Su questo argomento ho due osservazioni immediate: una confortante, l’altra un po’ meno. Quella confortante è che le capacità motorie residue possono essere adeguatamente stimolate ed “aiutate” a rimanere soddisfacenti anche a 100 anni o più, la seconda è che purtroppo, da un punto di vista teorico, possiamo iniziare a parlare di capacità motorie residue già a zero anni ed è già tanto che qualcuno non ci racconti che il concetto è pure estendibile a ciò che già accade nel grembo materno. E’ un discorso puramente teorico, ovviamente, quest’ultimo ma deve essere accennato per far capire un dettaglio importante sulla specializzazione precoce e sulla specializzazione in genere, non solo quella che riguarda lo sport.
Il numero massimo di neuroni ce l’abbiamo alla nascita. Poi funzioniamo per selezione. Miglioriamo alcune nostre capacità eliminando neuroni. E’ come se un violinista, nella sua stanza da violinista eliminasse tutto ciò che non c’entra con la sua vita di violinista. Bene per quanto riguarda il suo futuro con il violino ma un po’ male per quanto riguarda la sua collezione di farfalle.
Pertanto il neonato, all’inizio, è come un foglio da disegno bianco sul quale vengono tracciati i primi segni. Potrà diventare il primatista del mondo dei 100 metri anche se i primi segni tracciati non c’entrano proprio nulla con la disciplina dei 100 metri piani ma se a 13 anni, per esempio, su quel foglio c’è solo pianoforte o violino, tanto per tornare all’esempio di prima, si può già dire che la carta record del mondo dei 100 metri forse è già stata spesa senza mai nemmeno vederla.
Funzioniamo per selezione e così, con un esempio che farà arrabbiare tanti insegnanti, quando noi andiamo a propinare Dante in un adolescente che non è pronto per sentirne parlare non è che abbiamo fatto nulla ma abbiamo probabilmente già bruciato la carta “Dante” forse per sempre per quel soggetto il quale nei suoi meccanismi di selezione facilmente considererà Dante come quell’ostacolo che deve essere superato imparando un po’ di cose a memoria per affrontare le interrogazioni scolastiche. Questo concetto è un po’ riduttivo per accostarsi a Dante, ma purtroppo per molti studenti è così. La memoria funziona anch’essa per selezione, non tollera pesanti fardelli nel suo delicato e limitato magazzino a lungo termine e così decide inesorabilmente che Dante fa solo caos, non merita molta attenzione e dal momento in cui è stato “utilizzato” per ottenere ciò che si voleva (la promozione, il superamento degli obiettivi scolastici) può benissimo essere messo nel “cestino” del nostro cervello.
Tornando alle capacità motorie residue il campioncino potenziale di tredici anni è uno che ha già fatto i conti con le sue capacità motorie “residue” (eufemismo chiamarle così a 13 anni) selezionando già in direzione di un determinato obiettivo e poco male se a tredici anni si è già mosso in modo da non poter mai diventare un campione della scherma o delle arti marziali ma se a tredici anni, invece, con ben altro atteggiamento si è già messo nella condizione di uno che dovrà lottare tutta la vita per muoversi in modo almeno simile agli altri allora il problema è ben diverso.
Mi spiego, siamo la prima società, penso di tutti i tempi (nella preistoria non c’ero ma non penso che fosse così) che sta formando i sedentari patologici già in età adolescenziale. C’è già l’aspirante avvocato a tredici anni o l’aspirante chirurgo ma alla stessa età c’è già il ragazzino con la panza che affronta l’attività motoria con lo spirito di un quarantenne, come un obbligo per tenersi in forma.
Pensate che non stia trattando di “capacità motorie residue” e che quelle siano solo quelle del novantenne che decide semplicemente se stare sempre sulla sedia a rotelle o approfittare dell’assistenza di chi gli sta vicino anche per fare qualche passo in piedi pur se assistito. Quelle sono certamente capacità motorie residue e vanno analizzate, vanno valorizzate ed io dico sempre che non bisogna bruciare le tappe e arrendersi troppo presto e la sana abitudine della camminatina, potendo contare sull’assistenza di qualcuno, deve essere portata avanti il più possibile.
Ma attenzione che sono “capacità motorie residue” anche quelle del tredicenne già in odore di sedentarietà perché, purtroppo, una specializzazione precoce è già avvenuta e, torno a dire, fin che si tratta della danza o dei cento metri poco male, si tratterà solo di sorvegliare su certi istruttori un po’ troppo “settoriali” che vedono solo un certo sport, ma quando si tratta di sedentarietà siamo di fronte ad un problema veramente grande.
Per capire la portata del problema bisognerebbe fare un sondaggio fra i tredicenni e chiedere quanti di loro sentono ancora di essere in grado, se lo vogliono, di diventare un campione in qualche accidenti di disciplina sportiva.
Una prima risposta potrebbe essere che la maggior parte di quelli che rispondono affermativamente rispondono in una ben precisa direzione dicendo che eventualmente, se proprio avranno delle possibilità di emergere nello sport ce l’hanno in un ambito ben preciso e non in una disciplina qualsiasi. Ma questo non è un vero problema, è un problema relativo, per conto mio non è nemmeno un problema e dimostra invece che il tredicenne in tema di sport ha già le idee abbastanza chiare a tredici anni e la cosa non deve essere vista necessariamente in modo negativo anche se la realtà ci insegna che se è sano e sportivo farà tempo a cambiare clamorosamente indirizzo sportivo anche più tardi.
La risposta terribile è che la maggior parte di essi e, ovviamente, sono soprattutto quelli che fanno poco sport, risponderanno che loro non sentono di aver la possibilità di diventare dei protagonisti in alcuno sport. E ciò è altamente drammatico. Un ragazzino che a tredici anni non ha la speranza e l’ambizione di diventare un campione di qualche accidenti di sport a mio parere non è un ragazzino maturo (come molti sostengono anche perché si applica molto a scuola e rinuncia pure all’allenamento per preparare meglio l’interrogazione…) ma un malato potenzialmente grave. Potenzialmente grave, perché i veri danni si possono verificare in tempi successivi e in età adolescenziale sono mascherati, ma in ogni caso la sedentarietà a questa età è una vera e propria malattia anche se non ha già manifestato i suoi sintomi peggiori.
Per conto mio il ragazzino sano a tredici anni deve sentire l’esigenza di diventare un protagonista di qualche accidenti di sport e nostro compito di “accompagnatori” di questo sogno deve essere di alimentarlo in modo sano e di portarlo avanti più a lungo possibile, alimentando concretamente ed in modo efficace le possibilità che questo non resti solo un sogno ma possa diventare una splendida realtà. Poi è chiaro che dobbiamo essere presenti anche nel momento in cui il sogno si sgonfia e nella maggior parte dei casi quella è la vera maturità sportiva. L’atleta maturo è quello che insiste in modo razionale e salutare a praticare sport anche quando ha capito che molto probabilmente un vero campione non lo diventerà mai. Quello che molla appena appare questo pensiero non è un vero atleta ma un illuso, probabilmente un viziato, uno che non accetta ruoli se non da protagonista, certamente un atleta male assistito perché il vero momento nel quale un atleta ha bisogno del suo tecnico e della sua società sportiva è proprio questo.
E’ una grandissima falla del sistema sportivo italiano questa, dove abbiamo tantissimi tecnici volontari per i bambini che vanno “a memoria” e non avrebbero nemmeno bisogno di un tecnico ma semplicemente di un responsabile che sorvegli che non si facciano male nella pratica del loro sport, poi abbiamo una discreta quantità di tecnici per gli atleti maturi di alto livello e non abbiamo praticamente nessuno che segua gli atleti “quasi adulti” che non stanno per diventare dei campioni. E’ come se questi fossero cortesemente invitati ad abbandonare la scena. Risultato: gli atleti non campioni nella fascia 18-35 anni che è l’età del massimo rendimento dove è decisamente opportuno continuare a fare sport agonistico anche per vedere fin dove si può arrivare nonostante che non ci siano i presupposti per diventare campioni, sono terribilmente pochi, in una proporzione devastante che a malapena raggiunge il 10% del totale dei praticanti avviati allo sport da ragazzini.
Le capacità motorie residue dei soggetti in terza età vanno giustamente sollecitate perché dobbiamo rallentare l’invecchiamento il più possibile anche per aumentare la qualità della vita. Le capacità motorie di un adolescente anche se ci è faticoso chiamarle “residue” devono essere assolutamente stimolate perché se non lo facciamo rischiamo di creare guasti irreversibili. E’ difficile che a tredici anni il potenziale chirurgo sia già tagliato fuori come chirurgo, così come il potenziale avvocato non si vede sbarrata la strada per la sua futura professione già a quell’età, ma il campione di salto in alto se ha già investito troppo sulla sua futura professione studiando in modo esagerato è possibile che già a tredici o a quindici anni abbia perso il treno per poter diventare un vero campione del salto in alto. Ora se la questione è solo in questi termini è già piuttosto triste ma in qualche modo è rimediabile ma se tale evenienza, a cascata, provoca un abbandono precoce dello sport allora siamo di fronte ad un fenomeno sociale da arrestare assolutamente e da affrontare energicamente.
Il record del mondo dei cento metri nell’ultimo mezzo secolo è migliorato di circa mezzo secondo ed i nostri migliori giovani (parlo solo dei migliori) fanno prestazioni sensibilmente migliori di quelle dei giovani di mezzo secolo fa, ma se andiamo a testare tutta la popolazione ci renderemo conto che il numero dei ventenni che corre i 100 in meno di 14″ che non è un indice di talentuosità ma semplicemente un parametro di efficienza fisica è crollato in modo drammatico. Ci sono tanti, troppi ventenni che non sanno nemmeno correre un 100 metri in 14″ (16″ per le ragazze a voler essere buoni con loro che dovrebbero perdere fisiologicamente solo un secondo dai coetanei maschi) e questa cosa non crea problemi tangibili perché con un motorino i 100 metri li fai benissimo in 5 o 6 secondi ma se hai già delle capacità motorie residue degne di un quarantenne in discrete condizioni fisiche a vent’anni vuol dire che sei già in una condizione semipatologica.
C’è un tempo per tutto, c’è il tempo per collocarsi professionalmente e c’è il tempo per lo sport. Il primo non deve iniziare nella testa dei ragazzi troppo presto per andare a soffocare ogni velleità di affermazione nello sport perché se così accade viene minata seriamente la salute dei giovani.
Purtroppo sono capacità motorie residue anche a vent’anni anche se si è nel pieno della gioventù ma certe mappe cerebrali sono marcate per sempre ed è giusto che siano marcate come devono esserlo in un ventenne sano non in un professionista maturo che è già da vent’anni che esercita la sua professione. C’è un tempo per tutto, se quello dello sport sparisce troppo presto bisogna analizzarne bene le cause, comprenderle e porci rimedio, non è un problema di campioni da offrire alla televisione (di quelli ce ne sono sempre), è un problema di salute collettiva.