Ieri ho toccato un punto piuttosto delicato al riguardo della pratica agonistica in modo del tutto personale e ribadendo una mia convinzione che non è molto facile da capire e può certamente essere oggetto di critiche assolutamente lecite.
Stamattina su un’emittente radiofonica ho sentito qualcuno osservare come a volte l’eccesso di pluralità di informazione possa essere anche pericoloso e visto che per esempio sui “social” passa di tutto e di più, è anche facile andare a cercare ciò che si vuole leggere, qualsiasi cosa sia basta cercare e la si trova anche se è una fesseria grande come una casa.
Uno più uno fa due e praticamente subito ho pensato: “Ecco allora se uno cerca un punto di vista bizzarro sull’agonismo l’ha trovato grazie a me…”. Indubbiamente uno degli effetti collaterali della pluralità di informazione è che se si può scrivere tutto si possono anche scrivere delle grosse scemate. Penso di non aver istigato nessuno a delinquere, resto dell’opinione che serva sempre una grande umiltà per trattare di argomenti che anche se trattano di sport sono comunque molto importanti (quante volte ho scritto che lo sport è anche una cosa seria e tale affermazione, almeno con riguardo ai flussi finanziari che riesce a muovere lo sport, credo che non me la possa smentire nessuno anche se io penso che uno sport svuotato dei suoi contenuti economici potrebbe essere ancora più importante ed efficace) e in ogni caso far capire che il proprio è sempre solo un punto di vista e non il miglior modo di interpretare la realtà è la premessa per potersi permettere il lusso di dire cose anche un po’ strane che alla maggior parte dei lettori possono apparire anche non convenienti.
Nel dettaglio ieri ho affermato (partendo da un discorso su abitudine ed adattamento) che sono favorevole alla pratica agonistica a tutte le età e che ritengo che anche in terza età possa avere un suo significato ed una sua utilità. Mi sono spinto oltre ed ho pure osservato che anche relativamente a casi di problemi cognitivi la pratica sportiva a mio parere difficilmente risulta pericolosa in quanto è l’ambito nel quale l’anziano riesce a muoversi con maggior padronanza, talvolta con più “razionalità” di quella che può accompagnare le gesta sportive di un ragazzino adolescente. Ho aggiunto, con un esempio un po’ folcloristico, che mi fa più paura un anziano che si muove con la motosega nel suo giardino per curare le piante che non uno che in tarda età sta ancora lì a pensare come poter fare meglio possibile il salto in lungo. Il perché di quest’ultima affermazione penso che sia inutile specificarlo comunque siccome la chiarezza su questi temi non è mai abbastanza intendo dire che l’anziano che fa il salto in lungo al massimo si fracassa la sua gamba o la sua schiena mentre quello che lavora in giardino se lavora con una motosega può pure essere pericoloso anche per gli altri oltre che particolarmente per sé stesso. Molti quando trattano queste cose la mettono sul piano dell’accidenti cardiaco più che su quello del semplice accidenti muscolare (alla fine è un muscolo anche il cuore…) e per questo dicono che anche un banale salto in lungo può essere pericoloso. E lì io non riesco a discostarmi dalle mie convinzioni: se c’è un accidenti cardiaco non vedo come possa essere peggiorato da un’attività fisica controllata e razionale (un tempo il paziente cardiologico veniva quasi fermato del tutto poi si è capito che in quel modo si facevano solo danni) e se fa paura il mancamento improvviso questo è certamente più pericoloso se ti accade mentre hai in mano una motosega che non mentre stai facendo un salto in lungo.
Da questo punto di vista, seguendo la statistica, alle persone anziane sarebbe da dire di lasciar perdere la moglie ma se dite questa cosa vi internano in manicomio e a tal proposito il commento della maggior parte degli anziani è “Magari!”. Non voglio andare su tragicomico ma ci si va molto vicini anche quando si parla di salto in lungo, nel senso che per molti anziani il salto in lungo non è solo follia ma un autentico miraggio. Battendo sempre questa pista se tu, leggendo nella sfera di cristallo, predici ad un anziano: “Attento alla motosega in giardino perché ci caschi sopra e viene fuori un disastro…” sono convinto che lo stesso magari non ci crede ma quasi sicuramente non risponde: “Magari!” perché non è certamente il tipo di incidente che uno si augura a nessuna età. Se devo morire in giardino preferisco morire sulla sedia a dondolo e non per colpa della motosega.
Questa mia convinzione sull’utilità della pratica agonistica anche in tarda età mi ha fatto scrivere molte cose strane ed altre volte ho affermato che dovrebbero essere i giovani ad imparare dai vecchi e non viceversa. Ovviamente anche questa affermazione deve essere ponderata e non bevuta così com’è perché non vada di traverso.
Io ho in testa una certa idea di agonismo un po’ complessa che molto spesso è portata avanti dagli atleti molto maturi e poco compresa dai giovani. Partiamo dal discorso economico: nessun master pratica sport agonistico per guadagnarci dei soldi. Il master con la pratica agonistica i soldi li spende e basta anche perché in genere le sue gare sono in giro per il mondo e pure in luoghi abbastanza costosi perché generalmente sono mete rinomate (perché purtroppo c’è il business pure lì) e dunque, salvo che il master non abbia la fortuna di vivere in una città dove il comitato provinciale della Fidal (Federazione Italiana di Atletica Leggera) ha particolarmente a cuore l’attività degli amatori, dovrà pure spendere un po’ di soldini per andare a prender parte alle sue poche stramaledette competizioni riservate alle categorie Master.
Quando togliamo la motivazione economica automaticamente abbiamo tolto forse il più grande fattore di aberrazione della pratica agonistica. Qualcuno può osservare che vincere fa comunque piacere anche se non fa diventare ricchi. Questo è certamente vero. Vincere fa piacere ai bambini e fa piacere anche agli anziani. Forse la categoria meno sensibile alla vittoria “fine a sé stessa”, senza compenso economico, è quella delle persone in piena età lavorativa, quelle che hanno sempre ben presente il concetto “Il tempo è danaro”. E quella per conto mio è un’altra aberrazione dello sport, perché se hai la possibilità di vincere è giusto che ci provi anche se non c’è nessun compenso economico. Chi prova a vincere solo se c’è un vantaggio economico o è in grave crisi finanziaria (purtroppo ci siamo in molti ma non dovrebbe essere così grave da condizionare anche tutto il tempo libero) oppure dello sport non ha proprio capito nulla e non lo apprezza neanche un po’.
Allora l’agonismo che sostengo io è proprio quello dei bambini e degli anziani, quello che ti dice che non è stramaledettamente importante vincere perché anche se perdi il pasto ce l’hai comunque assicurato (purtroppo per i professionisti dello sport tale affermazione non è del tutto vera…) ma che comunque vincere è bello e ci si prova sinceramente a vincere studiando ciò che si fa in allenamento e non facendolo con pressapochismo.
Non appoggio con entusiasmo la pratica sportiva di chi fa sport tanto per fare e siccome “tanto non vince niente” non si impegna nemmeno un po’ a capire cosa combina. Attenzione che io non sono un sostenitore della fatica gratuita. Al contrario proprio perché nello sport è bello vincere, se possibile, ma non è bello far fatica per niente, a tutte le età è opportuno massimizzare la preparazione per renderla più utile possibile per fare il modo che il gesto sportivo abbia la massima efficacia possibile e costi meno fatica possibile. Il vero sportivo non si diverte a fare tanta fatica per niente ma studia attentamente il modo per fare meno fatica possibile nella messa a punto del gesto sportivo.
In tal senso, molte volte gli anziani possono anche insegnare ai più giovani perché sono più abituati a calibrare con precisione la preparazione. Siccome per l’atleta anziano l’infortunio è sempre dietro l’angolo questo è più “allenato” a centellinare la preparazione e ad organizzarla senza sprechi perché sa che un’esagerazione in tal senso può essere prontamente respinta dal suo fisico non più esuberante. Al contrario atleti giovani e privi di esperienza nella pratica sportiva possono essere portati a commettere gravi errori di carico perché il loro fisico perfettamente funzionante è in grado di subire potenziali insulti e reagisce bene anche ad allenamenti non troppo ortodossi. Sovente il giovane ha una foga agonistica che, compensi economici a parte, è più esasperata di quella del più riflessivo soggetto anziano e così l’eventualità di un sovraccarico dovuto ad eccesso di allenamento è più frequente negli atleti giovani che in quelli delle categorie amatoriali. Se a questa foga agonistica aggiungiamo il miraggio di presunti compensi economici derivanti da un notevole miglioramento dei risultati agonistici allora la frittata è fatta e scopriamo che è molto più soggetto a deragliamento della pulsione agonistica il giovane virgulto del vecchio rimbecillito.
Capisco che il mio è un punto di vista particolare, io, ripeto, mi rattristo quando vedo atleti di 20 o 25 anni che praticano lo sport solo con l’intento di buttare giù la pancia ed hanno perso ogni velleità agonistica (si e no che fanno più le gare e magari non sono nemmeno più tesserati per nessuna società sportiva nella quale si sono semplicemente dimenticati di rinnovare il tesseramento), credo in un agonismo sano utile a tutte le età e che ci motiva a studiare la preparazione sportiva perché, altra cosa strana, sono convinto che la pratica sportiva ” tanto per fare” sia essenzialmente noiosa e perda tutto il coinvolgimento psicologico che ritengo importante come quello fisico. Nell’etimologia la parola sport riporta una “distrazione”, questa distrazione è tale se implica un coinvolgimento emotivo altrimenti è attività fisica nuda e cruda. Attività fisica nuda e cruda può essere anche un banale programma di riabilitazione dopo un infortunio o dopo un intervento chirurgico ma lo sport è ben altra cosa perché implica un coinvolgimento emotivo (sano e non spasmodico…) che porta alla ricerca di un miglioramento continuo. Come possa essere continuo questo presunto miglioramento con riferimento ad un soggetto che va verso gli 80 anni o addirittura verso i 90 è un’altra delle cose molto difficile da spiegare. Si può provare a spiegarla con esempi che ho fatto nello scorso articolo: un anziano che impara a nuotare in tarda età (è possibile) ha proprio migliorato il suo bagaglio motorio anche se magari fisicamente non ha aggiunto nulla in più al suo organismo. Ma anche un anziano messo abbastanza male che va in sedia a rotelle può avere l’ambizione di muoversi un po’ meglio in sedia a rotelle ed è chiaro che, anche se non ci farà le gare, studierà tante cose per aiutarlo a vivere nella vita di tutti i giorni come il passaggio da una determinata porta.
Insomma l’attività fisica si studia sempre e la prima pigrizia da combattere è quella di pensare che l’affinamento delle capacità motorie sia utile solo per certi soggetti e a certe età. No, siccome per fortuna non siamo immersi in un futuro (che spero che non arrivi mai…) dove le macchine fanno tutto al posto nostro, l’affinamento tecnico dell’atto motorio (che è la stessa filosofia della messa a punto del gesto sportivo) è una cosa con la quale abbiamo a che fare per tutta l’esistenza.
Se su questo complesso discorso c’è qualcuno che, con riferimento al nonno di 100 anni che non ha mai fatto nulla ed in preda ad una crisi mistica decide di darsi al lancio del giavellotto, dice: “Hai visto qui, c’è uno che ha scritto che il nonno ha ragione!” allora vuol dire che faccio fatica a trasmettere le mie convinzioni in tema di pratica sportiva ma forse anche che effettivamente l’informazione molto spesso può essere travisata a proprio piacimento. Il nonno provi pure il lancio del giavellotto in un ambiente protetto, ma verificate le distanze di sicurezza e comunque non lasciate che poi si metta a potare le piante con la motosega…