La chiamano “decrescita felice” ma è una definizione un po’ ottimista perché temo che dovranno chiamarla “decrescita obbligata” visto che si è capito abbastanza bene che non può esistere una politica ecologista, una politica verde, senza rivedere i consumi al ribasso. Aumento del prodotto interno lordo e politiche ecologiste purtroppo non possono andare d’accordo perché viaggiano su due binari diversi che si allontanano. Se si ammette che davvero è giunto il momento di programmare autentiche politiche ecologiste per non finire sotto acqua in pochi anni allora bisogna dimenticarsi l’illusione di tenere il PIL su livelli elevati come se non stesse succedendo nulla e rispetto a ciò che è accaduto negli ultimi settant’anni si andrà inevitabilmente incontro ad una netta inversione di tendenza.
La decrescita potrebbe essere “felice” (felice fra virgolette…) se riusciamo a ragionare come un mio leggendario compagno di scuola che quando rimediava qualche brutto voto commentava sereno: “Poteva andare anche peggio, poteva accadere che inciampavo, sbattevo contro la cattedra e mi procuravo una ferita anche piuttosto grave, invece, solo un brutto voto…”. E aveva perfettamente ragione perché quei brutti voti (nemmeno troppo pochi, se ben ricordo, perché io quel “Poteva andare anche peggio” l’ho sentito un sacco di volte e, ogni tanto me lo ripeto anch’io quando mi va storto qualcosa) non gli hanno impedito di diventare un imprenditore di successo e, tanto per dire, quel “Poteva andare anche peggio” anche senza che mi vada storto nulla mi viene in mente anche quando acquisto l’olio prodotto dalla sua grande azienda, sempre in bella mostra sugli scaffali di tutti i supermercati e non solo di quello dove mi rifornisco abitualmente io.
Ecco, se pensiamo che, invece che rivedere solo drasticamente i consumi, rischiamo di sprofondare in una crisi economica colossale perché i cambiamenti climatici ci metteranno letteralmente in ginocchio agendo su un sacco di fronti, allora possiamo anche pensare che la decrescita, ancorché traumatica, perché non potrà certamente essere lenta e graduale come ipotizzano alcuni economisti che sono fuori dai tempi, potrà essere incassata in qualche modo, cambiando nettamente stile di vita ma senza ridurci alla fame totale.
In tale contesto sorge spontaneo porsi il quesito se potrà esistere anche una “decrescita felice” dello sport, dell’attività fisica in genere.
Al riguardo io sono ottimista, anzi penso che sarà proprio l’obbligo della “decrescita felice” a costringerci a razionalizzare l’attività motoria e a diffonderla maggiormente presso tutta la popolazione, un po’ per la necessità di usare meno l’auto e un po’ per razionalizzare i costi dell’assistenza sanitaria che lievitano in modo eccessivo se la gente non si muove e si ammala di patologie legate alla sedentarietà.
Per contro potrà cambiare un po’ il volto dello sport di alto livello e anche lì io aggiungo “poco male” perché se per costruire uno sportivo di alto livello bisogna impiegare più farmaci che per curare un malato allora saranno rivisti anche questi atteggiamenti aberranti legati all’imperativo commerciale del “campione a tutti i costi”. La filosofia del doping obbedisce esclusivamente a leggi di mercato legate all’iperproduzione. C’è bisogno di tot. campioni per sostenere lo sport spettacolo se non li abbiamo li costruiamo anche grazie a protocolli farmacologici finalizzati a tale scopo. Se tale ottica viene razionalmente abbandonata ci si accontenterà di alimentare lo sport spettacolo con un numero inferiore di campioni e forse non sarà più uno sport spettacolo altamente sensazionale come quello attuale ma in una nuova ottica potrà essere ugualmente avvincente anche se probabilmente ci saranno più sportivi veri a emulare quelle gesta ma meno telespettatori.
Insomma la decrescita felice, e speriamo che possa essere davvero felice, investirà tutti gli aspetti della nostra esistenza, anche lo sport e c’è da sperare che se architettata con un minimo di raziocinio possa portare anche a scenari per nulla apocalittici ma invece auspicabili per un società evoluta.
Progresso non necessariamente è sinonimo di sviluppo, mentre è sacrosanto tendere sempre al progresso non ha senso perseguire cronicamente e ad occhi bendati lo sviluppo. Dal mio punto di vista un record regionale ottenuto senza farmaci può anche essere più interessante e pregevole di un record nazionale ottenuto anche grazie ad un uso indiscriminato della chimica, e non sono l’unico a sostenere tale strana fantasia.