Se fosse per me i campionati studenteschi li organizzerei solo per le quarte e le quinte delle scuole superiori e per gli universitari. La vera emergenza è collocata nella fascia di età fra i 18 ed i 25 anni, prima, in qualche modo, i ragazzi fanno sport, non certo per merito della scuola ma, insomma, si arrangiano. Diciamo che prima dei 18 anni sarebbe già una gran cosa che la scuola riuscisse a non dar fastidio all’attività sportiva dei ragazzi italiani che comunque si danno da fare. Per non dare fastidio sarebbe opportuno che gli impegni scolastici fossero limitati alla sola mattinata ma questo, si sa, in Italia è un argomento tabù e l’unico ministro che ha osato ipotizzare che forse i nostri ragazzi fanno un po’ troppi compiti è durato qualche mese e poi hanno trovato ottime scuse per mandarlo a casa, risolvendo il problema nel modo più brillante.
Fra i 18 ed i 25 anni esiste una vera e propria emergenza sociale. Il numero dei ragazzi che praticano sport davvero è bassissimo a fronte del buon numero di praticanti nella fascia 12-16 anni e basta guardare il livello medio di una qualsiasi classe di quinta superiore per capire che in soli due o tre anni è già successo qualcosa di grave in tema di abitudini di movimento. Figuriamoci cosa accade quando queste abitudini vengono protratte per tutto il periodo dell’università, per non parlare dei personaggi che entrano nel mondo del lavoro subito con orari da paura, perché la concorrenza è tanta e allora bisogna dimostrare che si ha buona volontà. Per conto mio la buona volontà vera è quella di chi tenta cambiare questo tipo di società e non di chi la subisce passivo perché “… tanto non si può fare niente…”.
I campionati studenteschi, fatti bene, con 6 o 7 appuntamenti annuali (più o meno uno al mese, poi a fine anno tiri le somme e si può pure fare una classifica delle varie scuole, come fanno negli Stati Uniti) potrebbero avere la funzione di far luce su questo problema sociale e dare lo stimolo per innescare situazioni in controtendenza che riavvicinino il giovane allo sport. Non ha senso mollare la pratica sportiva a 16, 17 anni quando sta arrivando il momento di fare sul serio.
Purtroppo c’è da dire che i ragazzini italiani fanno già sul serio a 15 anni con allenamenti che talvolta non sono nemmeno adeguati per la loro età e pertanto è facile che approdino al momento giusto della maturazione sportiva che si sentono già degli arrivati. Questa cosa deve essere tenuta in considerazione dai tecnici che non sono formati per produrre una gran quantità di campioncini di 15 anni ma per insegnare lo sport possibilmente a tutta la popolazione e non solo ai più meritevoli.
Lo so che disegno scenari utopistici, al momento i giochi studenteschi sono scopiazzature delle varie gare che già fa chi pratica sport e per quanto riguarda le età successive non esiste nulla di ben strutturato se non delle proposte sullo stile: “Per chi è sopravissuto, se volete, organizziamo le gare anche se avete superato l’età del gioco.”.
Ecco, forse questo è il vero senso del problema: lo sport viene visto come un gioco facoltativo: se vuoi farlo entro i 16-17 anni fallo pure purché non sottrai troppo tempo alla scuola, dopo basta perché devi pensare alle cose serie. E le cose serie sono che questa è una società che va cambiata e se non iniziano i giovani a capire quali sono i loro diritti siamo messi molto male.
Loro diritto non è andare in piazza prendendo meno manganellate possibile ma cominciare a cambiare la scuola dall’interno anche se dall’alto non può arrivare nulla perché manca la fantasia di chi non vuole nemmeno ipotizzare ad una scuola più autentica ed evoluta.