Negli ultimi 100 anni, grazie ai progressi della medicina, siamo riusciti ad allungare la vita media di un numero notevole di anni, una cosa spropositata rispetto ai progressi più lenti dei secoli precedenti. Tale tendenza è continuata anche negli ultimi 50 anni, senza arrestare minimamente questo grande miglioramento delle aspettative di vita. Ciò che invece, probabilmente, non ha seguito lo stesso andamento è stato il miglioramento della qualità della vita. Questa è senz’altro migliorata nel cinquantennio precedente ma non è migliorata in modo così netto negli ultimi 50 anni. Siamo riusciti ancora ad allungare notevolmente la vita ma non siamo riusciti ad “allargarla” ulteriormente. In poche parole se è vero che Delia Scala per televisione e la Simca 1000 su strada ci facevano vivere meglio di cinquant’anni prima al giorno d’oggi non c’è un personaggio di uno qualsiasi dei centomila programmi televisivi o una splendida auto (ancora rigorosamente funzionante a petrolio) che siano riusciti a migliorarci ulteriormente la vita. Dobbiamo dedurne che con Delia Scala e la Simca 1000 abbiamo raggiunto il top della civiltà o forse non è successo qualcos’altro di ancora più importante della tv e dell’automobile che poteva accadere? Probabilmente questa seconda ipotesi è la più attendibile. O meglio, nella rincorsa a programmi televisivi sempre migliori e auto sempre più veloci abbiamo perso di vista qualcos’altro di più importante. Rispetto a cinquant’anni fa siamo mediamente più sani, nel senso che campiamo di più e resistiamo meglio a certe patologie che cinquant’anni fa ci stroncavano in poco tempo, però lavoriamo anche di più anche se questo lavoro non è distribuito bene e, a fronte di un bel numero di lavoratori che si ammazzano di lavoro, ce n’è un altro buon numero che si ammazza per cercarlo. Siamo anche mediamente più ricchi ma anche lì la distribuzione non è equa e a fronte di un buon numero di nuovi ricchi che riescono a trovare gli strumenti, leciti e non, per perpetuare la loro ricchezza, esistono un bel po’ di poveracci che faticano a condurre una vita decorosa ne più ne meno che come cinquant’anni fa, anzi per certi versi, a fronte dell’arricchimento degli altri, forse ancora peggio.
Le cause sociologiche di questo andazzo sono certamente complesse e, oltre che la politica sarebbe senz’altro opportuno scomodare niente popo’ di meno che la religione per poter interpretare i cambiamenti o i “non cambiamenti” che sono intervenuti in questo cinquantennio.
Lasciando perdere queste cose così complesse ed importanti e limitandoci, terra terra, ad analizzare dal punto di vista del movimento cosa è successo ci è facile notare che è accaduto che lavoriamo mediamente di più (pur con gli squilibri sopracitati) ma ci muoviamo mediamente di meno. Non solo, ma miracolo, siamo pure riusciti a ridurre mediamente la quota di tempo libero a disposizione. E questo è un vero e proprio miracolo al contrario perché in una società evoluta il tempo libero dovrebbe aumentare e non diminuire.
La mancanza di tempo libero è letale ai fini della possibilità di svolgere la giusta quantità di attività fisica. Se per molteplici motivi abbiamo ridotto le occasioni di movimento dovremmo almeno aver a disposizione più tempo libero per poter correggere questa tendenza e poter porre rimedio a questo inconveniente. Invece i bambini non hanno tempo per giocare, gli adulti non hanno tempo da dedicare allo sport ed i nonni non hanno tempo per fare i nonni perché a 70 anni devono ancora fare i genitori come facevano 30 anni prima. Un po’ di tempo libero arriva solo verso gli 80 anni ma, a quel punto, non si sa più cosa farsene perché la qualità della vita è inesorabilmente peggiorata e non si ha più voglia di fare nulla. E’ vero che molti ottantenni godono ancora di ottima salute ma tanti altri sono semplicemente squattrinati e, nonostante condizioni di salute abbastanza precarie, sanno che potranno campare ancora abbastanza, tutto sommato quasi non sanno cosa farsene, la vita appunto è stata allungata ma non “migliorata”.
Come possiamo col semplice movimento tentare di “allargare” la vita e quindi di renderla più gradevole ad ogni età? Probabilmente affermando la sacralità del movimento che nessun tipo di sistema economico ha diritto di comprimere per imporre le sue leggi. Siamo dei “produttori” in primo luogo e dei “consumatori” in secondo luogo, poi, se avanza tempo, possiamo anche muoverci e gustare aspetti della vita che stiamo dimenticando.
Per stare meglio, probabilmente, dobbiamo davvero rinunciare ad un certo tipo di benessere, è solo in quel modo che potremo lavorare di meno per poter ritrovare il tempo per fare cose che sono essenziali per vivere dignitosamente. Il dio danaro ci ha accecato e ci ha reso letteralmente schiavi costringendoci a ritmi di vita insostenibili. Se l’obiettivo principale è l’accumulo di ricchezza perché quello è ritenuto l’unico strumento per accedere a cose che ci migliorano la qualità della vita, allora non c’è scampo, saremo costretti a lavorare sempre di più. Ci “rubiamo” il lavoro e l’eroe che lavora dodici ore al giorno diventa quello che sostiene il sistema produttivo perché costa decisamente meno di due lavoratori onesti che lavorano sei ore al giorno. Il sistema produttivo sopravvive in qualche modo ma lo fa sulle spalle di due categorie di infelici: quella di chi lavora troppo e quella di chi non lavora per niente.
La rivoluzione dell’attività motoria può partire solo da semplici gesti, riappropriarsi del tempo libero per muoversi regolarmente rinunciando a lussi che ci costano troppo in termini di tempo libero. E’ chiaro che è una rivoluzione che ha grossi limiti e uno non può certo farsi licenziare per ripristinare con determinazione la sua quota di tempo libero, ma nei limiti del possibile, dare la precedenza alla salute sulla ricerca del “qualcosa in più” a tutti i costi è il minimo che possiamo fare.
La società dei consumi ci ha abituato a pensare che l’acquisto di quel determinato accidenti ci può dare la felicità e, visto che per acquistarlo basta solo lavorare un po’ di più, allora ben venga anche lo straordinario “selvaggio” o il secondo lavoro per mettersi in condizione di incamerare quei quattro quattrini in più che possono darci la felicità. Il fatto che questo comportamento ci porti a rinunciare a cose alle quali non è salutare rinunciare non gliene frega niente a nessuno. Alla fine la qualità della vita peggiora. Dobbiamo imparare a fermarci. Muoverci di più per imparare a fermarci. Ci muoviamo poco ma siamo immersi nello stress. Muovendoci di più riusciremo a capire cosa è veramente importante e cosa è superfluo.