Chi legge il mio sito resta sbalordito essenzialmente da due cose: la prima quanto mi occupo di mobilità urbana quasi che avessi interessi in progetti relativi a quella e tentassi di piazzarli qua e la per averne un ritorno economico, la seconda è quanto poco mi occupo di pesi.
Mentre per rispondere alla seconda ci impiego un amen deludendo subito gli appassionati di pesi che da un sito che si chiama così si attendono schede a go go e una piccola enciclopedia sull’uso scriteriato dei pesi nella preparazione sportiva, per rispondere alla prima ci impiego un po’ di più.
Non mi occupo di pesi per il semplice motivo che sono convinto che il loro uso sia inflazionato più o meno in tutte le preparazioni sportive per motivi essenzialmente commerciali e perché stiamo ancora vivendo un’epoca dello sport dove la forza è sopravvalutata come fattore di prestazione. Se mettiamo l’accento sulle capacità coordinative ci accorgiamo in un attimo come la forza diventi meno determinante in tutti gli sport e come i veri deficit di forza siano raramente riscontrabili più o meno in tutti gli atleti di tutte le discipline sportive.
Mi occupo di mobilità urbana per un discorso molto complesso che voglio tentare di illustrare qui in modo sintetico e spero più chiaro possibile.
Io sono convinto che il cittadino medio italiano sia abbastanza squattrinato (è da tredici anni che stiamo vivendo una crisi economica inequivocabile che il Covid è pure riuscito a far peggiorare) e non abbia nemmeno il tempo libero per poter fare un’adeguata attività fisica. Passa troppa parte del suo tempo ingabbiato in auto e questo è certamente un grande fattore di sedentarietà così come le ore che passa davanti alla televisione che sono mediamente troppe più o meno per tutti. Se vuole tentare di muoversi in qualche modo non ha scelta. Deve tentare di convertire le ore passate in auto con ore passate a piedi e o in bicicletta e le ore passate sul divano davanti alla tv in altrettante ore di attività fisica. Non ha altre possibilità perché non può cambiare professione per avere più tempo libero e dunque il tempo libero non può inventarselo se non cercandolo in modi diversi.
In tal senso avere la possibilità di usare la bicicletta invece che l’automobile o andare a piedi per tratti più lunghi di quelli che fa di solito è certamente un ottimo tentativo per affrontare il problema. Questa cosa viene spesso ipotizzata dai medici ma poi non viene concretamente perseguita a livello pratico, a livello burocratico. Basterebbe che se ne occupasse la televisione (per esempio con un infiltrazione nel palinsesto pari a circa il 10% di quella dedicata al Covid) ma invece la televisione (anche quella di stato, non solo quella privata) preferisce lasciare ampio spazio alla pubblicità dei farmaci come se essere malati al giorno d’oggi fosse cosa buona e giusta e pertanto con quell’atteggiamento ci si rilassa di fronte all’idea che anche ai giorni nostri l’automobile deve comandare indisturbata semmai si può studiare se ci siano alimentazioni alternative per renderla meno inquinante ma insomma se poi siamo tutti malaticci perché continuiamo ad usare inesorabilmente troppo l’auto ci sono le medicine che risolvono ogni problema e basta guardare per televisione, comodamente seduti sul divano per capire quali sono quelle che fanno al caso nostro e possiamo tranquillamente sopravvivere con quaranta milioni di autoveicoli che ci ronzano attorno in modo incessante tutti i giorni.
Mi occupo tanto di mobilità urbana perché mi rendo conto che se parliamo di pesi da sollevare ben chiusi in palestra fin che fuori le auto continuano a comandare ci prendiamo in giro e non facciamo un discorso di profilassi sanitaria bensì un tentativo di adeguamento ad un modello di sviluppo che non sta assolutamente in piedi ed aveva mostrato ampiamente i suoi punti critici già oltre quarant’anni fa.
E’ questo ciò che mi fa più paura, questi non sono discorsi nuovi, anzi sono discorsi molto vecchi e pare che una vera urgenza per questi discorsi non esista proprio mai. Siamo arrivati pure all’evidenza dei cambiamenti climatici per sancire questa urgenza (ma attenzione che anche quelli erano già nettamente percepibili molti anni fa) ma ancora pare che sia un’urgenza differibile, una finta urgenza.
Ci raccontano che pian piano stanno predisponendo percorsi per le biciclette in tutta Italia, che è il turismo che ce lo chiede, ma è la gente che va a lavorare che ha bisogno dei percorsi sicuri per le biciclette perché la bicicletta va usata tutti i giorni e non solo nei fine settimana per andare in gita. Non conta nulla la ciclabile per il turista se poi nella vita di tutti i giorni il cittadino italiano deve ancora fare i conti con centri abitati dove il limite dei 50 chilometri all’ora è ancora pericolosamente troppo diffuso ed il limite dei 30 all’ora sembra ancora un vezzo radical chic di alcuni quartieri che vogliono atteggiarsi a quartieri per benestanti dove ci si può addirittura permettere il lusso di frenare il normale stress della gente che lavora.
Insomma siamo ancora nell’Italia dove la gente che lavora deve fare i 50 chilometri all’ora e quelli che non hanno un cacchio da fare possono tranquillamente scorrazzare in bicicletta in quartieri per ricchi dove c’è “addirittura” il limite dei trenta all’ora.
Se pensiamo che il limite dei trenta all’ora sia ancora un assurdo lusso vuol dire che abbiamo ancora le idee poco chiare in termini di salute.
Troppi malati costano cifre impensabili al sistema sanitario nazionale. Muoversi e poterlo fare in sicurezza anche a piedi e/o in bicicletta non è un lusso ma una cosa urgente da fare per riacquistare una salute che stiamo inesorabilmente perdendo. Le terapie intensive non devono essere sovraffollate, ce lo continuano a dire anche con il Covid, almeno questa cosa dovremmo averla imparata.