Ho visto che è nato un dibattito su un quotidiano nazionale che si occupa di sport sulla vicenda Schwazer. Tutto è nato dal fatto che un giornalista (o chi fatto il titolo…) ha intitolato infelicemente un articolo “Schwazer smettila di farci del male” come se il marciatore altoatesino, dopo tutto quello che ha passato, fosse li a cuccarsi 30km di marcia al giorno (con la costante visita degli ispettori dell’antidoping a tenergli compagnia) per far del male agli italiani. Probabilmente l’articolista è un po’ razzista e ritiene il campione altoatesino non italiano e quindi una sua eventuale vittoria olimpica o comunque un buon piazzamento un’ insidia verso gli altri marciatori della nazionale. Schwazer invece anche se con la lingua italiana non se la cava proprio da 10 e lode (è quasi peggio del sottoscritto ma comunque molto meglio di altri atleti che sono assolutamente considerati italiani ma nelle interviste dovrebbero essere sottotitolati…) è pure un po’ terrone, istintivo e probabilmente è per quello che per una storia che per un altro atleta sarebbe costata due o tre anni di squalifica e basta… non se l’è più cavata.
Forse quell’articolo infelice (qualcuno ha risposto: “Smettetela voi di farci del male con questo giornalismo insopportabile”) è servito un po’ ad animare il dibattito e, al di là dei sensazionalismi della prima ora, a far capire che l’informazione in tema di sport di alto livello non solo non è sempre chiara ma è comunque un gran caos.
Qui c’è un’ Italia divisa in due, come ai tempi di Coppi e Bartali. Innocentisti e colpevolisti. Il “povero” Tamberi prova ad assumere il ruolo di colpevolista ma è costretto a rinunciare subito. Come saltatore è semplicemente mondiale, come commentatore di vicende di questo tipo non è nemmeno a livello “parrocchiale”. Si capisce subito che di doping ed antidoping non ci capisce nulla, molto meglio per lui, rischia l’incidente diplomatico quando affonda frasi irriverenti nei confronti nel collega di squadra, poi si salva in corner quando abbandona la scena ammettendo: “Per me può essere anche una grande persona ma come atleta ha sbagliato”. E dicendo questa cosa, che ovviamente nessun giornalista avrà evidenziato, butta lì un sassolino che non è un sassolino ma una montagna più grossa ancora di quelle che contornano il paesaggio dove vive l’atleta oggetto dello scandalo in questione.
Non c’è dubbio che Schwazer, come atleta, abbia sbagliato. Bastava che stesse zitto e non succedeva nulla. Non inguaiava nessuno, non partiva nessuna congiura contro di lui. Come persona non poteva fare diversamente. Un po’ perché, anche se non lo ammetterà mai, è un po’ terrone e non sopportava di fare la figura di unico demone in un mondo di santi, un po’ perché se non ci provava almeno lui a far capire che l’antidoping non funziona saremmo ancora qui a immaginare che gli atleti che si aiutano in qualche modo sono solo quelli che risultano positivi all’antidoping. Tutto quello che è accaduto dopo è abbastanza scontato. Forse un po’ meno le cose di questi giorni, talmente grottesche che ci ritroviamo un’ Italia divisa fra “innocentisti” e “complottisti”.
Quasi quasi faccio pure fatica anch’io a credere alla teoria del complotto però anch’io mi domando come possa essere risultato positivo, seppur di poco, il campione di analisi di un atleta supercontrollato. Forse la risposta sta in quel positivo “di poco” che può far pensare ad un accanimento contro il campione atleta. Il campione “analisi” è quasi regolare, il campione “atleta” non lo è: questo è uno che ha provato a smontare il palco.
Capisco benissimo invece l’ira dei sostenitori del marciatore all’indirizzo del quotidiano che per primo ha pubblicato la notizia: subito pareva che la positività fosse per un valore di undici volte superiore al consentito. Tale dato era una bufala spaventosa ed è stato smentito successivamente. Questi sono errori imperdonabili. E’ come se mi dicessi che ha 40 di febbre uno che ha 37°2. Purtroppo anche con 37°2 se hai rotto le balle (e questa è la condizione di Schwazer, inutile negarlo) ti possono lasciare a casa.
L’informazione sullo sport non è del tutto trasparente e per questo trovo abbastanza regolare tutto quello che è accaduto dopo la squalifica per doping del marciatore. Ricordo un fortissimo ottocentista italiano (il record degli 800 è ancora suo anche se qualcuno si ostina a non ammetterlo e riporta ancora lo storico ma “superato” 1’43″7 del mitico Fiasconaro) stroncato nella carriera dalla giustizia sportiva che non ha gradito che lui abbia dimostrato che il 45% degli integratori americani contiene sostanze non lecite anche se non dichiarate sul prodotto. Anche lui, se stava zitto, finiva molto meglio. Diciamo pure che non finiva lì e probabilmente il record italiano adesso sarebbe ancora suo senza ombra di dubbio, senza costringerci a fare comparazioni fra tempi elettrici e tempi manuali. Un certo tipo di informazione da fastidio. Non conta che una squadra di calcio abbia nell’armadietto 325 tipi diversi di farmaco, contano le fesserie su una ben precisa sostanza che riesce a raccontare un calciatore che di queste cose ne capisce poco o nulla e che, non potendo fare altrimenti, si fida dell’operato del suo medico sociale che spera onesto e coscienzioso come o più di quello dei medici delle altre squadre.
L’informazione sul doping è settoriale, a compartimenti stagni, viene fatta una distinzione ben netta fra farmaci regolari e farmaci non regolari quando poi, da un punto di vista della tutela della salute dell’atleta questa distinzione non è assolutamente così ben netta.
Personalmente mi fa più paura che ci siano 325 farmaci diversi tutti “regolari” nell’armadietto delle medicine di una società sportiva che non un banale, vietatissimo e rilevabilissimo Bentelan che può salvare la vita ad un atleta in attacco allergico.
Il doping o meglio il “supporto farmacologico” (perché così si chiama tecnicamente, altrimenti è calunnia) si è evoluto molto negli ultimi 30 anni. Una volta era occasionale, adesso è sistematico. Proporzionalmente all’uso dei farmaci i casi di positività al doping erano decisamente superiori una volta. Dell’abuso di farmaci l’istituto dell’antidoping se ne fa un baffo perché non è nei suoi fini istituzionali rilevare questa pericolosa abitudine. Con l’antidoping bisogna sanzionare i colpevoli e basta. La tutela della salute dell’atleta si basa sul fatto che viene vietato l’uso di certe sostanze. O si adoperano altre sostanze oppure se le sostanze adoperate fanno parte di quelle vietate le loro tracce devono essere nascoste. Si arriva a dire che addirittura il possesso di una determinata sostanza può essere oggetto di squalifica. Praticamente se io giro con il mio mitico Bentelan perché ho paura di essere punto da un’ape e temo la reazione allergica sono già sanzionabile.
L’antidoping è uno strumento assolutamente inadeguato per arginare il ricorso al supporto farmacologico sistematico nella preparazione degli sportivi di alto livello.
Se almeno questo fosse ben chiaro non si tuonerebbe allo scandalo quando un atleta viene trovato positivo. Lo scandalo è quando l’atleta trovato positivo prova a fare chiarezza e viene inesorabilmente sanzionato più di quello che non dice niente. C’è la chiara volontà nel coprire il doping “tollerato” quello ammesso dall’antidoping che non si ha nemmeno il coraggio di chiamare doping.
Questa molecola è ammessa, quella no. Non solo, se hai assunto un prodotto non consentito devi fare bene i calcoli e sapere come riuscire a mascherarne le tracce. Se il tuo medico sbaglia sei rovinato. Io sanzionerei solo il medico. In fin dei conti è lui che ha sbagliato non l’atleta.
Il dibattito è molto controverso. C’è spazio per opinioni diverse. Qualcuno dice che un solo obbligo di dichiarare tutto quanto viene assunto, lecito e no scatenerebbe una corsa al doping come una corsa all’oro. Altri dicono che un provvedimento del genere se adeguatamente osservato finirebbe per screditare del tutto lo sport di alto livello e farebbe scappare gli spettatori. Tante ipotesi sono valutabili. Non mi pare più percorribile, perché anacronistica, una via illuminata dall’antidoping che di volta in volta segnala chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Non ci sono né buoni né cattivi, ci sono solo atleti che sullo sport di vertice sperano di non perderci la salute. Per garantire la loro salute è opportuno tentare di ridurre l’uso di farmaci a sostegno della preparazione, è opportuno anche iniziare a non nascondere i protocolli di intervento perché è solo dall’analisi di questi che si può sperare di avere qualche informazione in più in futuro. In sintesi la salute dell’atleta del futuro non sarà garantita dalla partecipazione o meno di Schwazer alle Olimpiadi ma da quanti atleti avranno il coraggio di parlare e di spiegare come funzionano davvero le cose. In tal senso si è già capito che l’atleta Schwazer è fin troppo collaborativo. Punirlo per zittirlo è quanto meno scorretto.