmante se pochi lo comprendono e molti lo interpretano come una copia di serie “B” dello sport professionistico allora a tratti può diventare anche noioso. Non è una recita rendere un po’ meno in alcune gare, è solo ammettere la consapevolezza dei propri limiti e quel giorno che si va a vincere non è un bluff ma solo la razionalizzazione di un gioco che per certi versi è più professionale del vero professionismo: solo l’amatore può decidere quando tentare di vincere, il professionista è condannato a tentare di vincere sempre.