ABBASSARE L’ASTICELLA

Quando un allievo continua a sbagliare un salto ad una certa misura, gli si danno dei consigli, lo si fa riprovare ma poi, se continua a sbagliare ancora, ad un certo punto si abbassa l’asticella per evidenziare dopo un salto “valido” eventuali errori e poterlo riportare con successo alla misura superiore. In poche parole non si sbatte la testa contro il muro, con tanta pazienza si va per tentativi ed errori e si ammette umilmente che l’errore possa esserci rivedendo un po’ anche gli obiettivi.

Esiste addirittura una scuola di pensiero che dice che la misura che centri più o meno il 50% delle volte è quella che da le maggiori informazioni in termini di apprendimento ma non stiamo a scendere su questi cavilli di pura teoria e metodologia dell’allenamento sportivo, accettiamo il concetto che da un salto effettuato ad una misura che si supera senza problemi si impara poco, anche se sarà divertente e gratificante, come si impara gran poco da una lunga serie di salti effettuati ad una misura dove l’asticella non si supera proprio mai. Questa seconda ipotesi oltre che improduttiva è pure deprimente per l’allievo che crede di essere un vero disastro che sbaglia tutto.

Nella scuola italiana abbiamo l’asticella messa ad una misura troppo elevata e così gli studenti giocano a barare perché commettere troppi errori non fa piacere a nessuno. A quel punto non conta più essere davvero in grado di passare la l’asticella ad una certa misura ma può diventare importante far finta di essere in grado di superarla. Non è importante imparare a saltare, è importante far credere all’insegnante che si è in grado di farlo. Ma in quel modo non ci sarà nessuna evoluzione della tecnica di salto, ci sarà solo un’evoluzione delle tecniche di simulazione della buona riuscita del salto e così, tanto per dire una scemata, si può studiare come far credere all’insegnante che hai passato 1 metro e 85 quando in realtà hai superato solo un metro e ottanta. In una parola non è importante “sapere” ma “far credere di sapere”.

E’ la storiella di questi giorni, della ragazzina bendata durante la didattica a distanza che finirà in una bolla di sapone perché nessuno vuol cambiare realmente e concretamente la scuola italiana. In questa storia non ci interessa sapere chi è il colpevole, se è più disattenta la soluzione folcloristica del professore (o professoressa, lasciamo perdere…) o se è più tragicomico il tentativo di imbroglio dello studente (o studentessa lasciamo perdere anche lì) che non crede di essere in grado di superare l’asticella solo con le sue forze, perché in realtà è una cosa che poteva venire fuori in qualsiasi altra scuola di qualsiasi altra città italiana e chissà quante ne sono scappate che ci si può tranquillamente fare un film sullo stile di quelli leggendari del mitico Alvaro Vitali che portava in scena “Pierino” sul grande schermo. Ci si chiede come mai sia venuta fuori solo ora e proprio lì ma questo non direi che sia il problema principale della questione, penso che invece sia il caso di domandarsi se davvero si vuole un cambio di passo della scuola italiana.

Io insisto sempre sul fatto che per uno studente sano dedicare 50 ore alla settimana alla scuola non è una cosa fisiologica e se questo è lo standard che purtroppo per molti allievi deve essere adottato per giungere ad una promozione serena, senza incubi, allora dobbiamo un  po’ rivedere i programmi. Dobbiamo, con l’immagine che ho scelto nel titolo, abbassare l’asticella.

In sintesi se pretendiamo di meno non abbiamo proprio bisogno di bendare nessuno perché l’asticella ad una misura più bassa si supera senza sotterfugi ed è quel tentativo che ci fa capire alcune cose e ci fa migliorare per poter alzare davvero l’asticella.

Il diritto allo sport, ad una giusta attività fisica parte dal diritto al tempo libero per poterlo praticare. Una scuola che impegna lo studente cinque ore al giorno durante le lezioni ed un’ora al giorno per rivedere quanto appreso a scuola basta ed avanza. Se i programmi ministeriali sono talmente corposi che impongono allo studente di integrare la preparazione scolastica con un ulteriore impegno a casa di circa tre ore al giorno vuol dire che questi programmi sono studiati male e non tengono conto delle normali esigenze dei ragazzi. Non è una vertenza sindacale, si tratta solo di capire che se i programmi ministeriali sono “un’asticella troppo alta” per colpa dei quali si finisce per barare altrimenti sei costretto a “lavorare” (ed io insisto sempre sul fatto che lo studente non è un lavoratore anche se qualcuno è convinto che deva abituarsi ai ritmi del lavoro stressante già a scuola…) 50 ore alla settimana allora la colpa non è di chi prova a barare in modo tragicomico ma di chi non ha capito che la scuola deve fare i conti anche con la necessità di movimento dei ragazzi, non solo di acculturamento. Dello studente molto preparato ma malaticcio non ce ne facciamo niente, non solo non ce ne facciamo niente ma proprio non lo vogliamo perché la scuola non è un’istituzione che mangia i bambini e li deve mettere sulla difensiva ma è un’ istituzione che li aiuta a crescere, sotto tutti gli aspetti e pertanto non hanno nulla da temere, nulla da nascondere.  Da bambini e pure a 15 anni quando questo concetto ormai dovrebbe essere ben chiaro a tutti.