ASPETTI PSICOLOGICI DELL’ATTIVITA’ MOTORIA PER LA TERZA ETA’

Mi si chiede un parere sull’aspetto ludico dell’attività motoria per la terza età ed io dribblo la domanda rispondendo con considerazioni che non c’entrano con questo ma sono comunque strettamente collegate all’aspetto ludico, almeno spiegano perché su questo argomento non mi sento molto attrezzato. Per non farvi perdere tempo vi dico subito che la domanda va girata ad un professionista che abbia utilizzato molto l’attività ludica nelle sue lezioni, io l’ho utilizzata ma non molto e per questo mi sento di disquisire solo genericamente su aspetti psicologici che sono molto importanti ma vanno fuori dall’aspetto ludico.

Ovviamente quanto segue è tutto contestabilissimo ma frutto di un’ esperienza nel settore di quasi trent’anni, temo di essere calcificato su certe posizioni e anche se posso capire le esperienze di altri non mi vedo molto agile nel cambiare le mie posizioni alla luce di qualche scoperta interessante da parte di qualche mio collega più innovatore del sottoscritto.

Si dice che da vecchi si torna bambini. E questa, a mio parere, è una balla colossale ed è il punto di partenza per le osservazioni che seguono.

A meno che non ci sia un indesiderato Alzheimer in  corso, da vecchi non si torna bambini e l’accumularsi delle esperienze ci fa somigliare sempre meno ai bambini ancora più da un punto di vista psicologico oltre che da un punto di vista fisico. Poi sono d’accordo sul fatto che a volte da anziani riusciamo a capire meglio i bambini di quanto siamo riusciti a capirli da adulti non anziani, ma quello è un altro discorso. Un conto è capire i bambini ed un conto è “essere” bambini. Si dice spesso che a volte i nonni, gli anziani in genere, non hanno “polso” con i bambini ma se in certi ambiti tale cosa è vera in altri ambiti è proprio l’opposto, molte volte le persone più mature riescono ad essere giustamente più severe e risolute con i bambini proprio perché li capiscono meglio e, in quanto persone veramente adulte, riescono a capire quali sono gli atteggiamenti educativi da adottare. Tante volte i veri bambini sono gli adulti che persi fra sensi di colpa e desiderio di onnipotenza per i loro figli perdono l’occasione per cogliere delle situazioni educative potenzialmente molto importanti.

Detto questo dobbiamo ammettere che da un punto di vista psicologico nell’affrontare l’attività motoria fra un bambino ed un soggetto in terza età c’è un vero e proprio abisso. Il primo gioca praticamente sempre e la sua “professionalità” nell’attività  motoria è insita proprio in questo suo giocare. Un bambino che gioca con l’attività motoria non ti sta prendendo in giro, sta facendo ciò di più utile che possa esistere in tema di attività  motoria per lui (che impara a e si diverte) e per te (che impari a conoscere le sue potenzialità fisiche). Al contrario gli adulti un po’ maturi non giocano praticamente mai, anche quando “sembra” che giochino stanno un po’ al gioco di chi gli ha proposto questo gioco ma, insomma fingono un pochino e recitano una scena che ha un po’ di artificio.

E’ anche per questo che (piccolo inciso) mi arrabbio quando si adottano criteri selettivi molto severi nei confronti dell’idoneità per l’attività sportiva agonistica per gli anziani. A meno che non sia malato di Alzheimer, l’anziano è sempre molto presente a sé stesso nei confronti dell’attività motoria che svolge con grande senso di responsabilità e conscio del fatto che è utile alla sua salute. L’era dei Giochi Olimpici per l’adulto in terza età è finita da un pezzo e anche se può fare migliaia di chilometri per andare a partecipare ad un clamoroso Campionato del Mondo (l’aspetto psicologico che si fonde con l’aspetto ludico in dinamiche che non sono più dei bambini: il bambino che gareggi sotto casa o in tanta malora non gliene frega niente, l’anziano più distante va e più si diverte anche se il giuoco è sempre quello…) comunque gareggia con uno spirito che non c’entra nulla con quello del bambino e tanto meno con quello dell’atleta adulto. Anche qui, tanto per cambiare i più pericolosi sono gli adulti “bambini” che sono quelli che magari dopo 20 anni di inattività pretendono di gareggiare con le velleità di un atleta vero solo per il fatto che non hanno ancora i capelli bianchi. Ci sono atleti con i capelli bianchi che si chiamano atleti e possono essere in grado di andare vicino al record del mondo della specialità che praticano. Ci sono atleti con i loro bei capelli perfettamente neri o biondi o rossi che atleticamente parlando sono già da ricovero in tenera età e sono quelli più pericolosi nell’attività agonistica amatoriale.

Pertanto nel proporre una certa attività motoria all’anziano più che andare a stimolare un aspetto ludico che tante volte può non essere richiesto e anzi non desiderato (l’anziano lo accetterà come proposta per “educazione” ma interpellato in proposito non avrà difficoltà ad  ammettere che riesce a gestire meglio la sua attività grazie a proposte codificate che non lascino molto spazio all’imprevedibilità della situazione ludica) è opportuno creare quelle situazioni ambientali che possono favorire un buon atteggiamento verso un’attività che per forza di cose dovrà essere almeno un po’ standardizzata e a volte ripetitiva come appunto è quella che richiede generalmente l’anziano che si trova nella necessità di gestire agevolmente l’attività motoria anche a seconda delle condizioni fisiche del momento.

Quando mi chiedono se faccio “giocare” gli anziani io rispondo che li faccio “parlare” e sembra che risponda con una cosa che non c’entra nulla con la domanda che mi è stata posta. La realtà è che gli anziani non hanno bisogno di giocare, hanno bisogno di gestire con la maggior facilità possibile un’attività fisica che a volte per loro potrebbe sembrare problematica e poi, se possibile, hanno il desiderio che la lezione sia “non pesante” e per molti di loro questo problema si risolve magicamente… parlando. Quando la lezione è facile o anche se non facile almeno “acquisita” (e da ciò dipende la necessità di essere anche ripetitivi) può consentire a molti soggetti di parlare e ciò da un punto di vista psicologico è gratificante. L’anziano non si diverte se vince una sfida in una qualsiasi situazione ludica, si diverte se riesce a destreggiarsi con una certa padronanza nelle esercitazioni a lui necessarie per combattere l’artrosi ed altri inconvenienti legati ad una sedentarietà che si vuole assolutamente evitare. La sua è una vittoria personale più che un’assurda sfida con i suoi coetanei e una sfida è anche riuscire ad affrontare alcuni esercizi potendo tranquillamente parlare con il collega di corso. In questo senso, a differenza che nei bambini, qui anche una certa ripetitività può essere ben vista perché se nei bambini era molto importante sviluppare al meglio l’alfabeto motorio, qui l’alfabeto motorio ormai non conta più e conta invece la capacità di produrre certi gesti essenziali con una certa facilità.

Un giorno una signora, non più giovane da un po’, nell’esecuzione di un movimento di flessione del busto verso il basso mi disse che lei non  aveva alcun problema a flettere anche di molto il busto il problema era… quando doveva tornare con il busto eretto. Tale battuta suscitò l’ilarità dell’intera classe ma nella sua semplicità aveva centrato un punto chiave delle problematiche di tutta l’attività motoria per la terza età. Di una certa esercitazione non è importante quanto riesci a spingerla, se vinci o se perdi, se sei elegante o no, ma è importante “come” la fai nel senso che se la fai con facilità quasi di sicuro ti è utile e fa bene alla salute, se invece la esegui con affanno non è detto che sia utile e c’è pure da chiedersi se fa bene alla salute. Altre volte mi è stato chiesto se in una esercitazione dove si riesce a parlare tranquillamente non sia che forse l’intensità dell’esercizio stesso è troppo bassa per poter essere produttiva. La mia risposta è che parlando di esercitazioni da fare con una concentrazione assoluta tale da non permettere di parlare con nessuno per esempio l’atto di attraversare la strada sulle strisce pedonali è molto ma molto più importante e pertanto suggerisco sempre di non parlare nè al telefono ne con un interlocutore lì presente durante il delicatissimo esercizio di attraversamento della strada sulle strisce pedonali. Se poi riuscite a fare degli esercizi a corpo libero parlando tranquillamente con chi vi sta vicino io penso che ciò vi possa servire addirittura come ginnastica respiratoria oltre che come esercizio di mobilità articolare. C’è chi suggerisce per alcuni anziani andature del cammino tali da non consentire di parlare normalmente. Dal mio punto di vista proprio perché si tratta di anziani io sostengo che un’andatura di cammino che non consente di chiacchierare è sbagliata a priori proprio per questo motivo senza nemmeno andare a valutare altri dettagli. L’aspetto psicologico nella’attività degli anziani è molto importante come a tutte le età, a volte è addirittura preponderante sull’aspetto meramente fisico, di certo le intensità di esercizio fisico richieste non sono tali da richiedere una concentrazione continua e costante. L’aspetto ludico può passare in  secondo ordine in confronto a questa necessità di non somministrare un’attività molto impegnativa. In breve l’anziano “gioca” a fare con una certa facilità le cose che servono alla sua salute. In questo “gioco” deve vincere essenzialmente con sé stesso e pertanto non ha grossi confronti da fare con i suoi coetanei. Questo, ovviamente secondo una certa visione dell’attività motoria per gli anziani che certamente non è l’unica riconosciuta a livello scientifico. Tante teste, tante opinioni.