Questa potrebbe sembrare una disputa filosofica sul livello del sesso degli angeli. Se è vero che le neuroscienze devono essere scomodate sempre di più per poterci capire qualcosa attorno al processo di apprendimento motorio e se è vero che siamo piuttosto stufi dell’evoluzione degli studi dei processi biochimici che stanno alla base della prestazione sportiva allora ci dobbiamo rassegnare a porci quesiti su questioni tipo quella enunciata in questo funambolico titolo. Quando parliamo di Sistema Nervoso è molto facile intendersi in termini di conduzione elettrica e dunque ragionare secondo una logica “digitale” degli eventi. La corrente o passa o non passa, l’informazione o c’è o non c’è, l’apprendimento sarà scattato di livello (così come scatta un congegno elettrico, un fusibile) oppure non sarà scattato e sarà rimasto fermo. Per cui noi mandiamo delle informazioni per far scattare un processo di apprendimento, se queste informazioni viaggiano la “corrente” dovrebbe passare e pertanto si verifica il processo di apprendimento. Ma la questione non è in questi termini e gli scienziati abituati a studiare attorno ai processi biochimici e dunque allenati a ragionare secondo procedimenti di tipo analogico capiscono facilmente che non è così. Quando ragioniamo in termini biochimici e tentiamo di migliorare la prestazione dell’atleta grazie al miglioramento di alcuni parametri condizionali, sappiamo che non c’è linearità e correlazione diretta fra il miglioramento di alcuni parametri e la prestazione sportiva. Per cui la semplice logica dell’incremento quantitativo e numerico del tipo “Sei migliorato di X dunque farai meglio di una certa quantità Y” non esiste. Un minimo di linearità di certe variazioni è attesa ma l’andamento di questa linearità è tutto da scoprire e non facile da prevedere. In questo senso non è per niente facile nemmeno per un biochimico che supporta farmacologicamente un atleta intervenire con successo, figuriamoci se è facile per un tecnico che tenta di appellarsi alle neuroscienze per intervenire senza nessun supporto farmacologico.
La mia sensazione è che anche se trattiamo argomenti che c’entrano con il Sistema Nervoso Centrale dobbiamo ragionare sempre in termini di processo analogico anche quando sono stimolati solo gli adattamenti coordinativi e non quelli condizionali. Mi spiego: la quantità delle variabili in gioco e purtroppo insondabili è talmente elevata che è puro semplicismo dire “Bene, l’informazione è passata ed ha prodotto questi effetti” oppure “No, l’informazione non è passata e non ha prodotto nessun effetto”. Le componenti in gioco sulla prestazione sportiva sono talmente tante che simili conclusioni ci possono essere precluse ed è in questo senso che dobbiamo scartare una logica di tipo “digitale” nella valutazione degli eventi conseguenti all’addestramento secondo i principi delle neuroscienze.
Pertanto possiamo trovarci di fronte alla situazione che l’informazione è passata, la “corrente” è passata ed il messaggio è andato a bersaglio, ma per una serie di circostanze che non siamo in grado di comprendere non si vedono variazioni alcune nella prestazione sportiva. Uno più uno non fa due o almeno non siamo in grado di capire se ci sono altri addendi in giro e pertanto non sappiamo più se è davvero “uno più uno” e dunque sapere che uno più uno fa due proprio esattamente non ci serve per essere precisi sulla valutazione del nostro problema.
Pertanto come si tratta con il “bilancino” e con molta precisione tutta la problematica dell’allenamento condizionale si deve trattare con la stessa logica e non secondo un banale ragionamento “tutto o niente” (il sistema digitale appunto) anche ogni tentativo di apprendimento motorio che riguarda le doti coordinative, stimolate essenzialmente secondo messaggi ben codificati che dovrebbero teoricamente provocare una risposta ben precisa ma che in pratica vanno a produrre risposte che devono essere abilmente decodificate e non possono assolutamente seguire una banale logica digitale di tipo “tutto o niente”, di tipo “sì o no”.
Purtroppo anche il tecnico che lavora sugli aspetti puramente addestrativi sarà costretto ad usare oltre al “Sì” ed al “No” quell’imbarazzante “Ni” che vuol dire che qualcosa forse sta succedendo ma non abbiamo ancora ben capito cosa. Solo per banale giochino lessicale faccio notare che in questa presa di coscienza oltre che il “Nì” si potrebbe usare pure il “So” che non vuol dire né “Sì” né “No”, non vuol dire nemmeno che “sai”, come la lingua italiana può far credere, ma vuol semplicemente dire che le risposte in teoria dell’allenamento sportivo possono essere infinite al punto che siamo ancora qui a chiederci se davvero esiste una teoria dell’allenamento sportivo.