Arriva un altro commento sull’articolo dove dichiaravo che la corsa non esiste solo nella modalità di corsa “prolungata” ma anche in altre forme altrettanto divertenti. E’ un commento confortante perché sta a testimoniare che il mezzofondo, anche se in disuso come termine, non si è totalmente estinto. Ecco il commento e l’inevitabile sbrodolamento di altre mie considerazioni sul tema.
“…Sei un inguaribile ottocentista, condivido comunque gran parte dello scritto. Ci avrei aggiunto che quasi tutti corrono per essere protagonisti, anche se solo nella gara della contrada. In pista il raffronto è spesso spietato.”
Mi fa piacere questo commento perché centra il mio punto di vista. Il mio è effettivamente il punto di vista di un “podista” che per la maggior parte della vita (e lo faccio ancora adesso) ha corso in modalità di corsa “ibrida”. La corsa ibrida è quella che non è né velocità, né resistenza, “né carne-né pesce”, in termini tecnici si chiama appunto mezzofondo ed è un tipo di corsa che è praticamente impossibile praticare sulle comuni strade in primo luogo perché qualche macchina ti stende ed in secondo luogo perché nessuno capisce cosa stai facendo perché la corsa su strada viene concepita solo nella modalità “fondo”. Si può correre da mezzofondisti anche nei campi o nelle strade di campagna ma prima o poi in pista bisogna andarci perché su quei terreni obiettivamente non si riesce a produrre una qualità di corsa sufficiente ad andare almeno un pochino (non dico tanto…) in forma per concretizzare ciò che è riportato nella seconda parte del commento.
Tutti, o quasi, hanno l’ambizione di dimostrare un buon livello di efficienza fisica, aggiungo io non solo nella corsa ma anche in tutti gli sport e pure nelle attività motorie che non c’entrano nulla con lo sport. Troppe volte in palestra sono costretto a suggerire ai miei allievi che non hanno alcun obiettivo agonistico ma solo obiettivi salutistici di non guardare l’esecuzione degli esercizi degli altri allievi del corso ma di sentire solo cosa succede nei loro muscoli per capire quali sono le giuste tensioni con le quali svolgere l’esercizio. Chi è esperto capisce questa cosa, chi non lo è pensa molto semplicemente “Se quello lì riesce a raggiungere quelle tensioni ci devo riuscire anch’io…” A tal proposito mi viene anche da sottolineare come sia diffuso il concetto che “Se ce la fa quello che è più vecchio di me, allora devo farcela pure io” ed è la stessa cosa che accade anche in pista e spiega in parte ciò che è rilevato nel commento.
I bravi allievi di una certa età o i bravi podisti altrettanto stagionati sono delle bombe innescate. Il confronto con i più giovani può produrre dei disastri sui più giovani perché questi non capiscono che non è solo l’età l’unico fattore di prestazione ma anche altri quasi più importanti come la forma fisica, il grado di allenamento, l’assenza di patologie etc..
Pur con tutta l’esperienza non posso non citare quel giorno di giugno del 2007 quando a Mestre incontrai in gara per la prima volta Dario Rappo che non conoscevo. Dario ha i capelli tutti bianchi, ce li ha già da prima di quel giorno, io resisto ancora sul grigetto andante. Se stiamo fermi si vede che ho qualche annetto di meno. Diciamo pure che sono 14 anni di differenza. Quel giorno eravamo a categorie unificate e corsi quasi tutta la gara dietro di lui abbastanza regolare. A trecento metri dalla fine di un 1500 pensai: “Adesso tento di aumentare un pochino e poi, se non l’ho già stroncato, scarico il mio sprint finale su questo “grigio” qui davanti.” Non feci a tempo a pensare questa idea presuntuosa, che il grigio davanti, Dario appunto, si produsse in un trecento finale veramente notevole dandomi ben tre secondi di distacco in quel tratto finale di gara. Nell’ambito delle gare amatoriali lui è “Dario Rappo” ed io sono un emerito pirla anche se mi alleno con una certa continuità. I 14 anni di differenza (con tanto di capelli ancora di diverso colore…) sono assolutamente annullati in pista ma la cosa un po’ curiosa è la facilità con la quale può andarmi via nel finale di una qualsiasi gara di mezzofondo alla faccia del fatto che, altro stereotipo, il finale forte è tipica prerogativa dei giovani…
Io sarei davvero un pirla se dopo quella gara avessi smesso di gareggiare. E’ chiaro che primeggiare fa piacere a tutti, ma dire che il confronto è meno impietoso in una metropoli dove corrono in 40 mila piuttosto che in una pista dove si corre in 15 per batteria (o in otto come nei cento metri) mi pare un po’ tirata. Potrebbe essere così se in pista ci fossero migliaia di spettatori ma ciò non accade praticamente mai.
La cosa che vedo io, invece, è un’ altra ed è un cliché del tipo: “La corsa veloce è per i bambini che scappano, si rincorrono si azzuffano, la corsa lenta è per gli adulti che è quella che si fa per strada o su un tapis roulant in palestra e fa bene alla salute (soprattutto, mi tocca dire, “fa dimagrire”…) la corsa ibrida non esiste perché nessuno sa cosa sia o al più è quella che fanno i professionisti che fanno le gare in televisione.
Con una cultura sportiva diversa si potrebbe imparare che la corsa non si fa solo per dimagrire e fa comunque bene alla salute in tutte le modalità. E’ chiaro che se i bambini possono correre al massimo della loro velocità al campo giochi (nei cortili di scuola non so se possono più farlo perché in qualche scuola hanno imposto i limiti di velocità per motivi che io ritengo folli…) gli adulti non potranno esprimere il massimo delle loro residue capacità velocistiche per strada ma saranno costretti ad andare al campo sportivo. Come trovano il tempo per andare a correre sul tapis roulant in palestra penso che possano anche trovare il tempo per andare al campo sportivo. Che poi il tapis roulant sia perfettamente fermo per tutti mentre al campo sportivo si vede decisamente chi va più forte e chi va più piano, mah, non so, quella non è più cultura sportiva è qualcosa di molto difficile da comprendere da girare forse agli esperti di sociologia. Se campo ancora a lungo mi sa che mi metterò a studiare sociologia.