Sono stato duramente criticato per una battuta che ho il vizio di riportare molto frequentemente su questo sito e che non esito a ripetere più volte anche nella quotidianità con le persone che incontro che, a vario titolo, hanno a che fare con la burocrazia che regola la fruizione di attività motoria in Italia.
La battuta, detta scherzando ma non troppo, è “Occorrerebbe un obbligo di certificato medico periodico per tutti i sedentari. Fare i sedentari, da un punto di vista medico è una condizione ad alto rischio, dovrebbe essere costantemente monitorata”. Poi, a seconda di quanto sono arrabbiato e lì lo dico per fare un po’ di scena e forse perdo un’occasione per stare zitto, aumento il brodo ed aggiungo commenti un po’ fuori luogo del tipo “La devono finire di intasare gli ambulatori con gente che sta benissimo ed ha l’unico “vizio” di fare un po’ di attività sportiva come si deve”. Con queste ulteriori affermazioni vengo bollato per pressapochista ed intimato a fare il mio mestiere: “I medici fanno il loro mestiere, tu fai il tuo…”.
Incasso e porto a casa ma non posso stare zitto perché si da il caso che il mio mestiere a volte sia terribilmente confinante con quello dei medici e se qualche medico applica i regolamenti in modo troppo zelante può arrivare anche a bloccare il mio mestiere.
Non posso fare il pressapochista ma c’è innegabile una tendenza in Italia negli ultimi anni a complicare la vita di chi fa attività motoria almeno su due fronti.
Primo fronte: quello di coloro che fanno attività motoria a basso impegno cardiaco. Tale attività è disciplinata con grande lungimiranza dal decreto Balduzzi dell’aprile del 2013 che con il nobile intento di non rompere le scatole a nessuno, di responsabilizzare gli insegnanti di educazione fisica, di far funzionare come si deve i medici di medicina generale (che sono una figura importantissima che tutti gli italiani devono ricominciare a valutare per capirci di più sulla propria salute ed anche per far risparmiare un tot. di soldi al Sistema Sanitario Nazionale) e di evitare la produzione di inutili scartoffie, invitava gli insegnanti di educazione fisica a mettere in contatto gli allievi di attività fisiche a basso impegno cardiaco con il loro medico di base il quale SENZA SCRIVERE ASSOLUTAMENTE NULLA (scritto in stampatello così si capisce meglio) doveva esprimere un parere favorevole alla partecipazione a tali attività e, se c’era qualche dubbio in proposito, prescriveva gli esami necessari a dipanare quel dubbio così come fa un bravo medico di medicina generale per tutti i suoi pazienti anche quelli che vanno solo al cinema o perdono il loro tempo a giocare con le slot machine.
Io non sto a perdermi in tutte le quisquilie di ordine burocratico che sono seguite nell’interpretazione di questa norma perché mi nausea farlo (e non sono un avvocato, queste sono quasi cose più da avvocato che da medico e/o insegnante di educazione fisica) ma è chiaro che il messaggio era trasparente “Fate attività fisica, non vi rompiamo le scatole con inutili certificazioni ma almeno una volta all’anno andate a trovare il vostro medico di base, se non altro per vedere se sta bene anche lui e raccontategli che fate un po’ di ginnastica o cos’altro fate.”
Il secondo fronte è quello delle attività sportive agonistiche dove ovviamente l’impegno cardiaco non è trascurabile ed anzi a volte di grande rilevanza anche per atleti che non sono più “nel fiore degli anni”.
Non c’è dubbio che sia importantissimo avere un buon controllo sull’efficienza fisica di questi atleti che da un punto di vista normativo devono essere chiamati “atleti” anche se non lo sono ed è sacrosanto che a questi venga richiesta una visita a cadenza almeno annuale. Se è richiesto un parere di un medico anche a quelli che non fanno nessuna fatica figuriamoci se non deve essere richiesto ed anche con accurati esami un parere per questi che di fatica ne fanno anche tanta.
Il problema sul quale sono stato redarguito e accusato di pressapochismo è sull’indicazione degli accurati esami. Non dovrei discutere di argomenti di carattere strettamente medico ma è innegabile che attualmente vengano proposti esami cardiologici molto sofisticati ad una certa fetta di popolazione solo perché pratica sport mentre c’è una fetta di popolazione ancor più grande che visto che non fa sport non ha mai fatto nemmeno un elettrocardiogramma in vita sua. E qui siamo al paradosso che scatena le mie battute, anche cretine, per carità, ma non nate del nulla.
E’ vero che troppo volte perdo importanti occasioni per stare zitto ma anche qui e questo, accidenti è il mio mestiere, VOGLIAMO METTERCI IN TESTA CHE, ANCHE DA UN PUNTO DI VISTA CARDIOLOGICO, LA CONDIZIONE DI RISCHIO PIU’ GRAVE E’ LA SEDENTARIETA’ E NON LA PRATICA DI UNA SANA ATTIVITA’ SPORTIVA?
Per cui ben vengano gli esami, anche sofisticati per chi ne ha bisogno, ma tentiamo di fare in modo che questi esami siano proposti in modo mirato per chi ne ha davvero bisogno e che non accada che gli esami li fa solo chi per un problema burocratico deve assolutamente farli. Non possiamo pensare che l’atleta, solo per il fatto che sia un atleta sia “perfetto” ed una volta scongiurate gravi patologie e consigliati altri esami eventualmente utili per scoprire anche dettagli sul funzionamento cardiaco nelle attività ad alto impegno cardiaco, dobbiamo proprio consigliare di proseguire la sana attività sportiva con prudenza e attenzione ma senza soluzione di continuità come si confà ad un’attività sportiva calibrata e razionale. L’atleta non è immortale in quanto atleta e non esiste nessun esame in grado di dirci che quell’atleta stramazzerà al suolo davanti a 40.000 spettatori terrorizzati. Lo shock di quell’evento non deve bloccare migliaia di atleti che devono giustamente controllare la loro salute ma non possono vivere nell’incubo perché non deve assolutamente più accadere quella cosa.
Fra le mie battute cretine faccio spesso anche quelle delle strisce pedonali: attraversare le strisce pedonali è una delle cose più pericolose che ci sia, non per questo vengono cancellate le strisce pedonali da tutte le strade, anzi bisogna farne di più e di più evidenti. A volte si muore anche a fare sport, anche se abbiamo fatto tutti gli esami di questo mondo e sembrava che dovessimo morire sulle strisce pedonali come molti altri. Non per questo bisogna demonizzare lo sport e bloccare troppi atleti alla ricerca di cose che non possiamo scoprire nemmeno con gli esami più sofisticati. Insultatemi pure ma non ditemi che siamo un paese all’avanguardia per il numero di atleti che riusciamo a bloccare in seguito ad accertamenti medici.
Mi sia consentita un’ ultima fesseria folcloristica (con tante che ne dico una più una meno non penso che cambi molto). Nel pieno rispetto di attività sportive dove un rischio per se stessi è anche un rischio per l’incolumità altrui (penso per esempio all’automobilismo o al motociclismo dove uno nostro appannamento può causare la morte altrui) nelle attività riferite a persone molto su con gli anni dove effettivamente un certo rischio che “l’atleta novantenne” stramazzi al suolo c’è, ma dove questo rischio non genera rischio per gli altri concorrenti, io lascerei anche una certa discrezionalità al “paziente” stesso (lo chiamo “paziente” più che atleta). E’ chiaro che nel concedere questa discrezionalità devo accertarmi del fatto che il “paziente-atleta” sia in grado di intendere e volere ed abbia perfettamente compreso qual’è il grado di rischio al quale si sottopone con la sua pratica pseudo sportiva. In questi casi io penso che per buon senso (non penso che sia contemplato da nessuna norma) sia opportuno informare anche i parenti, poi se i parenti sono contrari e il paziente-atleta vuole morire sul campo si apre una battaglia cruenta ma certamente una volta che il medico ha messo il paziente al corrente della situazione deve essere esonerato da responsabilità su eventi nefasti correlati a scelte che devono essere del paziente.
L’ultima sigaretta del condannato a morte può anche essere l’ultima corsa di un novantenne che ha corso per tutta la vita. Se muore in pista ed i parenti fanno causa al medico che ha concesso ciò a mio parere vanno internati in manicomio i parenti che hanno fatto causa al medico. Oppure va rivista la legge.