E’ risaputo come ci sia una correlazione diretta fra Covid ed inquinamento. Nei luoghi più inquinati il Covid attecchisce meglio (anche se i motivi di tale evidenza non sono ancora ben sondati) e soprattutto in questi luoghi il Covid riesce a fare più danni perché trova una popolazione in condizioni di salute più suscettibili di aggravamento. Questa cosa non è difficile da capire: chi ha i polmoni già pieni di gasolio non fa fatica a farseli rovinare ancora di più dal Covid.
La lotta contro il Covid in Italia è epocale: mai un virus era stato combattuto con tanta energia, ci si vanta di essere in prima linea in questa lotta e non c’è dubbio che le misure precauzionali adottate nel nostro paese siano decisamente energiche (uno dei paesi più vaccinati del mondo, un paese dove non si è esitato a chiudere la popolazione in casa quando sembrava che fosse opportuno farlo, un paese dove senza propinare l’obbligo vaccinale si sono comunque inventati il lasciapassare obbligatorio che è praticamente un obbligo vaccinale mascherato in quanto quello vero è praticamente impossibile da applicare perché per capire chi si può effettivamente vaccinare e chi è meglio che faccia a meno passeranno anni).
La popolazione reagisce bene e con fiducia a tali norme salvo una frangia di irriducibili che rilevano delle incongruenze come per esempio il fatto che la Germania se la sia cavata molto meglio quando ha adottato un sistema di chiusure parziali ed abbia avuto risultati disastrosi nella seconda ondata quando ha spinto per arrivare alle chiusure drastiche sul modello italiano. Evidentemente non si poteva fare come in Svezia dove fregandosene del virus è andata molto peggio ma si poteva essere semplicemente più accorti sull’ipotesi di lasciare al cittadino solo il tempo per andare ad acquistare le sigarette (molto salutari…) invece di lasciargli il tempo per l’ora d’aria fondamentale per tenere alte le difese immunitarie senza costringerlo ad inventarsi scuse folli come chi andava al supermercato due volte al giorno (altra pratica molto salutare…) pur di poter uscire un po’ di più.
Ebbene la risposta energica del modello italiano al virus sarebbe bello che si concretizzasse anche a livello di mobilità urbana laddove, invece, non si fa proprio un bel nulla. Evidentemente i “no bici” fanno molta più paura dei “non green pass” ma c’è da sottolineare a riguardo una cosa che ci potrebbe aiutare ad affrontare con successo i “no bici”.
Mentre in tema di vaccini è molto difficile capire chi fa bene a vaccinarsi perché di sicuro non avrà problemi con la vaccinazione e pertanto i “no Green Pass” dicono che fintanto che non c’è la certezza di non avere reazioni strane con i vaccini loro non vogliono niente di obbligatorio, nemmeno il Green Pass, per quanto riguarda la bicicletta la disputa sarebbe molto più semplice. I “no bici” non vogliono la bici obbligatoria perché dicono: “Io in bici mi ammazzo anche se c’è tutta la strada sgombra, anche se c’è la pista ciclabile larga 5 metri, casco proprio da solo perché non so andare in bici… ” per quei cittadini andrebbe data un’esenzione subito, senza problemi, nessun lasciapassare obbligatorio. Non sanno andare in bici, gli si da una patente di disabilità che consente loro di utilizzare l’auto anche nei posti nei quali è normalmente vietato. E’ chiaro che questa patente di disabilità non ti consente di circolare liberamente su tutte le strade ai 50 chilometri all’ora.
E dunque la misura “pro bici” è molto semplice ed è la seguente: abbiamo raggiunto il traguardo dell’80% della popolazione che si è vaccinata, benissimo, raggiungiamo anche l’80% della popolazione che si muove normalmente in bicicletta e non più in auto. La salute generale in seguito a questa mossa migliora certamente di molto e le masse di “no bici” che andrebbero a protestare in tutte le piazze italiane non andrebbero disperse con gli idranti bensì calmate con l’elargizione di un gran numero di lasciapassare per chi non può andare in bici. Qualcuno sostiene che in breve tempo quelli con il lasciapassare sarebbero 40 milioni lasciando un paio di milioni di italiani andare in bicicletta come accade adesso. No, per il semplice motivo che se di punto in bianco il mezzo prevalente diventa la bicicletta, ovviamente supportato da un ottimo mezzo pubblico (ed è questa la premessa ed il nodo centrale di tutta la questione…), gli italiani che tornano all’automobile sono una ristretta minoranza perché gli italiani che vogliono davvero usare l’automobile sono gran pochi e lo fanno quasi tutti per necessità, dalla mamma che porta a scuola il figlio che non può andare in bici perché è troppo pericoloso, alla massaia che va a fare la spesa con l’auto perché dimmi te dove ci stai con il cargo bike che è un intelligentissimo mezzo per sostituire l’auto che però da noi è semplicemente utopia (anche se costa meno di un quinto della più economica delle auto) perché non c’è il posto per farcelo stare da nessuna parte, manco occupasse lo spazio di una limousine da divo di Hollywood
Insomma il criterio della severità delle misure adottate per affrontare il Covid va utilizzato anche per affrontare il nodo della mobilità urbana, cosa per la quale fino ad ora non si è fatto assolutamente nulla anche se è indubbiamente una questione di sanità pubblica.
Concedere l’uso dell’auto a chi non può farne a meno è quanto meno doveroso, ovviamente disciplinando tale utilizzo in un contesto dove la norma diventa la bici e non l’auto e dove i semafori, per esempio, sono tarati sulle esigenze del ciclista e non più su quelle dell’automobilista. E’ chiaro che diventa un traffico più tranquillo, meno frenetico e dove il cittadino che non riesce ad andare in bici può anche avere tempi di spostamento un po’ più lunghi di quelli che riesce ad avere adesso ma se con il Covid si è dimostrato che per un’ emergenza sanitaria si può bloccare un intero paese allora è pure possibile che per un’altra emergenza sanitaria ugualmente importante si possa semplicemente rallentarlo senza bloccare niente. Chi vi ha raccontato che si può ripartire di slancio inquinando a più non posso vi ha raccontato una grossa bugia. Quei tempi sono finiti, o meglio, erano finiti già prima e che ce ne siamo accorti adesso dopo il Covid, non è un caso: stiamo semplicemente facendo un confronto fra le città del lockdown che anche se “vietate” erano materialmente vivibili e queste post lockdown che anche se non vietate sono praticamente invivibili. Far finta di niente sarebbe un po’ come far finta di niente con il Covid, non abbiamo messo la testa sotto la sabbia in quei frangenti (come aveva provato a fare la Svezia tanto per dire un paese…) e non è il caso di metterla sotto la sabbia nemmeno ora, anche se gli interessi economici in gioco ora sono persino più rilevanti di quelli di prima.