Era probabilmente il 1978 quando lessi una frase emblematica sul testo “Teoria e metodologia dell’allenamento sportivo” scritto dal tedesco Harre. Il testo era stato scritto nel 1969 nell’ex Germania Est, più precisamente proveniva dalla scuola di Lipsia, all’avanguardia nel settore ma in Italia quei testi cominciavano a circolare un bel po’ di anni dopo essere stati scritti.
La frase enigmatica in questione recitava più o meno così: “Uno dei primi sintomi di sovraffaticamento da parte dell’atleta è quando comincia ad accusare una certa sfiducia nelle capacità del tecnico”. Trovavo l’osservazione quasi tragicomica e mi faceva comunque riflettere molto. Per colpa dell’eccesso di carico non solo l’atleta si lamenta ma comincia pure a pensare che il tecnico possa essere un idiota. La cosa assumeva ancora contorni più tragicomici nel momento in cui questo sovraccarico si dimostrava reversibile: quando il sovraccarico rientra l’atleta non pensa più che il tecnico sia un idiota e cambia nuovamente idea. Se succede così, pensavo, è l’atleta ad essere un po’ idiota. Non ti sei accorto che perdi fiducia nelle capacità del tecnico solo quando sei stanco? Se il tecnico lo conosci saprai se è preparato o meno e la tua opinione non può cambiare più volte solo in conseguenza del fatto che tu sia più o meno stanco.
La storia delle endorfine o degli ormoni del “buon umore” circolava già e io mi divertivo ad accostare queste osservazioni al tanto sbandierato senso di benessere provocato dall’attività fisica razionale. Giungevo ad una conclusione piuttosto scontata quanto semplicistica: con l’allenamento non solo puoi cambiare le capacità prestative del tuo fisico ma soprattutto puoi provocarti dei mutamenti di umore neanche tanto facilmente controllabili e assolutamente non trascurabili. Era il 1978 quando pensavo queste cose, il 1969 quando Harre scrisse le sue osservazioni durante la creazione del sistema sportivo probabilmente più efficiente di quelli apparsi fino ad ora sulla terra. Chi riduce il sistema sportivo della ex DDR ad un gigantesco laboratorio sul doping dello sport contemporaneo non ci ha capito proprio nulla ed è chi crede che certi record si siano fermati perché il doping di allora era più evoluto. Il doping di allora era talmente evoluto che ha fatto soprattutto danni ed il danno più grosso è stato proprio far credere che quei record dipendessero soprattutto dal doping così ci troviamo al giorno d’oggi con un doping che si è evoluto in modo allucinante, sarà anche forse meno pericoloso ma si è esteso a macchia d’olio in modo indecente e non riguarda più certamente solo gli atleti di qualche nazione ma gli atleti di praticamente tutte le nazioni. Quella che non si è evoluta è stata la teoria dell’allenamento che si è fermata a quegli anni e sarebbe sufficiente anche solo meditare attorno a quella frase piuttosto curiosa dell’Harre per avere un approccio un po’ più razionale con l’attività sportiva.
Se il tecnico carica troppo l’atleta rischia di passare per un idiota anche se non lo è, questo lo sappiamo da allora ma questa cosa va considerata perché se viene ignorata pensando che ci sono farmaci che a livello biochimico possono porre rimedio a questo inconveniente allora forse siamo davvero in presenza di un tecnico idiota o quanto meno scriteriato, sprovveduto, imprudente e anche deontologicamente scorretto. Esiste una biochimica del sovraccarico che influenza in modo determinante il pensiero dell’atleta, questo è un ottimo sistema di difesa da parte dell’atleta contro il sovraccarico, se andiamo ad inibirlo con farmaci che scombinano le carte in tavola ci esponiamo ad un sovraccarico ulteriore che questa volta potrà manifestarsi magari a livello articolare, muscolare o organico. Poi l’evoluzione farmacologica è tale per cui si proverà a porre rimedio pure a quegli inconvenienti, ma giocare con questo tipo di rincorsa al contenimento dell’inconveniente da sovraccarico non è il gioco più salutare che ci sia, alla faccia del fatto che i record di un tempo sono stati ottenuti perchè gli atleti si dopavano molto.
Abbiamo perso di vista una delle principali funzioni dello sport che è quella di migliorare il tono dell’umore per elevare la qualità di vita. Il giusto carico è quello che fa apprezzare lo sport e lo fa svolgere con entusiasmo, un carico superiore può forse essere controllato con i farmaci ma è un controsenso in uno sport eticamente accettabile.
Per deviare il pensiero della popolazione in senso positivo in un’ Italia che ha vissuto momenti difficili (e non che adesso ne stia vivendo di migliori) siamo riusciti ad utilizzare lo sport spettacolo orchestrandolo ad arte (si pensi agli anni d’oro del campionato nazionale di calcio, ai tempi delle partite tutte in contemporanea prima che venisse devastato dalle tv a pagamento). Non siamo riusciti a fare altrettanto diffondendo lo sport per tutti e dando uno strumento diretto di produzione delle tanto decantate endorfine che possono modificare positivamente il pensiero.
L’italiano medio pensa che se l’arbitro nega un rigore alla sua squadra del cuore quell’arbitro è un mentecatto, un venduto ed è la causa principale dei problemi della nazione, poi quando quell’ arbitro non annulla un gol della stessa squadra segnato in netto fuorigioco allora si ravvede e pensa che, sì, tutto sommato in questa Italia anche se ci sono dei problemi da risolvere si può ancora andare avanti.
Sarebbe bello se facessimo un ulteriore passo in avanti e senza usare farmaci ci accorgessimo che c’è una biochimica dell’attività motoria che può influenzare positivamente il pensiero. Non è necessario doparsi anzi potrebbe essere la volta che sconfiggiamo il doping perché capiamo che il nostro sport è più importante di quello che vediamo per televisione. Un’ Italia così potrebbe produrre risultati migliori di quelli della ex DDR, senza doping, partendo da un principio che è stato fra i fondanti del sistema sportivo della DDR e cioè che lo sport viene proposto a tutti per star meglio, il resto è una conseguenza e assolutamente non legata necessariamente ai fasti della farmacologia sportiva.