ANCORA SUI MONDIALI DI ATLETICA: LA RONDINE CHE NON HA FATTO PRIMAVERA

Gianmarco Tamberi è un grandissimo saltatore in alto, quando ha portato il record italiano a 2 metri e 37 centimetri ha fatto una cosa immensa avvicinandoci al resto del mondo come poche volte era accaduto in passato. Il fatto che oggi ai mondiali di Pechino non abbia volato più di tanto non cambia lo spessore del suo talento. L’Italia dell’atletica si aspettava da lui il miracolo, quel miracolo che ancora una volta sarebbe forse riuscito a camuffare almeno un pochino la situazione dell’atletica italiana. Ma poi erano già più o meno tutti d’accordo sul fatto che non avrebbe camuffato molto e che la spedizione degli atleti  italiani a Pechino era comunque da considerarsi piuttosto fallimentare.

Ieri ho citato nientepopodimenoche il prof. Dino Ponchio e mi va di metterci nome e cognome perché mi rendo conto che adesso lo metto uno scalino più su di ieri e visto che già ieri, tutto sommato, non lo trattavo male posso permettermi il lusso di scrivere nome e cognome che non avrà nulla da arrabbiarsi se legge queste cose. Al contrario lo cito come unico dei tre che ho sentito ricommentare il tutto oggi, che è riuscito ad inquadrare con una visuale più ampia il problema. Gli altri due li apprezzo come commentatori di atletica ma, per conto mio in questo caso hanno perso di vista la parte più rilevante del problema.

Ieri avevo “accusato” il prof Dino Ponchio di essere praticamente arrivato all’assassino ma di non averlo smascherato completamente. Lui ha fatto capire garbatamente che se alla Federazione non arriva una certa quantità di atleti con discrete doti con quelle premesse la federazione non può fare i miracoli e addirittura si può ben dire che a livello giovanile un mezzo miracolo viene compiuto perché a fronte di un movimento di atleti che nelle sue basi è piuttosto ristretto abbiamo dei giovani di vertice che si comportano egregiamente a livello europeo e che riescono a tenere la scena anche a livello mondiale, a differenza dei colleghi un po’ più maturi del settore assoluto. Dunque la Federazione non riesce a ripetere quel mezzo miracolo che compie a livello giovanile anche nel settore assoluto. Ma da quel che ho capito, il prof. Dino Ponchio diceva molto umilmente che la Federazione più che far miracoli dovrebbe riuscire a far emergere i talenti che ad essa arrivano da una base che deve essere certamente superiore nei numeri e nella qualità a quella attualmente esistente. Insomma, per farla breve, non diamo alla Federazione anche colpe che non ha. Poi andava ad elencare una serie di cause sull’esiguità di questa base e chiamava in causa un modello culturale, la famiglia e alla fine, ma proprio alla fine citava la scuola. La mia accusa era proprio questa: hai trovato il vero assassino, che è la scuola, ma non lo smascheri con la dovuta chiarezza. Questa non è certamente un’accusa grave, anzi ti do atto (per dirla con il suo stile dovrei dire “Le do atto…”, ma io se incontro il prof. Dino Ponchio gli do del lei davvero in primo luogo perché lo conosco appena solo in quanto frequentatore delle piste di atletica del Veneto e poi perché, un po’ come lui, sono molto abituato a dare del “lei”, all’antica) di aver focalizzato sull’essenza del problema, poi, non so se per diplomazia o per rispetto di un’istituzione che, bene o male, ci ha formato tutti, non affondi il colpo. Gli altri due commentatori saranno pure dei bravi commentatori ma per conto mio sono abbastanza lontani dal comprendere il problema, accusare la Federazione è un po’ come in un incidente pazzesco causato da un’auto che viaggiava ai 250 in autostrada accusare il medico che non è riuscito a salvare il conducente di quell’auto. Qui non c’è un auto che va ai 250, al contrario c’è un movimento di atleti piuttosto esiguo e che cammina proprio piano e si accusa la federazione del fatto che da questo movimento non vengono fuori dei missili velocissimi.

Io dico che se la scuola insegnasse l’atletica come avviene nei paesi evoluti non ci sarebbe nemmeno bisogno di una Federazione di atletica. Altro che potenziamento dello staff sanitario. L’idea di potenziare lo staff sanitario è semplicemente patetica. Cosa dobbiamo prevedere, che siccome abbiamo pochi campioni sui quali poter contare li faremo andare tutti in fuorigiri rischiando di danneggiarli e pertanto è opportuno potenziare lo staff sanitario? E’ questa la prevenzione sanitaria della quale vuole dotarsi l’Italia? Io pensavo che la prevenzione fosse far conoscere l’atletica a tutti i ragazzi italiani, anche quelli che dopo diventeranno campioni di scacchi e biliardo per fare in modo che il livello di salute dei nostri giovani migliori.

Non vivo nel mondo delle favole, so che la scuola italiana versa in condizioni tragiche e non vi sono nemmeno i mezzi finanziari per mettere le strutture a norma. Io stesso, quando vado a condurre nelle scuole pubbliche l’attività motoria per la terza età, a volte mi trovo a far battaglie assurde perché la palestra della scuola non è nemmeno dotata di un accesso indipendente e rischio di aver problemi con i regolamenti scolastici. Non solo vi sono poche strutture ma quelle poche esistenti hanno addirittura problemi logistici che ne rendono problematica la fruibilità.

Allora è certamente un problema economico, la scuola ha poche disponibilità economiche e non riesce a far fronte ai suoi compiti istituzionali. Ma, accidenti, non potete dirmi che la salute dei ragazzini italiani deve fare i conti con le sorti della Federazione di Atletica. Per il ragazzino italiano che va a scuola il fatto che Gianmarco Tamberi faccia una gran gara ai mondiali o la fallisca deve essere assolutamente ininfluente. La sua quota di attività motoria è sacrosanta, serve alla sua salute e se gli sarà garantita lui, da grande, potrà far meglio di Gianmarco Tamberi.

Il fatto che i ragazzi italiani offrano buone prestazioni a livello giovanile  che poi faticano a tradursi in altrettanti buoni risultati anche nella categoria assoluta dipende poi da un correlato di questa cultura dell’atletica per pochi. Se l’atletica italiana è solo un’ atletica per pochi, per quelli che vincono, il giovane italiano ha una stramaledetta fretta di fare il risultato perché sa benissimo che se non ottiene certi risultati entro una certa età potrà dimenticarsi di fare atletica ad alto livello dopo i vent’anni. L’atletica viene vista come quello sport che se fai risultati notevoli vale la pena proseguire e nei hai anche un tornaconto economico, se invece non ottieni quei risultati è una inutile fatica e tanto vale smettere. Se questo è lo spirito i risultati ottenuti fino ad ora sono fin troppo lusinghieri.

Se l’atletica invece passa da scuola come l’italiano (che dopo circa 51 anni di esercizio devo ancora imparare ma almeno ci provo…), la matematica e l’inglese allora avremo molti più ragazzi che anche se fanno 1 metro e 80 nel salto in alto si esercitano con gusto. Perché un metro e ottanta nel salto in alto anche se non serve per l’atletica televisiva è probabilmente già ad un livello superiore del mio italiano che è da 51 anni che provo disperatamente ad esercitare. Insomma a scuola si imparano le materie sui banchi ma si impara anche a muovere un fisico che dovremo coltivare tutta la vita, anche finita la scuola. “Mens sana in corpore sano”: è forse l’unica cosa di latino che so, ma, accidenti, in Italia, che è la culla del latino, possibile che me ne ricordi solo io?