Commento a “I due problemi di chi corre”

“L’articolo quasi incomprensibile sulla “non fatica” offre degli spunti di riflessione interessanti anche se nella sua sostanza è decisamente opinabile.

In effetti il vero problema di chi corre, se lo fa con una motivazione agonistica, è uno solo: correre più veloce possibile, e questo problema esiste sia per chi deve fare la gara sui 100 metri  che per chi deve fare la gara sui 100 chilometri perché alla fine, qualsiasi sia la distanza di gara vince chi corre più veloce.

Il problema della fatica in relazione alle gare di velocità è quasi inesistente perché è impossibile grazie ad una maggior fatica il velocista riesca a correre più veloce. O è capace di correre veloce o non ne è capace e se non ne è capace può impiegare tutta la fatica che vuole che comunque non ci riesce, così come il saltatore in alto se non ha le doti tecniche per un certo gesto ci può mettere tutta la fatica che vuole che più su di tanto non ci va. Semmai la fatica compare nelle esercitazioni di allenamento dove la somma di queste può dare un quadro di fatica dell’intera seduta che a volte può essere anche superiore alla fatica patita dal corridore di ,lunghe distanze.

Pertanto il concetto di fatica è piuttosto relativo e si presta a considerazioni che con il normale linguaggio possono essere anche un po’ difficili da spiegare.

Un ottocentista che è capace di correre in 2 minuti gli 800 metri e vuole correrli in 1’58” non fa questa gran fatica perché ad un certo momento si rende conto che quel compito non è possibile e dopo una breve colluttazione con sé stesso, anche con le sensazioni di fatica, si arrende a correre in 2’00” o più. Le sensazioni di fatica sono relative a quel momento di tentata persecuzione di un obiettivo sbagliato dopo di che si possono protrarre se la distribuzione della gara è avvenuta in modo scorretto ma anche quello è un fatto tecnico più che di fatica, Lo stesso ottocentista che si accontenta di correre in 2’05” di fatica non ne fa o ne fa gran poca e pertanto la vera fatica è quella di accontentarsi di correre in un tempo che per quell’atleta non è una grande prestazione. Per cui il concetto di fatica è un concetto molto relativo che c’entra tanto con l’obiettivo agonistico.

Per certi versi fanno fatica anche i non agonisti e la loro fatica è quella di correre in modo un po’ innaturale, senza nessun obiettivo agonistico, perché questo è un altro dei punti un po’ caotici toccati dall’articolo: la vera corsa naturale per l’essere umano è quella con finalità agonistiche. La corsa fine a se stessa è un’astrazione poco naturale e ci si domanda se in realtà possa esistere per la razza umana perché in quanto esseri pensanti alla fine un obiettivo ce l’abbiamo sempre anche se non è il raggiungimento del miglior crono possibile su una certa corsa.

La fatica di chi corre senza obiettivi cronometrici può essere proprio quella di provare appagamento dall’esecuzione di un gesto che viene svuotato della sua motivazione principale. si corre per andare più veloce possibile, altrimenti non si corre nemmeno, si cammina.

Pertanto più che di fatica forse si tratta di discutere di aspetti motivazionali della corsa come altre volte ho notato che si è provato a fare in modo più o meno maldestro su questo sito.

Sono comunque d’accordo sul fatto che per capirci un po’ di più sulla corsa sia utile analizzare anche queste cose e pertanto sono d’accordo sul fatto di stare molto attenti alla miopia da analisi medica che troppe volte aleggia sui discorsi riferiti alla corsa sia degli atleti agonisti che di quelli non agonisti. La corsa sembra una cosa semplice ma è di una complessità inimmaginabile e non è per niente facile da analizzare. Soprattutto nella razza umana…”

 

 

 

Quando facciamo questi discorsi ci perdiamo inevitabilmente in mille astrazioni ed io sono il primo a farne di molto strane.

Per esempio ci si domanda spesso se faccia più fatica il grande campione o il tapascione che corre solo la domenica mattina. Anche lì la risposta non è semplice. Quasi di sicuro il grande campione sa dosare meglio la fatica perché quello è il suo mestiere su chi poi ne faccia realmente di più non è facilissimo rispondere. Alcuni dicono che il grande campione è un grande campione proprio perché sa raggiungere livelli di fatica epici che il comune mortale non è in grado di sostenere. Altri invece sostengono che il grande campione sia tale perché è talmente forte che riesce a correre senza far fatica.  A vederli correre questa tesi pare sostenibile e per esempio un atleta di altissimo livello è capace di correre per alcuni chilometri a 3′ per chilometri senza far fatica, cosa che ha dell’incredibile e te lo fa sembrare un marziano.

Poi però si può girare la frittata e si può scoprire che il grande campione per correre a 3′ al chilometro per la metà della distanza sulla quale è in grado di farlo spingendo al massimo fa comunque fatica ed infatti si fa pagare per farlo mentre il tapascione per correre a 3′ al chilometro per la metà della distanza massima che può tenere quel ritmo non fa quasi nessuna fatica e non si fa certamente pagare per farlo. L’esempio numerico concreto? Semplicissimo. Il grande campione a 3′ al chilometro ci fa la maratona e con quelle capacità è un  atleta da Olimpiadi. Poi però se deve correre la mezza maratona allo stesso ritmo fa comunque fatica, la va a fare ma pretende un ingaggio e questa corsa su mezza distanza per lui non è certamente una passeggiata anche se una cosa fattibile con un po’ di concentrazione ed impegno salvo che non sia decisamente fuori forma. Il tapascione corre a 3′ al chilometro al massimo per duecento metri e negli ultimi metri di questa corsa sbuffa proprio in modo clamoroso e pare che stia tirando gli ultimi. Non è in grado di andare avanti nemmeno altri 20 metri a quella andatura, non ce la fa proprio più. Poi gli chiedi se è in  grado di fare 100 metri allo stesso ritmo (la metà dell distanza massima che riesce a correre a 3′ per chilometro) e scopri che te li fa con una facilità incredibile, proprio come se fosse una passeggiata. Ma allora chi è il grande campione? Quello che ha svolto la metà del compito massimale senza nessuna fatica o quello che per svolgere la metà del compiuto massimale si fa pagare, ci pensa su e deve pensare se non è giù di forma altrimenti rischia di fare brutte figure?

Questa è un’altra dimostrazione, opinabile fin che si vuole, che il concetto di fatica è piuttosto complesso e difficile da definire. Tutti fanno fatica a tutti i livelli, anche l’amatore che dice che corre tanto per correre ma se non si pone finalità di qualche tipo alla fine rischia di sprofondare in una noia che l’atleta agonista fa fatica a conoscere. Esistono indubbiamente tanti tipi di fatica. Con riferimento alla corsa, per esempio, io penso che la più grave sia quella di quel comune cittadino (purtroppo ce ne sono molti) che a fine giornata non trova nemmeno il tempo per andare a correre perché il tempo della corsa se l’è mangiato sul posto di lavoro o in altre necessità legate alla vita di tutti i giorni, Quella è una fatica veramente insostenibile ed io sono convinto che in una società civile sia opportuno trovare i mezzi per combatterla.