E’ chiaro che si fa fatica ad applicare il “M.A.E.” (Metodo dell’Amplificazione dell’Errore). E’ facilissimo sbagliare con il “M’.A.E.”, non si sa da che parte prenderlo, si va letteralmente a caccia di problemi e chi non ne ha dimestichezza ha proprio paura di farci una brutta figura. Insomma per un insegnante è una bella gatta da pelare e non è certamente un metodo di insegnamento rilassante e privo di insidie.
Il prof. Bragagnolo che l’ha portato all’ISEF di Verona poco prima degli anni ’80 per metterlo punto negli anni successivi, diceva che gli atleti sono molto bravi perché riescono a fare ottimi risultati nonostante l’esistenza degli allenatori. Questa è l’osservazione di partenza del “M.A.E.” ed è per quello che io lo vedrei bene traslato alla scuola in generale più che al solo insegnamento delle discipline che riguardano il movimento.
Questa è mia, io dico che gli studenti sono molto bravi perché a volte riescono ad imparare anche nonostante la presenza degli insegnanti. Pare che la presenza degli insegnanti, a volte, sia finalizzata a mantenere così com’è la scuola nel corso dei secoli più che a farla evolvere. Una scuola che si evolve cambia anche se stessa e la scuola italiana, purtroppo, è più o meno sempre la stessa da circa mezzo secolo, da quando, con un energico tentativo di cambiamento che non si sa dove doveva andare a parare è cambiata talmente tanto che non si è più mossa di una virgola.
L’emergenza covid è stata un’ottima occasione per tentare di cambiare la scuola ma il dibattito alla fine si è risolto su questioni tipo il plexigas e il distanziamento fra i banchi. Ci si è fermati all’aspetto formale, che, per carità, in questo momento sarà pure importante per non permettere al virus di proliferare ma quando il virus sarà sconfitto, e prima o poi quel giorno arriva, resterà comunque una scuola che nella sostanza rischia di restare identica a quella di prima.
Faccio un esempio per tutti: il tema della valutazione. Lì abbiamo decisamente fallito un calcio di rigore, peggio, un tiro a porta vuota. C’era un’occasione imperdibile per fare tabula rasa del problema della valutazione perché una valutazione fatta su un allievo non controllabile non è attendibile, non è “garantita” e ci siamo lasciati scappare questa occasione clamorosa.
E’ la scuola dove non si può andare al bagno perché hanno paura che ti consulti con chissà chi, è la scuola dove non si può consultare il libro o il manuale quando ne hai bisogno alla faccia del fatto che poi te lo fanno studiare a memoria a casa (memorabile una mia risposta, garbata ma secca, ad un’osservazione pretestuosa di un’insegnante, che rischiò di causarmi una bocciatura: “Guardi che se ho bisogno del libro lo tengo sopra al banco, non sotto”, avevo scardinato uno dei punti fondamentali sui quali si regge la scuola contemporanea: l’imbroglio).
Ebbene una scuola che applica il “M.A.E.” dovrebbe liberarsi del pesante fardello della valutazione perché non ci sarebbe il tempo per continuare a svilupparlo, verrebbero stravolti i concetti stessi della valutazione nel senso che se il “M.A.E.” non produce effetti benefici non c’è dubbio che la colpa è dell’insegnante.
Ma il vero problema applicativo del “M.A.E.” non è l’impossibilità di poter proseguire in modo razionale l’istituto della valutazione sul quale si basa ancora la scuola italiana (e non solo, quella americana è anche peggio: ti fanno pure i test a “crocetta” con le risposte prestampate…) bensì la difficoltà di stravolgere l’impostazione concettuale secondo la quale non sappiamo più qual’è la risposta giusta e quella sbagliata perché con il metodo “M.A.E.” andiamo appunto a promuovere un’indagine in tal senso ipotizzando possibili risposte giuste o sbagliate che però a priori non conosciamo. E’ proprio ciò a dirci che nel metodo “M.A.E.” il ruolo dell’insegnante assume un importanza maggiore e se questo non è ben sveglio rischia di prendere granchi clamorosi.
Insomma il “M.A.E.” rivoluzionario e fonte di possibile grandi progressi e nuove acquisizioni per l’allievo è terribilmente impegnativo per l’insegnante.
Torno al punto di partenza, una scuola dove c’è ricerca, dove si studia davvero e dove le acquisizioni sono nuove e pertanto concrete ed autentiche è una scuola che rinnova sé stessa perché fa tesoro delle nuove acquisizioni per evolversi. Forse è proprio questo che non si vuole perché una scuola con il plexigas e con i banchi un po’ più distanti, con tanta buona volontà si riesce anche a riorganizzarla ma una scuola dove le idee sono libere di circolare non più castrate dall’incubo della valutazione non siamo ancora pronti per immaginarla.
Non lo siamo perché succederebbe né più né meno quello che ha rischiato di succedere cinquant’anni fa quando tutto ad un tratto sembrava che la scuola dovesse cambiare davvero: a fronte di una elite di personaggi che stavano studiando l’utopia esistevano una marea di studenti che volevano approfittarne per non fare un cavolo, per tirare i remi in barca e smettere di studiare. Il “M.A.E.” è distante anni luce da questa filosofia e implica invece uno studio costante ed attento. Purtroppo è pericoloso perché produce effetti ed in una società ingessata come la nostra, un’istituzione importantissima quale quella scolastica che comincia a evolversi davvero e non per finta fa paura, da fastidio, è scomoda e turba equilibri sociali già fin troppo delicati.