CONSIGLI E STORIA DELL’ALLIEVO

L’unico consiglio che mi sento di dare ai soggetti dei quali non so proprio nulla è: “Non accettate consigli da nessuna persona che non vi conosce, piuttosto fate di testa vostra.”. Attenzione che non ho detto di non accettare consigli dagli sconosciuti. Se uno ti interroga e sa tutto di te per conto mio può anche essere un perfetto sconosciuto ma  ha molte possibilità di darti degli ottimi consigli. Diciamo che ci sono due possibilità: o è un bravo allenatore o è un ladro che vuole venire a svaligiarti la casa e ti ha chiesto tutto per questo. Però se è un ladro è un ladro che se ne intende di attività motoria perché sa che per dare buoni consigli in tema di attività motoria bisogna sapere molte cose dell’allievo…

Al contrario il tecnico che da consigli a vanvera senza sapere nulla dell’allievo non può essere un bravo tecnico o,  al limite è un bravo tecnico che vi sta prendendo in giro. Preferisco un tecnico scarso che non mi racconta bugie di un luminare che mi mette zitto e mi sistema con una frottola ben assestata.

Praticamente un parametro che avete per valutare il grado di preparazione del vostro tecnico al primo impatto è proprio quello di vedere la scioltezza con la quale comincia a darvi consigli specifici (e dunque applicativi) senza conoscervi. E’ un’ interessante indagine che si potrebbe fare nelle palestre private, questa, per valutare il grado di competenza dei vari istruttori e la serietà di queste strutture ma potrebbe portare a delle sorprese amare. Non c’è interesse a prendere in giro l’allievo ma ci sono almeno tre buoni motivi perché possa accadere che vi danno consigli senza conoscervi: il primo è che hanno paura di violare la vostra privacy e, purtroppo, questa non è una scusa da poco, il secondo è che non hanno tanto tempo da perdere e, soprattutto se vi trovate in un “supermercato dell’attività motoria” (cominciano ad esisterne un po’ troppi di questi tempi: sono le famose “catene” fatte con lo stampino) può accadere che l’istruttore abbia disposizioni “dall’alto” a non concedervi troppo tempo, il terzo, ahimè, è che anche nel terzo millennio esistono istruttori ignoranti e presuntuosi che credono di avere il verbo e si permettono di emettere sentenze senza prima aver… istruito la pratica.

Ovviamente io rischio di far parte di quelli a sputare queste sentenze ma c’è anche da aggiungere che, teoricamente, l’insegnante migliore potrebbe anche essere quello che non vi da proprio nessun consiglio e sta solo a spiarvi e ad ascoltare i vostri commenti. Poi ogni, sei mesi o giù di lì potrebbe uscire con qualche domanda (domanda, non “sentenza”) di quelle che vi mettono in crisi e vi convincono a rivedere tutta la preparazione. Capite che c’è un po’ di differenza fra questo tipo di tecnico e quello che, pur senza conoscervi, spara consigli a raffica e formula dettagliati piani di preparazione aspettandosi che voi li prendiate in considerazione  senza battere ciglio.

La storia dell’allievo è certamente una base di partenza per poter stabilire un contatto proficuo fra tecnico e allievo. C’è di mezzo la legge sulla privacy e c’è di mezzo soprattutto un rapporto di fiducia che parte subito fin dal primo contatto. Nella nostra esistenza siamo coinvolti in un’infinità di rapporti di fiducia, lo è anche quello con il personaggio che vi strappa i biglietti al cinema che, senza dirvi nulla, con un’ occhiata vi dice “preparatevi a dormire” oppure “questa sera avete scelto bene”, figuriamoci se non lo è quello con  chi vi da consigli per l’attività motoria.

Il buon allievo è quello che con poche indicazioni ci mette già sulla buona strada per poterci capire qualcosa. L’allievo che senza spiegare nulla dice che vuole diventare grosso o vuole diventare magro ci dà solo un’ indicazione che praticamente è: “Guarda che se vuoi capire qualcosa del sottoscritto devi farmi delle domande perchè se e per me ti racconto tutto quello che ho visto per tv negli ultimi trent’anni.”

E allora siamo costretti a fare delle domande e con queste ci giochiamo la reputazione perché non possiamo essere troppo invadenti. Ma, insomma, come il medico per arrivare a certe diagnosi deve dire al paziente “Si spogli”, noi non dobbiamo certamente spogliare nessuno ma se  questo è una spia della Cia e non può assolutamente raccontarci come si muove e che obiettivi ha con la sua attività fisica, rischiamo di non aver alcun elemento per potergli formulare buoni consigli per la “sua” attività fisica.

Questo è il punto, la “sua” attività fisica, perché uno dei punti centrali è che l’attività fisica deve essere fortemente individualizzata. Scalare l’Everest può essere letale per la maggior parte dei comuni mortali e l’insegnante che ti invita a farlo se non hai i numeri per questa impresa si merita la galera, ma per un altro soggetto può essere la cosa migliore di questo mondo e può accadere che “…Insomma avevo centomila problemi, non ne risolvevo uno poi ho trovato quello stregone che mi ha detto che dovevo scalare l’Everest e adesso sono un’altra persona…”. Noi non possiamo dire di scalare l’Everest a nessuno ma quando conosciamo bene il soggetto che ci chiede consigli possiamo arrivare a capire che questo ha bisogno di un certo tipo di attività motoria che probabilmente, nessun tecnico, ad un primo esame, avrebbe ipotizzato utile per quella situazione.

La storia dell’allievo è fondamentale anche perché, praticamente sempre, è dalla base di questa che emergono gli obiettivi. Come tecnici possiamo contestare l’utilità e la razionalità di un certo obiettivo per un allievo ma non possiamo contestarne la sua storia. La sua storia è un dato di fatto che ormai non possiamo più modificare, conoscendo questa possiamo capire il perché di determinati obiettivi ed eventualmente intervenire con maggior efficacia su questi per riformularli in modo più razionale. Anche lì ci vuole molta umiltà per sbilanciasi in consigli che possono andare ad alterare in modo significativo la qualità della vita. Se mi dice che ha paura a staccarsi dalle macchine da palestra un soggetto che ha avuto tre infarti in tempi recenti io posso anche capire il suo timore a staccarsi da un ambiente protetto e la sua necessità di stare sempre a contatto con persone che possano eventualmente soccorrerlo. Ma se mi dice che ha paura a staccarsi dalla palestra per svolgere una normale attività di endurance un soggetto sano, che sta bene ed al quale è stato diagnosticato un normalissimo “cuore d’atleta” con tutte le modificazioni strutturali e funzionali che esso comporta,  io consiglio a quell’allievo un  buon psicologo più che un buon cardiologo o un buon tecnico.

Tutte le problematiche, anche psicologiche, emergono parlando con l’allievo. Il tecnico che parla troppo, a volte oltre che rischiare di di dare consigli inopportuni perde la possibilità di conoscere meglio l’allievo. Lo scambio deve essere franco schietto e si potrà anche arrivare al fatidico giorno che l’allievo supera il maestro e alla famosa frase, non del tutto campata in aria, che fa più o meno così: “Guarda ho capito benissimo cosa intendi dire ma per me, che mi conosco, penso che sia meglio questo tipo di soluzione…”.

Questo perché anche l’allievo impara ad utilizzare al meglio quel tecnico, lo “decodifica” con maestria e comunque l’allievo che dice al tecnico “Ormai mi conosco” è un allievo che sta facendo al suo tecnico il miglior complimento. E’ come quando ad un soggetto smarrito in una grande città indicate un paio di vie e questo, con un cenno della mano vi fa capire che si è ritrovato ed ha capito tutto. Non abbiate paura ha davvero capito tutto perché siete stati bravi voi a dare le giuste indicazioni oppure chi doveva recepire le vostre indicazioni ha capito che da voi non potrà avere consigli utili e sta solo scappando. Ma questa è un’altra storia…