Mi arriva un altra osservazione sul M.A.E. e ancora una volta mi trovo in difficoltà a rispondere ma devo provarci.
Innanzitutto una precisazione squisitamente tecnica per poi fare un passo indietro su altre considerazioni di carattere generale.
Il “M.A.E.” ovvero Metodo di Amplificazione dell’Errore, originariamente era definito “metodo di amplificazione della devianza da un modello biomeccanico ideale di riferimento”. In sintesi per definire l’errore andavamo a studiare che atteggiamento, nel singolo atleta, deviava particolarmente dal modello biomeccanico di riferimento. Individuata quella devianza si andava ad amplificarla per sperimentare le sensazioni dell’atleta in presenza di comportamenti diversi.
In modo un po’ polemico sulla scelta dei modelli di riferimento il sottoscritto rilevava come quelli che in partenza si consideravano ipotetici errori talvolta si andavano a rivelare come “non errori” ma semplicemente adattamenti più che giustificati dello schema motorio dell’atleta dovuti a molteplici cause. Con ciò io non ho messo mai in discussione la validità del metodo ma ho solo invitato a porre attenzione al quesito di partenza. Stiamo bene attenti ad andare a sondare su cose effettivamente interessanti del gesto sportivo.
Questa è una mia precisazione ma in realtà del M.A.E. mi si chiede come mai siamo rimasti così in pochi a discuterne e se, visto che siamo in pochi, non sarebbe il caso di uscire allo scoperto pubblicizzando con maggior energia il metodo ed anche discutendone fra noi per metterne in evidenza i limiti e poterlo evolvere al tempo stesso.
Ebbene è un po’ scomodo affermare come la contrapposizione del M.A.E. con il metodo sovietico, che è quello che ormai è stato adottato in tutto il mondo anche se gli stop per doping sono stati comminati alla sola Russia con una cinquantina di anni di ritardo (a ben vedere la Russia attuale di responsabilità sul doping ne ha proprio zero e mi pare decisamente strano che i dirigenti russi non si siano fatti sentire in proposito, quasi che non dovessero far emergere le responsabilità dei loro predecessori), sia piuttosto netta e fonte di considerazioni alquanto imbarazzanti.
Il fatto è che mentre gli studi sulla farmacologia applicata allo sport sono di una portata colossale e ben molto più avanti di quelli prodotti dall’Unione Sovietica negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, gli studi sul M.A.E. e sulla metodologia dell’allenamento sportivo probabilmente non hanno più conosciuto il fervore di quegli anni e sono rimasti praticamente fermi a quegli anni.
Alla base del M.A.E. ci deve essere la capacità di mettere in discussione tutto il modello di preparazione sportiva e questa è una cosa che non è ben vista in molti ambienti poco disponibili a “rischiare” una preparazione non standardizzata. Scomodo dirlo, ma mentre in una preparazione nella quale è previsto il supporto farmacologico è possibile fare delle previsioni, programmare e standardizzare con modelli che possono essere anche abbastanza simili seppur applicati ad atleti con caratteristiche diverse, nell’applicazione del metodo M.A.E. molte cose possono sfuggire, si fa fatica a prevedere cosa succederà ed ogni pianificazione del processo di allenamento è cosa abbastanza vana e non proponibile. Insomma con il M.A.E. abbiamo ottime speranze ma si brancola nel buio. Con il metodo farmacologico più che speranze abbiamo certezze perché gli studi di laboratorio sono di una consistenza indiscutibile.
Sul fatto che i colleghi che hanno portato avanti le applicazioni del M.A.E. negli anni nonostante la netta prevalenza di preparazioni supportate dall’ausilio farmacologico, possano riunirsi a discutere sulla rinnovata validità del metodo sono francamente un po’ scettico anche se l’idea non sarebbe per nulla malvagia ed anch’io nel mio piccolo come ben vedete potrei essere ospite di tali commenti. A tal proposito mi viene in soccorso l’idea del concetto di gioco abilmente trattata del mio collega nell’illustrazione del quesito dove sostiene che potremmo almeno “giocare” fra di noi a vedere quali sono le possibilità applicative e di evoluzione del metodo “M.A.E.”. Ora questo concetto di gioco non deve portare al non ammissibile fraintendimento di pensare che noi giochiamo con la salute degli atleti. E’ chiaro che una variazione dei carichi di addestramento sportivo informata da un metodo che prevede la continua mutazione qualitativa (e sottolineo qualitativa e non quantitativa) degli stessi può portare a risposte sorprendenti ma questo non ci deve terrorizzare soprattutto se i volumi di carico sono razionali e non tarati su un organismo aiutato dai farmaci.
A prescindere dalla volontà di adottare le strategie applicative suggerite dal M.A.E. io credo comunque che sia opportuno da parte della nostra categoria intensificare il dibattito sulla teoria e metodologia dell’allenamento sportivo per farlo tornare quanto meno appannaggio della categoria degli esperti di attività motoria e potergli dare pertanto quell’alone di giocosità e di sano pionierismo che lo alimentava qualche decennio fa. Solo un’autentica curiosità che oso definire “scientifica” può dare nuovo fervore alla materia della metodologia dell’allenamento sportivo e può affrancarla forse in modo decisivo da quella dipendenza dal mondo medico che non è concettualmente accettabile in un ambito che riguarda essenzialmente la popolazione sana. Come ben diceva il professor Bragagnolo all’Isef di Verona negli anni ’80 come insegnanti di educazione fisica abbiamo il diritto ed il dovere di informare i sani sulla teoria del movimento, se per colpa di questa rendiamo necessario l’intervento medico vuol dire che abbiamo sbagliato in modo grossolano. Prevedere l’intervento medico prima ancora di aver sbagliato, in modo sistematico e come da programmazione di routine è a mio parere semplicemente una sconfitta per l’intera categoria. Prevenire questa cosa cambiando decisamente le carte in tavola può apparire per qualcuno scelta anacronistica ed un po’ come tornare indietro ma se lavoriamo bene in pochi anni si potrà dimostrare che la vera scelta anacronistica é quella del massiccio ricorso alla farmacologia per una categoria di persone che dei farmaci non dovrebbe proprio averne bisogno per definizione. Lo sportivo è essenzialmente un soggetto sano e come tale non ha bisogno di farmaci.