ADATTAMENTO E SOVRACCARICO FUNZIONALE

Centrare la giusta preparazione non è per niente facile ed il confine fra buon adattamento e leggero sovraccarico funzionale è labile e non sempre ben netto. Lo stesso allenamento può produrre per alcune strutture un buon adattamento e per altre invece un certo sovraccarico ed allora lì bisogna essere in grado di valutare se il gioco vale la candela. Possono essere anche adattamenti non sullo stesso piano che corrono per strade diverse ma devono comunque essere valutati. Per esempio, a livello organico può essere che d’inverno un corridore di lunghe distanze esponendosi a sedute di allenamento in orari particolarmente freddi continui a migliorare da un punto di vista cardiaco ma dia degli stress un po’ troppo elevati al suo apparato respiratorio andando a creare dei problemi in quel senso. Allora in quel caso è da valutare bene se è molto importante insistere tanto su allenamenti che possono certamente far migliorare l’efficienza cardiaca ma possono nel contempo creare problemi all’apparato respiratorio. L’ideale sarebbe riuscire a correre in orari dove anche questo può incassare bene il colpo senza accusare eccessivi stress (ventilare alla massima intensità aria molto fredda non sempre è uno stimolo sopportabile per tutti) ma a volte ciò non è possibile e si può arrivare al compromesso di variare la preparazione anche in base alla situazione climatica.

Anche da un punto di vista semplicemente muscolare la situazione può essere contraddittoria e per esempio della corsa veloce può far bene per l’azione di corsa in generale ed anche per l’elasticità ma può essere sovraccaricante per un tendine d’Achille che non è in perfette condizioni per cui ci troviamo a mediare fra l’utilità di offrire certi stimoli allenanti utili a quasi tutta la struttura e pure da un punto di vista tecnico ma potenzialmente pericolosi per una determinata struttura (per esempio il tendine d’Achille) che per determinati motivi non ha le capacità di adattamento del resto della struttura.

Queste cose di verificano su spazi d’azione molto ristretti e ci vuole sempre un bilancino molto preciso per valutare le reazioni di adattamento. In un amen si passa dal carico corretto che crea il miglior adattamento possibile al carico scorretto che apre le porte alla sconveniente strada del sovraccarico funzionale. Evidente che l’antica strada del “Impegnati che più fatica fai e meglio è, più fatica fai e più benefici avrai dalla seduta di allenamento” è una strada non più percorribile e la strada veramente difficile da percorrere è proprio quella di capire quale sia il carico giusto da somministrare in quel preciso momento. E così se l’allenatore una volta era visto come quel motivatore che incentivava l’atleta a fare più fatica possibile in allenamento, l’allenatore viene visto ancora come un motivatore ma la fatica da affrontare adesso è quella di star lì a rompersi le scatole molto concentrati ad ascoltarsi per capire bene cosa è opportuno fare e questa fatica la deve fare proprio l’atleta perché l’allenatore non ha la bacchetta magica e senza la collaborazione costante dell’atleta attento non va da nessuna parte. Insomma se un tempo l’atleta che non sentiva la fatica veniva ritenuto un virtuoso, un talento sul quale investire, adesso viene ritenuto semplicemente un tonto ed un atleta con il quale si fa fatica a collaborare per ottenere risultati di alto livello. Un tempo la fatica era quasi solo fisica, l’allenatore era ritenuto la mente e l’atleta il braccio. Adesso l’atleta che non conosce sé stesso non va da nessuna parte e l’allenatore è tanto più bravo quanto più riesce ad evitargli inutili fatiche in un processo di allenamento che è sempre e comunque molto sovraccaricante. Al paradosso si può dire che mentre un tempo l’atleta vincente era quello che sapeva sopportare più fatiche di tutti, al giorno d’oggi ci tocca dire che l’atleta vincente è quello che riesce ad essere altamente performante senza sottoporsi a grandi fatiche ma solo conoscendo bene sè stesso e riuscendo così ad evitare fatiche inutili e a centellinare con oculatezza i giusti carichi di allenamento. Insomma quando si tratta di attività per principianti ci può essere anche una beata spensieratezza e sbagliare qualche allenamento è un peccato veniale, al più si sta fermi qualche giorno e si recupera ma sbagliare carico in una preparazione molto dettagliata e consistente in volume può essere un errore imperdonabile che ti costringe a saltare anche 5 o 6 sedute di allenamento (5 o 6 sedute ad alto livello sono tre giorni di allenamento e per colpa di un leggero sovraccarico tre giorni ti vanno via come ridere…). Pertanto mentre il principiante può permettersi il lusso anche di caricare un po’ troppo ogni tanto che poi recupera, l’atleta evoluto questo lusso non può permetterselo perché deve stare sempre concentrato e non può perdere troppe sedute di allenamento ad attendere il concretizzarsi di adattamenti che teoricamente dovevano verificarsi più in fretta del previsto.

Una volta l’atleta di alto livello concentrato era solo quello che non si permetteva troppi svaghi e sopportava grandi fatiche nella sua preparazione, adesso oltre ad essere quello che sta attento a cosa combina nel resto della giornata è pure quello che controlla molto attentamente i carichi di allenamento perché sa benissimo che se esagera invece di promuovere quegli adattamenti che lo faranno andare sempre più forte può scatenare delle reazioni da sovraccarico funzionale che andranno ad inficiare in modo drammatico la preparazione.

Non è un giochino facile ma l’attività sportiva non è mai stata facile, divertente sì ma facile no, anzi io dico che più è ragionata e più è divertente e sarebbe anche il caso che pure gli sportivi amatoriali si mettessero a ragionare su cosa fanno abbandonando l’antico “Più fatica fai e meglio è” perché fare le cose inutili non è bello per nessuno. Hai poco tempo per allenarti? Fa almeno  che questo tempo sia speso nel miglior modo possibile.