“Ho letto il tuo articolo di “non critica” al Progetto 8-18 lanciato dalla Federazione di Atletica Leggera e dalla Federazione Pediatri. Sono d’accordo che sia un’ottima iniziativa, capisco anche la tua volontà nel voler estendere il discorso ad età più avanti ma forse tu non hai capito come funziona lo sport in Italia. Alla Federazione di atletica non interessa certamente avere centinaia di atleti che corrono i 400 in 48″ netti a 23 anni, preferisce averne una decina che corrono in 47″ a diciotto anni perché da quei dieci potrà finalmente arrivare il primo italiano che corre i 400 in meno di 45″ mentre dagli altri, ben che vada, verranno fuori dei discreti quattrocentisti per dare lustro alle gare regionali. Come in tutti gli sport conta il campione che traina il settore. Le mezze figure fanno piacere ma non servono. Se vuoi essere illuminato in proposito guardati una qualsiasi gara di atletica in televisione e capisci tutto. Buon lavoro per il sito e… non farti illusioni. Il mondo dello sport è comandato dagli sponsor e non certamente dal… Sistema Sanitario Nazionale!”
Non è che abbia molte repliche. In effetti io sono illuso del fatto che possa non esserci questa gran differenza fra il quattrocentista che corre in 47″ a 18 anni e quello che arriva a 48″ cinque anni dopo. In effetti la differenza la fanno gli sponsor. Uno può diventare un campione mentre l’altro si sa già che, salvo eventi del tutto eccezionali, resterà semplicemente un buon atleta.
Quella che io faccio fatica a comprendere è quella dicotomia patologica di atteggiamento fra i possibili campioni e gli “umani”. Pare che un ragazzo sia autorizzato a provarci solo se ha ottime possibilità di diventare un campione altrimenti a fare sport come si deve sta solo sprecando il suo tempo. E ciò avviene nell’atletica, nel calcio, nella pallavolo ed in tutti gli sport dove verso i 16-18 anni si apre un grande bivio fra quelli che hanno qualche speranza di diventare dei professionisti (o dei semiprofessionisti perché in certi sport viene ancora sostenuto un cliché di “finto dilettantismo”) e quelli che sanno già che continueranno a fare sport per la salute per tutta la vita.
Ho scritto “quelli che sanno già che continueranno a fare sport per la salute per tutta la vita” con una vena di ottimismo perché in realtà quelli che la pensano così non pensano proprio così, hanno un contraccolpo inspiegabile e mollano lo sport agonistico anche per vent’anni, dopodiché tornano da perfetti amatori, magari pure con la pancia, ed allora è proprio chiaro che lo fanno esclusivamente per la salute senza alcuna velleità agonistica. Ma la loro salute l’avrebbero tutelata decisamente meglio se avessero continuato a fare sport sempre anche senza l’ambizione di diventare dei campioni ma solo con quella di vedere il top del loro potenziale.
Il top del potenziale non lo vedi con due allenamenti alla settimana ma allenandoti tutti i giorni o comunque quasi tutti i giorni come fa chiunque pratichi uno sport a buon livello nell’età del massimo rendimento. Purtroppo nel sistema sportivo governato dagli sponsor, dal ventenne che si allena due volte al giorno e trangugia di tutto per sostenere i 14 allenamenti alla settimana si passa improvvisamente al ventenne che va sul campo si e no un paio di volte la settimana e con quel regime di allenamento deve pure mettersi a dieta per non ingrassare. Se un ventenne ha bisogno di mettersi a dieta per non ingrassare vuol dire che fa finta di fare sport, non lo fa davvero altrimenti la sua dieta dovrebbe essere tesa ad aumentare le sue entrate per favorire una miglior crescita sportiva non a limitarle.
Non esistono le mezze misure, agli sponsor non interessano ed il Sistema Sanitario Nazionale non governa certamente lo sport ma dovrebbe cominciare a pensare che se i giovani fra i 20 ed i trent’anni facessero sport come si deve anche se non sono dei campioni sarebbe molto meglio per tutti. Lo sport, possibilmente non drammatizzato ma vissuto con gioia, è anche una cosa seria e non merita di essere stritolato nei ritagli di tempo già a 18 anni.