Da anni mi sto battendo per la pubblicizzazione e l’istituzionalizzazione di una figura professionale che nella nostra società è sempre più importante ma non è ancora adeguatamente sostenuta, diffusa e non è minimamente radicata sul territorio per non dire che è praticamente assente: la figura del consulente dell’attività motoria.
Il consulente dell’attività motoria è l’ultima spiaggia per dare dignità ai professionisti del movimento dopo anni di selvaggia rincorsa alle mode dettate dal libero mercato.
Il libero mercato ha svilito la figura dell’esperto di attività motoria e l’ha relegata al ruolo di istruttore che si muove solo nel privato rincorrendo mode e strategie di marketing come se fosse sempre in cerca di vendere un prodotto più che di evolvere una professionalità importantissima per il bene della comunità.
Se non sapremo svincolarci dalle logiche di mercato saremo condannati a muoverci in un’ambito di attività fisica “prodotto da vendere” che non può assolutamente contribuire al progresso scientifico della disciplina e non può nemmeno venire incontro alle esigenze della popolazione che ha bisogno di muoversi con razionalità alla ricerca del benessere e non ha certamente bisogno di “acquistare” nuovi prodotti da vendere.
Gli amministratori locali devono trasformare il cittadino da consumatore a utilizzatore di un servizio, solo in questo modo si potrà svincolare la disciplina dalle logiche di mercato, solo in questo modo si potrà servire ai cittadini ciò di cui hanno bisogno.
Sono accusato molto spesso su questo sito di far politica (e la sto facendo anche adesso con un articolo che è essenzialmente un tema politico…) perché mi batto in modo pedante, continuo, monotono e fin troppo insistente per la creazione di una efficiente rete di piste ciclabili sul territorio. Questo è un tema sul quale, se tutti i miei colleghi fossero compatti, potremmo aumentare considerevolmente la nostra forza d’urto per sostenere tale richiesta. Purtroppo la maggior parte dei miei colleghi sono impegnati a sopravvivere districando una matassa di problemi che con le piste ciclabili non c’entrano praticamente nulla anche se dovrebbero essere un nodo centrale della loro professione.
Nella strutturazione attuale dell’offerta di attività motoria in Italia attualmente gli insegnanti di educazione fisica non hanno né arte né parte nel sostenere a gran voce la necessità di modificare l’assetto della mobilità urbana. Quella che dovrebbe essere una battaglia soprattutto dei tecnici del movimento perché questa è soprattutto una battaglia di profilassi sanitaria, di cultura del movimento, diventa appannaggio esclusivo degli ecologisti che la sostengono da un punto di vista politico ma con armi un po’ spuntate da un punto di vista tecnico scientifico con riferimento alla necessità di movimento dei cittadini.
La frase magica che interrompe la catena della salute in Italia, di quella catena che proprio in questi momenti difficili di corona virus ha dimostrato avere anche delle eccellenze e della basi non certamente da buttare, è quella che ogni medico di base si trova a pronunciare ogni volta che dopo aver detto che il paziente ha bisogno assoluto di fare movimento chiede: “E scusi dove posso andare per fare attività motoria?”. Troppe volte il medico di base si trova costretto a replicare: “Mah, non so, si iscriva in qualche palestra…” E non lo fa perché ha qualche parente che gestisce una palestra privata ma perché non esiste un’offerta di attività motoria strutturata a livello pubblico per la cittadinanza sul nostro territorio.
Io stesso, sostenendo una snervante lotta di categoria, mi sono scandalizzato più volte del fatto che anche come insegnanti di attività motoria per la terza età (che forse è l’unica almeno un pochino strutturata) ci troviamo a fare le battaglie con i presidi di scuola per l’utilizzazione degli spazi palestra.
Addirittura nell’organizzazione dell’attività motoria dei prossimi mesi, fondamentali per far ripartire gli anziani dopo mesi di blocco forzato, pare che l’ostacolo più grosso, più che le precauzioni igieniche per ostacolare la diffusione del virus, saranno le nuove esigenze organizzative di presidi e direttori didattici stritolati sempre di più nella problematica di formulazione dell’orario scolastico. A maggior ragione, se i presidi non ce la fanno a predisporre un razionale piano di utilizzazione dello spazio palestra (che è quasi sempre comunale ancorché in gestione alla scuola) bisognerà prevedere la creazione di figure istituzionali che sollevino i dirigenti scolastici da tale gravoso onere. Se il dirigente scolastico non ha tempo per predisporre un razionale piano di utilizzazione dello spazio palestra questa cosa dovrà farla qualcun altro (magari un funzionario del comune visto che la struttura è del comune…) perché come minimo gli utilizzatori delle attività extrascolastiche si troveranno a partire in ritardo con l’attività dopo che il preside ha risolto i problemi dell’orario scolastico. Questo in una logica di necessità di utilizzazione degli spazi palestra comunali che non sono dedicati esclusivamente alle scuole ma anche ad altre importanti attività per il resto della cittadinanza.
Se sopravvive il concetto che l’attività fisica offerta al cittadino purtroppo sono solo le due ore di attività motoria che proponiamo a scuola ai ragazzi allora, giustamente, tutto ciò che non è contemplato dal programma scolastico può andare fuori dalla palestra utilizzata dalla scuola (che, ripeto, quasi sempre è del comune, non della scuola) dove una giungla di privati offrono i loro prodotti da vendere.
Pare quasi che ci sia un tacito accordo fra pubblico e privato dove il pubblico per non ostacolare il privato non si pone nemmeno sul… mercato.
Ma il concetto è proprio che il pubblico non deve assolutamente mettersi sul mercato, perché deve offrire l’attività motoria per tutta la cittadinanza, non il prodotto da vendere. Al prodotto da vendere ci pensa il privato, a quello essenziale per sopravvivere ci deve pensare il pubblico perché esiste una quota di attività motoria, e questo è il concetto decisivo, che non è un lusso facoltativo ma una imprescindibile necessità per la salute del cittadino.
Tutto ciò non viene evidenziato se non esiste la figura di un consulente dell’attività motoria che dopo la famosa frase del medico “Lei ha assoluta necessità di fare del movimento” si mette a disposizione del cittadino per risolvere questo importante problema.
Nel titolo di questo articolo ho scomodato nientepopodimeno che l’ecologia. E questa è certamente anche una questione di ecologia perché il cittadino che ha bisogno di muoversi che viene trasformato da consumatore in “utilizzatore di servizio” diventa anche un sostenitore di nuove politiche ecologiche.
Direte che sono ripetitivo in modo patologico e la questione va a finire sempre lì, ma se il cittadino è un utilizzatore di servizi avrà anche diritto a muoversi in una città dove il servizio pubblico di trasporto funziona e ti può consentire di lasciare l’auto a casa, dove le piste ciclabili esistono e ti consentono di utilizzare la bici in tutta tranquillità anche se hai più di 70 anni e ogni tanto sbandi. Se sbandi su una pista ciclabile al più potrai essere urtato da un altro ciclista ma se sbandi su una strada dove passano anche le auto sei morto.
In tale contesto si inserisce la figura del consulente di attività motoria che non vende niente, propone solo soluzioni di movimento per tutti i cittadini, ma se l’unica soluzione è andare a pedalare in palestra allora non ha nemmeno senso che esista.
Allora continuerà ad esistere il medico di base che alla fatidica domanda risponde: “Mah, non so, si iscriva in palestra…”.