“…trovo interessante l’articolo su – Analogico e digitale – ma continua a non apparirmi chiaro il concetto nel senso che non capisco cosa cambia a valutare un tipo di allenamento dipendente dal primo o dal secondo aspetto…”
Allora partendo dall’inizio diciamo pure che io avevo scritto l’articolo per far capire come purtroppo nello sport di alto livello sia più facile agire da un punto di vista biochimico. E ciò spiega perché, anche se adesso non si chiama più doping, negli anni ’70 e ’80 lo facevano in molti e adesso invece lo fanno più o meno tutti. La cosa che mi fa infuriare è che mentre negli anni ’70 e ’80 si chiamava doping e più o meno si sapeva quali erano i paesi che lo usavano, adesso che è diffuso in tutto il mondo senza distinzioni di sorta (in Africa, ultimo continente arrivato, più o meno dal 1987…) pare che non lo usi nessuno. Io dico che è assurdo tenere in piedi un sistema di antidoping costosissimo quando il doping moderno non lo puoi assolutamente rilevare (e prova ne sia che non ne pigliano nemmeno l’uno per cento…) e serve invece solo per creare problemi nella pratica sportiva ad amatori che per qualche stramaledetto motivo devono prendere sostanze vietate che il medico di base non ha l’accortezza di dire loro che non vanno assunte quando si fanno gare.
Detto questo, nell’articolo dove c’era un barlume di speranza mi inoltravo nei meandri dell’allenamento volto al miglioramento della coordinazione neuro muscolare, quello che con un termine arcaico si chiama “addestramento tecnico” tentando di far capire perché non possiamo ragionare su quello in termini di “stimolo-risposta” ed analizzando in modo semplicistico la questione con il rischio di bocciare certi approcci metodologici prima ancora di averli messi in pratica come si deve.
Anche chi usa i farmaci sa che questa linearità di comportamento non esiste e non è assolutamente vero che più farmaci butti giù e più vai forte. Semmai più farmaci butti giù e più ti fai del male alla salute e poi risulti pure positivo all’antidoping e questo ormai lo sanno anche gli scemi (per questo io dico che l’antidoping ormai non serve più nemmeno per gli scemi). Pertanto così come in campo biochimico si opera con molta attenzione (non solo per dribblare l’antidoping ma anche per tutelare la salute dell’atleta oltre che, ovviamente, per garantirne un rendimento di alto livello e pure continuativo) anche in campo tecnico bisogna operare con una grande prudenza e attenzione tenendo presente che anche se alcuni adattamenti vengono innescati secondo la legge del tutto o del nulla perché sono adattamenti di tipo nervoso non bisogna attendersi risposte immediate e decisamente evidenti così come non è nemmeno per chi interviene solo sul fronte biochimico. Gli adattamenti di tipo nervoso alla fine sono più lenti, nel loro insieme, di quelli di tipo condizionale e pertanto vanno interpretati ponderandoli molto bene. Anche se da un punto di vista teorico l’apprendimento e dunque il “miglioramento della tecnica” o c’è stato o non c’è stato e dunque funziona secondo un sistema digitale, secondo un sistema binario che è quello tipico dei computer (uno o zero, non ci sono vie di mezzo…) da un punto di vista pratico tutti gli interventi di tipo tecnico sono condizionati da una infinità di fattori che ne rallentano la concretizzazione e ne mascherano l’accadimento.
Non sono pessimista, come ho già scritto, perché anche se intervenire da un punto di vista tecnico penso che sia sempre molto difficile ho buoni motivi di pensare che per la salute dell’atleta sia sempre la strada migliore da scegliere. E’ vero che con la scelta del monitoraggio biochimico siamo sempre lì a controllarlo come se fosse un fiume in piena e difficilmente può “esondare” senza che ce ne accorgiamo ma se insistiamo di più da un punto di vista tecnico, anche se i risultati purtroppo sono decisamente più lenti e difficili da interpretare, possiamo permetterci il lusso di tenere l’atleta meno carico e dunque più distante dai livelli di “portata massima”.
Anche se avevo detto all’inizio che non era una disputa filosofica, alla fine un approccio filosofico bisogna ammettere che c’è. Se il risultato è stramaledettamente necessario allora non abbiamo molto tempo da perdere a valutare le questioni infinitamente complesse dell’aspetto tecnico, se invece il risultato è un’ opzione gradita ma non fondamentale allora possiamo tranquillamente riacquistare l’entusiasmo per l’evoluzione delle tecniche di allenamento, entusiasmo che fa parte di un’ altra epoca forse un po’ più romantica di questa.