DEDUZIONE ED INDUZIONE NELLE TEORIE DI ALLENAMENTO

Ho la strana sensazione che il metodo deduttivo sia più di moda di quello induttivo nell’elaborazione delle teorie di allenamento e non voglio qui mettermi a disquisire sulla validità di un metodo o di quell’altro come se fossi uno scienziato. mi basta solo esporre questa osservazione che porto frequentando normalmente il campo di atletica.

Ovviamente visto che il metodo deduttivo è di moda dovrei far partire la mia filippica in favore del metodo induttivo visto che io sono sempre e sistematicamente contro tutte le mode. Ebbene, non che l’intento sia questo però almeno sollevare dei dubbi sull’opportunità di gettarsi in massa sul metodo deduttivo mi viene fin troppo facile.

Intanto una panoramica sullo stato dell’arte. E’ più o meno accettato da tutti come negli ultimi 40 anni circa a fronte di una medicalizzazione esasperata di tutto lo sport, non solo dell’atletica, vi sia stata una stagnazione delle tecniche di allenamento piuttosto preoccupante, difficile capire se come diretta conseguenza di questo grande impiego di mezzi in direzione della medicalizzazione dello sport o per che altri motivi.

I protocolli medici hanno indicato una direzione ben precisa: zero improvvisazione, massima sicurezza (con i farmaci non si scherza) e uniformazione massiccia di tutti gli interventi, non solo a livello di apparati interni dei singoli sistemi sportivi ma proprio a livello globale. Abbiamo assistito ad una globalizzazione dei metodi. Non è più come un tempo che ogni stato faceva a modo suo e così c’erano le leggende sulla DDR che faceva in un certo modo, quelle sulla Finlandia che faceva in altro modo poi quelle sull’Unione Sovietica e quelle sulla Spagna per arrivare a quelle sui paesi africani che qualcuno sosteneva che fossero arrivati ad una discreta medicalizzazione dello sport solo verso fine anni ’80 (ma c’è da crederci?).

Diciamo pure che a livello globale ha trionfato il modello sovietico (anche se l’Unione Sovietica non esiste più) che è quello che prevede un costante controllo dell’atleta anche per non fargli avere strane sorprese con l’antidoping. Paradosso: quelli che hanno inventato questo metodo, ad un certo punto non hanno più avuto la struttura organizzativa per portarlo avanti e paradosso ancora più tragicomico alla fine sono stati sanzionati per questo motivo (la Russìa, visto che l’Unione Sovietica non esiste più…).

Nelle teorie di allenamento si è voluto seguire un po’ la stessa strada ma mentre se la scelta del protocollo rigido per conto mio poteva avere un senso (anche se io sono un soggetto un po’ naif per uno sport che lascia fare ai medici il loro vero mestiere che è quello di seguire soprattutto i malati più che i sani) in campo medico, in teoria e metodologia dell’allenamento sportivo tale scelta si è rivelata un po’ azzardata.

Mi spiego, laddove si tratta solo di allenamento e non di farmaci è sacrosanto sperimentare e anche rischiare un po’. Parliamo di rischi relativi, non rischi conseguenti alla formulazione di carichi di allenamento pazzeschi. Invece questa sperimentazione e questa moda di sperimentare, tanto in voga negli anni ’50, ’60 e pure negli anni ’70 è successivamente venuta meno anche forse per la necessità di garantire agli sponsor, sempre più presenti nello sport di alto livello, capacità di prestazione non legate al caso ma supportate da un’ampia letteratura scientifica. Insomma il territorio della sperimentazione sul campo è rimasto un ambito piuttosto ristretto frequentato per lo più da atleti di non altissimo livello che non rischiavano di perdere compensi tutt’altro che trascurabili. Quegli atleti, rappresentanti di uno sport per lo più ancora dilettantistico non sono riusciti ad imprimere un marchio ben distinguibile alle tecniche di allenamento.

Sarà perché non alleno atleti del grande circuito ma io ritengo che un’ ulteriore evoluzione delle tecniche di allenamento sia possibile solo portando avanti lo spirito di quei tecnici pionieri e sperimentatori di un tempo ed in tal senso dico che il metodo induttivo, anche se completamente fuori moda, deve ispirare i criteri di scelta delle teorie di allenamento di quegli atleti che possono permettersi effettivamente il lusso di rischiare di non ottenere risultati. Quella platea è piuttosto ristretta perché con le preparazioni che ci sono al giorno d’oggi che contemplano quasi sempre la doppia seduta giornaliera profondere un impegno così massiccio per poi rimanere con un pugno di mosche non fa piacere a nessuno

Probabilmente l’applicazione del metodo induttivo che non si basa sullo studio di una statistica molto importante di casi ha senso solo per quegli atleti che pur allenandosi tanto non hanno la pressione di un certo tipo di ambiente che investe molto su di loro. E’ certo che sperimentare anche se forse folle e più rischioso è comunque più divertente che mettersi ad applicare dei protocolli rigidi quasi come se anche la teoria dell’allenamento fosse formulata con gli stessi criteri con i quali si formulano i protocolli farmacologici. Chiaramente si può sperimentare solo su carichi di allenamento abbastanza razionali e non esagerati e allora alla fine è il solito discorso che non si può isolare la teoria dell’allenamento sportivo da quanto avviene anche in campo medico. Quando interviene il medico l’allenatore si trova di fronte ad uno scenario completamente diverso ed è anche per quello che, in preda ad un semplicismo esasperato, affermo che mi piacerebbe che i medici entrassero nello sport solo quando strettamente necessario.