Commento a “Vittoria e sconfitta”

Riporto con soddisfazione (‘na volta tanto…) un commento al mio articolo su “Vittoria e sconfitta”. Riporto integralmente e poi ho l’onore e l’onere di aggiungere qualcosa.

 

“Sono il diretto interessato dell’articolo “Vittoria e sconfitta”, volevo solo dire che offrire una cena non è nulla. Nel carpire, rubare quella medagliuzza mi ha dato una gioia da farmi commuovere. Non vale un granché, lo so ma la conserverò con i miei ricordi più belli non so se ci sarà un’altra occasione, l’atletica master ogni tanto sa riproporre nuove opportunità, difficile è farsi trovare pronti. Provarci è d’obbligo viste le emozioni pulite, quasi fanciullesche che mi restituisce. Quindi vengano le cene a sbaffo, io ci sto.”

 

E dopo aver puntualizzato che quella sera abbiamo mangiato veramente bene che, tutto sommato è un dettaglio tecnico non trascurabile visto che il mio amico ha “coordinato” la cena nel suo locale (e dunque ha fatto “bingo” pure lì…), mi sento in dovere di aggiungere qualcosa se non fosse che ho addirittura paura di rovinare questo commento che mi inorgoglisce.

Scrivere di sport, di attività motoria non è inutile. Certamente l’ingrediente numero uno dello sport è il gesto fisico, l’atto motorio che lo concretizza. Ma poi ci sono le emozioni e anche quello è bello descriverle.

Probabilmente, come quella è stata un’ottima cena, anche il mio articolo non è stato un pessimo articolo se ha provocato almeno questa interessante replica.

Ho già scritto che il vissuto emotivo nello sport, nell’attività motoria, è determinante, fondamentale. Questo si vive direttamente durante il gesto sportivo e poi si va a rivivere nel momento in cui viene rievocato, ad una cena, in un commento, in una qualsiasi situazione, anche su un articolo che descrive quell’evento.

Ho una mia passione nel rievocare e nel considerare le gesta sportive, a qualsiasi livello, che si discosta un po’ dall’atteggiamento giornalistico medio. Sui giornali sportivi, essenzialmente,vengono osannate sempre più una infinità di gesta sportive di un numero piuttosto ristretto di eroi. Io trovo che se queste gesta sono un’ infinità alla fine diventano un po’ noiose (non a caso al calcio moderno mancano i commenti del giorno dopo perchè si pensa subito alla partita seguente e non c’è il tempo per fermarsi un secondo a rivivere l’ultima partita) mentre mi entusiasma molto quando queste gesta sono prodotte da protagonisti che non sono i soliti eroi. Nell’atletica di un tempo c’era spazio per molti più volti ed era un palcoscenico con tantissimi protagonisti. Adesso vi sono certi meeting di atletica che sono costruiti sulla presenza di tre o quattro big che da soli assorbono il 50% del budget dell’intero meeting e che vengono pubblicizzati prima ancora che scendano in pista ad ottenere il grosso risultato. Ciò una volta era impensabile, come era impensabile che in una maratona di alto livello l’atleta in decima posizione transitasse con un distacco colossale perché anche a livello non molto alto c’era un gruppo di 15-20 outsider che riusciva a marcare stretto i veri protagonisti della gara per un buon numero di chilometri.

Insomma ci sono pochi campioni che continuano a produrre risultati di alto livello mentre una volta si vedevano tantissimi atleti in grado di giocare il colpo a sorpresa. Questo forse accade ancora nelle categorie masters dove i fattori che ti impediscono di tenere una grande continuità di rendimento sono molteplici e dunque l’imprevedibilità del risultato finale è più elevata.

La medaglia del mio amico è tanto più gustosa quanto inaspettata, chiaro che la prossima volta non potrà più giocare sull’effetto sorpresa ma questo aggiunge un elemento in più di sfida alla situazione agonistica.

Mi piace l’atleta che vince a sorpresa ed a volte la sorpresa è proprio nella replica del risultato. Su questo punto mi piace citare la seconda vittoria di Orlando Pizzolato a New York, quella del 1985. Direi forse la vera vittoria.  Alla prima non ci credeva nessuno, dicevano che era stato un caso irripetibile. Poi, chiaramente, Pizzolato non poteva diventare monotono, ed allora si sono limitati a dire che comunque un italiano che vinceva a New York era un caso e Gianni Poli, nel 1986, li ha stroncati di nuovo.