Il problema dell’idoneità agonistica per la partecipazione alle gare dei masters è più un problema legale-burocratico che un concreto problema di profilassi sanitaria.
Intanto bisogna contestualizzare l’attivita’ agonistica rivolta agli amatori e comprenderne lo spirito dopodiché sarà più facile capire perché le motivazioni che possono consentire il rilascio dell’idoneità per suddetta attività possono essere anche piuttosto complesse.
Essenzialmente il master che prende parte alle competizioni a lui riservate è come un’auto storica che va ad un raduno. E’ difficile che vada la per far vedere quanto l’auto storica è capace ancora di prestazioni invidiabili, è più facile che vada la per l’orgoglio di far vedere che è riuscito a mantenere efficiente e funzionante questa macchina tenendola con cura. L’aspetto competitivo passa in secondo piano, l’auto deve essere funzionante ma più che capace di esprimere al 100% le sue prestazioni dovrà essere bella “lustra”.
Ben diversa è l’attività agonistica riservata agli assoluti, la “Formula 1”, dove l’aspetto del rendimento sportivo è determinante, ricercato a volte anche in modo spasmodico, perché, inutile negarlo, un vero dilettantismo nell’alto livello di qualsiasi pratica sportiva non esiste più. Se un rendimento superiore può essere addirittura fonte di ricchezza tutto è possibile ed automaticamente si concretizza tutta la complessissima problematica del doping.
Io dico sempre che il doping fra gli amatori (per fortuna confinato ad una elite di pazzi scatenati) è più un problema psichiatrico che un problema concreto. Non altrettanto si può dire per le categorie assolute dove, alla faccia della questione morale e della profilassi sanitaria, l’assunzione di un determinato farmaco può risultare determinante per l’esito di una importante competizione. Il master che si dopa è in odore di demenza senile, il finto dilettante di alto livello che si dopa partecipa ad un gioco dove, se speriamo che la sola questione morale sia sufficiente a contenere il problema, non abbiamo capito nulla.
Dunque se l’atleta master ha importanti motivi per non mettere sotto stress il suo delicato organismo si comprenderà quale possa essere lo spirito con il quale potrà essere autorizzata la sua partecipazione a questi “raduni”.
Nel non voler essere superficiale perché la materia è certamente importante perché riguarda la salute di questi soggetti oltre che il loro divertimento, mi sento in dovere di puntualizzare su un paio di aspetti che riguardano l’attività agonistica dei masters. Uno riguarda l’esperienza agonistica del master l’altro riguarda le gare “miste” dove il master gareggia in compresenza di atleti della categoria assoluta. I due aspetti sono connessi.
Parto subito dal mio punto di vista un po’ strano, che sarà contestato dalla maggior parte dei master, ma ha una sua motivazione. Se il master non ha una discreta esperienza di gara può essere un po’ pericoloso, in presenza di situazioni di salute non del tutto chiare, lasciarlo competere nelle gare miste. Capisco che sto contraddicendo l’elasticità che reclamavo nel valutare l’idoneità agonistica per il master ma mi spiego. Non tutti i masters hanno una discreta esperienza di gara, questo può apparire paradossale ma è così. Vi sono dei master che si inventano atleti a 50 anni. Prima non hanno mai partecipato a gare, scoprono che è divertente gareggiare, che è bello frequentare quell’ambiente, e si scoprono agonisti a 50 anni. Di quel master è importante capire essenzialmente una cosa: se ha la testa sulle spalle. Il suo buon senso va al di là di ogni altra regola e scavalca anche alcuni aspetti di valutazione fisica. Mi fa molta più paura, a livello agonistico, un master perfettamente sano che non ha capito niente dell’attività amatoriale di quello mezzo moribondo che però ha capito tutti gli aspetti di questa attività. Quest’ultimo, per male che sia messo, trarrà sempre giovamento dall’attività fisica e saprà certamente amministrarsi anche nell’attività cosiddetta “agonistica” mentre il primo potrà travisare completamente lo spirito di queste competizioni arrivando addirittura a creare situazioni di “stress agonistico” non del tutto raccomandabili per la sua età nonostante le perfette condizioni di salute.
Sembra puro esercizio di fantasia ma garantisco che non è così perché conosco fin troppo bene l’ambiente: l’atleta master che non ha capito nulla delle sue gare può arrivare a sfruttare l’occasione di competere assieme ai più giovani per rendere ancora di più. Non è fantasia, è realtà. Così come nell’atletica di alto livello esistono le lepri che ti portano a fare il “record” per un master queste “lepri” possono essere gli atleti più giovani e, da questo punto di vista, di “lepri” se ne trovano fin che si vuole.
Tutto ciò crea dei cavilli, anche di profilassi sanitaria, dai quali non ne veniamo più fuori. Cosa facciamo? Diamo la possibilità di gareggiare anche assieme ai più giovani solo ai master che dimostrano di avere la testa sulle spalle e gli altri li costringiamo a competere solo con i pari età? Molto difficile stabilire chi ha “la testa sulle spalle” e chi no. Qualsiasi proposta in tal senso viene certamente criticata con mille motivazioni anche valide. Io mi sento comunque di fare una proposta se non altro per ammettere che il problema esiste. Potrebbe essere che la partecipazione degli atleti master alle gare miste con i più giovani sia subordinata ad un giudizio di idoneità agonistica meno elastico di quello che reclamavo con riferimento alla partecipazione ai classici “raduni” masters. Oppure che tale partecipazione sia subordinata al fatto di essere praticanti di quell’attività da almeno un certo numero di anni. Fa certamente paura il master poco sano e sprovveduto, se è difficile determinare quanto possa essere sprovveduto stabiliamo dei parametri di efficienza fisica superiori per ammetterlo alla partecipazione alle gare con i più giovani.
Mi rendo conto di aver proposto una soluzione di non facile applicazione e che rischia di aumentare la già non snella burocrazia che determina la partecipazione di questo tipo di atleti alle competizioni. Il mio concetto vuole alla fine essere uno solo e ben chiaro: non impediamo la partecipazione alle sanissime gare amatoriali a quei soggetti che anche se non in perfette condizioni fisiche sanno benissimo come gestire il loro fisico. Facciamo in modo che loro non devano pagare per colpa di chi dell’attività amatoriale non ha capito nulla e pur di travisarne lo spirito è disposto anche a doparsi. L’attività motoria può fare bene a 20 anni come a 100, non è un vizio cardiaco a stabilire se sia opportuno sparire dal campo, sono gli atteggiamenti scorretti ad essere moralmente deprecabili ed “inidonei” (visto che si parlava di idoneità…) a diffondere una corretta cultura dello sport.