CONSUMISMO ED ATTIVITA’ FISICA

Non ho la sensazione che il sistema dei consumi sia stato messo molto in crisi da questa pandemia. Da più parti sento dire della necessità di ripartire al più presto per non provocare il collasso del sistema e tale affermazione mi fa pensare che ad una revisione del sistema non ci pensi proprio nessuno.  A mio parere il sistema dei consumi era collassato già prima della pandemia nelle sue aberrazioni quali un aumento esponenziale dei problemi ecologici ed un appiattimento culturale sui problemi etici piuttosto preoccupante.

La neutralizzazione della vera politica ed il passaggio dalla politica vera delle piazze, dei luoghi di confronto fra la gente comune alla politica finta delle televisioni e delle segreterie di partito ha completato il quadro di una società che non mette più in discussione nulla e che accetta un unico modello educativo: quello del mercato. Mercato ed economia comandano la politica ed ai margini di questi sono lasciati discorsi etici di facciata attribuiti ad un credo religioso troppo spesso ignorato e deriso se non addirittura guardato con sospetto come potenziale fonte di destabilizzazione di un sistema che non accetta critiche.

L’attività fisica del consumismo è un tipo di attività fisica che ha perso di vista l’essenziale per concentrarsi su ciò che fa comodo al mercato. Così nelle nostre città ci si muove poco perché tale opportunità non è funzionale alle esigenze del mercato e l’aberrazione più clamorosa di questo stile è lo spostamento del ciclista dalla strada alla palestra.

L’insegnante di educazione fisica come professionista che motiva al movimento e mette in grado di muoversi con facilità ed entusiasmo è stato sostituito da una specie di terapeuta che accoglie in palestra personaggi che hanno perso qualsiasi educazione al movimento e devono ricominciare da zero, come se non avessero mai imparato a camminare o ad andare in bicicletta. Le macchine che ci impediscono di muoverci liberamente nelle nostre città sono le stesse che ci tengono chiusi nelle palestre perché visto che fuori ci sono macchine che non possono essere eliminate bisogna escogitare qualcosa per non eliminare nemmeno quelle che occupano gli spazi palestra ed hanno di fatto sfrattato un certo tipo di professionisti dallo spazio palestra. Siamo al servizio delle macchine sia fuori che dentro alla palestra. Si pensava che quelle dentro alla palestra ci potessero aiutare a liberarci da quelle fuori ma evidentemente una sorta di solidarietà fra macchine non ha prodotto questo effetto.

Non è nessuna solidarietà fra macchine, ovviamente, che non  può esistere perché, per fortuna le macchine non sono ancora realmente pensanti e non si autotutelano ma solo un’ulteriore perversione della logica del mercato che per sue esigenze ha bisogno che restiamo dipendenti da macchine di tutti i tipi.

La cultura del movimento ne risente in modo drammatico ma quello è solo un effetto collaterale perché l’obiettivo non è tutelare la cultura del movimento bensì renderla funzionale ad un sistema che non si ponga in contrasto con le esigenze del sistema dei consumi.

Teoricamente la pandemia dovrebbe aver dato un forte scossone a tale sistema perché la gente, privata dell’essenziale possibilità di fare movimento all’aperto nei momenti peggiori della pandemia, ha capito quanto questa cosa sia importante. Alcuni si sono anche ammalati in tali frangenti al punto da far rivedere le modalità di lotta al virus anche nei momenti peggiori. Senza ammetterlo pubblicamente si è capito che la carcerazione preventiva dei cittadini ha prodotto più danni che benefici e così se vengono comunque vietati gli assembramenti ed i comportamenti pericolosi per la diffusione del virus non si indugia più in modo spregiudicato in quel folle “tutti a casa” che sembrava più uno slogan televisivo che un’indicazione di profilassi sanitaria.

Questa nuova consapevolezza dovrebbe aver prodotto anche nuove esigenze nei cittadini e probabilmente queste sono anche chiare ed interiorizzate ma una sorta di timore sociale fa in modo che tali esigenze non vengano manifestate. Si ha paura del cambiamento, si ha paura che nuove richieste possano far saltare in modo irreversibile il vecchio sistema e così si accetta l’idea che la città può essere vivibile solo in zona rossa ma deve tornare un autentico inferno in zona gialla o anche in zona arancione perché quel tipo di economia deve ripartire. Ci hanno imbottito la testa del fatto che quella è l’unica economia possibile e anche se produce danni ecologici insostenibili, squilibri sociali non sopportabili, è l’economia da far ripartire prima possibile. L’economia dei consumi, quella degli sprechi, delle spese inutili, quella che si salva solo chi può acquistare perché chi non può acquistare non ha diritto nemmeno a vivere. L’economia dove lo stato non esiste perché tutto è mercato e si funziona solo per quanto si è in grado di vendere.

A sorpresa sono piuttosto ottimista sull’evoluzione della pandemia perché se i vaccini funzionano, ed abbiamo ottime possibilità che funzionino, nel giro di poco tempo potremmo esserne fuori. La cosa che non funziona é che tutte le indicazioni che ci sono venute da questo tempo balordo potrebbero anche essere ignorate perché c’è un sistema economico perverso che si autotutela, probabilmente ben più perverso del Covid, e che potrebbe restaurarsi nello stesso modo di prima.

In sintesi temo che torneremo a fare i sedentari nello stesso modo di prima, schiavi delle macchine, fuori e dentro la palestra, obbedendo ad una cultura dell’attività motoria dettata da esigenze di mercato e non dalle reali esigenze di tutela della salute della cittadinanza. Spero di sbagliarmi solo su questa seconda previsione ed essere invece buon profeta sull’uscita dall’emergenza Covid. Sbagliarle tutte e due sarebbe un’amara consolazione, sbagliare solo quella che mi vede ottimista nell’uscita da ‘sto disastro sarebbe veramente una sfiga insopportabile.