TRANSIZIONE ECOLOGICA ED URGENZA DELLA LOTTA ALLA SEDENTARIETA’

Ho paura che dietro al concetto di “transizione ecologica” ci sia un discorso del tipo “Intanto dateci i soldi per fare la rivoluzione ecologica e dopo si vedrà”. Insomma c’è il rischio che grazie alla parola “transizione” si finisca per non cambiare proprio nulla. Del resto la questione è spinosa perché l’Europa non può dirti “Prima sistema la questione ecologica e poi ti diamo i soldi”, perché i nostri governanti giustamente rispondono che senza i fondi necessari non si può far partire nessuna rivoluzione verde. Insomma è un po’ come nei migliori film thriller dove uno gli dice all’altro “Butta giù la pistola!” e l’altro gli risponde “No, buttala giù prima tu…”. Non vorrei che finisse che non si fa proprio un cavolo e una cosa piuttosto triste è che se intervistate la maggior parte degli italiani vi dicono che l’importante è prendere i soldi poi anche se di concreto per l’ecologia non facciamo niente amen. Quando, invece, la cosa più importante è proprio fare qualcosa di concreto per l’ecologia e se anche quei soldi fossero finti, mai esistiti e puro pretesto per farci cambiare abitudini sarebbero comunque benedetti.

La questione ambientale accompagna un’altra questione terribilmente urgente collegata a questa e che non può attendere i tempi di una “transizione” programmata a lunga scadenza. E’ la questione sedentarietà che attanaglia circa venti milioni di cittadini italiani. Se anche dall’oggi al domani scoprissimo un’ automobile che non inquina nulla, meno ancora dell’elettricità, non ha bisogno nemmeno di quella e va da sola senza fonti energetiche inquinanti (un miracolo che non si riesce a spiegare com’è e non te la scrivono nemmeno nelle favole perché le astrazioni troppo fantastiche non trovano spazio nemmeno nelle favole), anche in quella ipotesi fantastica non avremmo risolto un problema gravissimo (anzi forse l’avremmo aggravato ulteriormente…) per la nostra popolazione che è quello della sedentarietà.

Il dibattito non è su come si possa fare per passare all’elettrico più in fretta possibile e non c’è molto da sforzarsi per capire che in tal senso l’industria automobilistica sta offrendo forti resistenze perché c’è tanto di quell’invenduto a gasolio da far paura e mettere sul mercato veicoli elettrici a prezzi concorrenziali vuol dire crearsi seri problemi sullo smaltimento dell’invenduto a gasolio. Il dibattito è un altro: come fare per ridurre il numero di auto circolanti sul nostro territorio che sono una cifra spropositata (circa 40 milioni), per riuscire a far spazio a pedoni e ciclisti e per promuovere gli spostamenti a piedi ed in bicicletta che possono favorire oltre che un buon approccio alla questione ecologica una vera, efficace ed organica lotta alla sedentarietà. Quello che non si capisce è che parte fondamentale del problema è proprio questa, per cui non si sta studiando una soluzione per tenere le stesse abitudini ed inquinare di meno, soluzione che potrebbe essere pronta come minimo fra dieci anni se aspettiamo i tempi di adeguamento dell’industria automobilistica, ma una soluzione per cambiare radicalmente le abitudini di spostamento degli italiani e tale soluzione è essenzialmente politica e svincolata da logiche industriali salvo che non ci caliamo in realtà dei tempi andati quando certe leggi venivano fatte praticamente proprio dall’industria automobilistica.

La politica si fa anche con piccoli grandi cose e, per esempio, è opportuno ragionare su  quella tanta vernice che è stata sprecata in Italia per disegnare corsie ciclabili finte che sembrano state disegnate proprio per contratto ma dietro a quel penoso disegno ci sta un oscuro messaggio del tipo “Guardate che la corsia ciclabile sarebbe questa, noi l’abbiamo disegnata e siamo a posto con i vari regolamenti ma va da sé che questa è una finta corsia ciclabile, andate in bici a vostro rischio e pericolo e pertanto se non siete degli atleti capaci di districarvi con tanta agilità nel traffico infernale non provateci nemmeno ad andare in bici che dopo fate incidenti e bloccate pure il traffico automobilistico…” .

Se quella tanta vernice fosse stata messa in modo del tutto folle e fantastico ben mezzo metro o un metro più in là, per lasciare disegnate sull’asfalto autentiche corsie ciclabili degne di essere chiamate in quel modo allora questa folle mossa avrebbe davvero procurato una rivoluzione del traffico urbano nelle città perché in quel modo, in un amen, il traffico su bici diventava più scorrevole che quello in auto e la maggior parte degli italiani che vanno in auto soprattutto perché hanno fretta ed hanno centomila cose da fare durante la giornata si sarebbero trovati costretti, per salvare almeno parte dei loro infiniti impegni ad usare la bicicletta con tanto di seggiolini per bambini e cargo bike per spostare cose terribilmente ingombranti.  Perché tutto ciò? Per il semplice motivo che se dai spazio autentico alle bici non c’è più spazio per le auto, non almeno per farle filare a 50 chilometri all’ora nei centri storici o nei quartieri residenziali immediatamente adiacenti al centro. Nella maggior parte delle nostre strade urbane e dell’immediata periferia (ovviamente non sulle tangenziali…) una vera corsia ciclabile ampia e sicura implica un restringimento della carreggiata per le autovetture che le obbliga a procedere ai 30 se non ai 20 chilometri all’ora se non vogliono fare il  festival dello specchietto scassato. Perché quel malcostume di passare a venti centimetri dal ciclista rischiando di ammazzarlo diventa una necessità da applicare nei confronti del veicolo che procede in senso opposto, dove di morti non se ne fanno perché non si fanno frontali mortali in auto in pieno centro, però il rischio di lasciarci giù migliaia di euro di carrozziere è proprio concreto e dove lo specchietto danneggiato diventerebbe la norma di tutte le autovetture che viaggiano nei centri abitati. In certe situazioni il senso unico diventerebbe una scelta inevitabile ed è quello che adesso non scatena l’ira dei ciclisti (troppo dimessi e non curanti della tutela dei loro diritti che credono inesistenti nella città delle auto) perché quando c’è un’unica corsia ciclabile per i due sensi di circolazione i ciclisti non fiatano nemmeno e rallentano semplicemente ogni qualvolta transita un ciclista nel senso opposto che molte volte è tentato di andare in strada con le auto pur di non dover rallentare ogni venti metri. Nel momento in cui la scelta del senso unico diventasse per le auto si verificherebbe la rivolta degli automobilisti repressi, altro che ristoratori bloccati dal Covid, quelli in confronto sono proprio degli agnellini mansueti e condizionabili nel più facile dei modi.

A quel punto l’utilizzazione dei fondi europei andrebbe a finanziare le nuove strade necessarie in base all’adozione di tali provvedimenti. In un giorno solo fai centomila corsie ciclabili vere che non costano praticamente nulla e che rivoluzionano realmente il modo di muoversi nei centri abitati degli italiani dando una vera spallata al problema della sedentarietà ed in dieci anni ripristini quel minimo di mobilità necessaria alle auto per dire che in qualche modo per chi proprio ancora non ha cambiato idea nei centri abitati ci si può muovere anche in auto.

Il senso unico in realtà fa più paura del tumore al polmone ed è per questo che gli italiani si accontentano della “transizione ecologica” orchestrata a lungo raggio per poter giustamente accedere ai fondi europei e non chiedono a gran voce la “rivoluzione verde” che potrebbe davvero cambiare l’economia ma provoca uno sconquasso per il quale non si sa più dove si può usare l’auto.

La bastonata ai ristoratori, alle palestre, al mondo dello spettacolo, ai parrucchieri, ci sta ma non toccate l’automobile perché il diritto di morire soffocati in mezzo a 40 milioni di auto è un diritto inalienabile.